Intervista rilasciata dal Rev. Murray, nel 1995, 
a The Latin Mass Magazine


Il Rev. Padre Gérald Murray, appartenente alla diocesi di New York, nei primi del 1995 ha conseguito il dottorato in Diritto Canonico presso l’Università Gregoriana di Roma, discutendo una tesi dal titolo:  «Lo status canonico dei fedeli del defunto Arcivescovo Marcel Lefèbvre e della Fraternità San Pio X: sono scomunicati in quanto scismatici?». La tesi è stata licenziata “summa cum laude” e bacio accademico.
Nell’agosto dello stesso anno egli ha concesso un’intervista alla rivista The Latin Mass, che l’ha pubblicata nel suo n° di ottobre 1995, pp. 50-61.
Riportiamo i passi salienti di questa intervista.



Nota introduttiva all'intervista

Per completezza d'informazione dobbiamo súbito segnalare che lo stesso Rev. Murray, circa due anni dopo, ha dichiarato pubblicamente di rigettare la sua tesi, accusando di strumentalizzazione quelli che la utilizzano. Nel 1997 ha rilasciato una intervista al Padre Le Pivain per la rivista della Fraternità San Pietro: Tu es Petrus, nella quale ha capovolto tutto quello che aveva affermato nel 1995 al cospetto dei suoi insegnati della Gregoriana, i quali, ammirati per la sua ricerca e per le sue conclusioni, lo licenziarono in Diritto Canonico col massimo dei voti, la lode e il bacio accademico.
Non abbiamo nulla da eccepire circa il ribaltamento delle posizioni personali del Rev. Murray, poiché è piú che comprensibile che una persona possa cambiare radicalmente una opinione su un dato argomento, soprattutto se viene a conoscenza di nuove e piú serie informazioni sull'argomento stesso.
Ciò che sorprende è il fatto che leggendo la presente intervista e quella rilasciata nel 1977, si comprende come il Rev. Murray non sia venuto a conoscenza di fatti nuovi circa la posizione di Mons. Lefèbvre e della Fraternità San Pio X, anche perché non ve ne sono stati, eppure esprime delle considerazioni del tutto inconciliabili, cosí che con le seconde capovolge le prime, con una disinvoltura che rasenta l'offesa all'intelligenza dei lettori.
Ci chiediamo:
a) quando si sbaglia il Rev. Murray, nel 1955 o nel 1997? Leggendo quanto da lui dichiarato sembra che non si sia mai sbagliato;
b) se si è sbagliato nel 1995, si dovrebbe pensare che con lui si siano sbagliati anche i suoi esaminatori, commettendo una imperdonabile leggerezza nel lodarlo e nel premiarlo. Eppure il Rev. Murray sembra voler affermare, senza volerlo, che nel 1995, dopo anni di studio e di ricerca, abbia concluso con delle assurdità, ricevendo per questo il dottorato con lode;
c) è possibile che ci siano dei motivi, certo importanti, che abbiano indotto il prete di una diocesi americana Murray a sconfessare lo studente romano Murray di due anni prima?

Ciò detto, rimane da considerare che la tesi svolta dal Rev. Murray nel 1995 non può essere considerata piú sua, anche perché l'interessato la rigetta, ma soprattutto perché è ormai divenuta appannaggio della Pontificia Università Gregoriana, avendola questa approvata"summa cum laude". Che l'interessato oggi la disconosca è cosa di poco conto, poiché non si trattò di una qualsiasi opinione personale buttata lí per caso; quello che conta è che si tratta ancora di una tesi approvata dal piú prestigioso ateneo romano della Chiesa, e su un argomento di grandissima importanza che tocca in maniera determinante persino le decisioni del Sommo Pontefice. Che il Rev. Murray la sconfessi pure, essa resta sempre lí a dimostrare che sul caso di Mons. Lefèbvre e della Fraternità San Pio X le cose non sono poi cosí chiare come vorrebbero far credere molti preti e prelati, compreso il Pontificio Consiglio per l'interpretazione dei testi legislativi, che nel 1996 si è espresso per la legittimità della scomunica di Mons. Lefèbvre e di tutta la Fraternità San Pio X (si veda il documento).

(Se è il caso approfondiremo certe contraddizioni del rev. Murray, quando pubblicheremo la sua seconda intervista del 1997)



(il testo è stato evidenziato da noi)

Roger Mac Caffrey (RMC): Può riassumere con parole povere le conclusioni della sua tesi sulla Messa in latino?

Rev. Murray (RM): Ho cercato di esaminare se le persone che assistono alla Messa o ricevono i Sacramenti nelle cappelle della Fraternità Sacerdotale San Pio X (FSSPX) sono o meno scomunicati o scismatici. La mia tesi si basa sul fatto che i vescovi della FSSPX ordinati da Mons. Lefèbvre, e lui stesso, furono dichiarati scomunicati dal Papa al momento della loro consacrazione.


RMC: Tramite il cardinale Gandin.

RM: Esattamente. In séguito il Papa si riferí a questa scomunica nel suo Motu Proprio “Ecclesia Dei”.


RMC: Che ha firmato personalmente.

RM: Esatto, che ha emanato lui stesso. Sorge la seguente questione: in che misura questa scomunica, cosí come è stata emanata dalla Santa Sede, tocca anche gli altri?


RMC: Volete dire: in che misura tocca  anche i preti e i fedeli?

RM: Certo. E la mia conclusione è la seguente: per quello che posso capire essi non sono scomunicati in quanto scismatici, poiché il Vaticano non ha mai detto che lo fossero. I soli chiaramente identificati come scismatici furono sei: Mons. Lefèbvre, Mons. De Castro Mayer e i quattro vescovi ordinati. Resta quindi da capire in che modo coloro che abbiano un legame con le cappelle della FSSPX siano toccati dalla scomunica. È per questo che ho fatto delle ricerche e scritto la mia tesi.


RMC: Ma per giungere alla sua conclusione, e cioè che i fedeli e i preti, in base al nuovo Codice, non sono scomunicati in quanto scismatici, lei ha dovuto porsi la domanda: Mons. Lefèbvre e gli altri cinque vescovi sono stati scomunicati o no? 
Non è cosí?

RM: È esatto.


RMC: Perché ha dovuto affrontare prima questa questione? E qual è la conclusione a cui è giunto?

RM: Se si va alla radice del problema, il suo sviluppo diventa piú chiaro. Se Mons. Lefèbvre è stato scomunicato come scismatico, gli altri rischiano di esserlo anche loro. Se invece Mons. Lefèbvre ha provocato uno scisma e altri lo hanno seguito, allora forse anche questi sono parte integrante dello scisma.
A questo punto vi sono due modi diversi di affrontare la questione. Uno che considera che solo Mons. Lefèbvre e i suoi vescovi sono stati scomunicati, e in questo caso gli altri non sono toccati da questa specifica disposizione della legge o del legislatore (il Papa e i suoi collaborati). L’altro che si sforza di dimostrare che in effetti Mons. Lefèbvre non è stato scomunicato, e quindi nessun altro è scomunicato.
In quest’ultima ipotesi, io arrivo alla conclusione che, “canonicamente parlando”, Mons. Lefèbvre non è colpevole di un atto scismatico punibile a norma di Diritto Canonico. Egli è colpevole di un atto di disobbedienza nei confronti del Papa, ma ha agito in maniera tale che per il suo atto poteva avvalersi di una disposizione di legge che gli evitava di essere scomunicato automaticamente (latae sententiae). Certo, anche in questo caso egli avrebbe potuto essere scomunicato «ferendae sententiae», per deliberata decisione del Papa.


RMC: Quindi, le ragioni che vi fanno ritenere che i preti e i fedeli laici della Fraternità non sono scomunicati, sono due? 
E sono di ordine canonico?

RM: Grosso modo direi di sí. I soli ad essere colpiti di scomunica furono i vescovi. Ora, in Diritto Canonico, la scomunica non dipende esclusivamente da una dichiarazione espicita fatta dall’autorità della Santa Sede.
Il Diritto Canonico contiene le sanzioni dette “latae sententiae”, le quali prevedono che se si commette un certo atto illegale, a norma dello stesso Diritto, si incorre automaticamente nella sanzione prevista per quest’atto specifico. Ora, per chi diventa scismatico, è prevista una sanzione automatica, di tipo “latae sententiae”.
Ma nel caso dei laici o dei preti della FSSPX, il Vaticano non ha mai dichiarato che un prete o un laico sia diventato scismatico. Il Vaticano ha avvisato i fedeli di non appoggiare uno scisma o di non parteciparvi, ma non ha mai specificato il significato di questo avvertimento. Quindi ci troviamo di fronte ad un dubbio legislativo o ad una incertezza di fatto circa la possibilità di sapere se qualcuno è scismatico o no.
Prendiamo il caso del sig. Rossi che va in una cappella amministrata da un prete della FSSPX. Questo prete è scismatico perché è un prete della Fraternità? Questo non è mai stato specificato dal Vaticano. Può sorgere quindi il dubbio.
Come si sa, la FSSPX sostiene che non si trova in una posizione scismatica. Il prete potrebbe agire dunque in buona fede affermando: «Non sono scismatico e non aderisco ad uno scisma».
Anche un laico potrebbe avere in buona fede la stessa convinzione, e quindi non lo si potrebbe accusare dicendo: «Lei rientra nelle condizioni previste dal Diritto e quindi incorre nella sanzione automatica prevista per cosciente violazione della legge.»


RMC: Il Vaticano ha risolto un caso in maniera chiara. Due anni fa un gruppo di laici, nelle Hawai, venne scomunicato dal suo vescovo, Mons. Ferrario, colpevole di avere assistito a delle Messe celebrate da un vescovo di Mons. Lefébvre. Il Cardinale Ratzinger annullò la decisione di Mons. Ferrario. Nella sua tesi ha citato questo caso?

RM: No. Per questo caso non sono sicuro della motivazione legale presentata dal gruppo in questione per appellarsi al Card. Ratzinger. Ma, secondo il Card. Ratzinger, il vescovo che pronunciò la scomunica non poteva difenderla né di diritto né di fatto.


RMC: Nel suo decreto di scomunica il vescovo dichiara: «Scomunico queste persone perché frequentano uno scismatico, e le dichiaro scismatiche.» Il Cardinale Ratzinger ha annullato la scomunica e ha dichiarato che queste persone non erano scismatiche. Questo dà forza alla sua argomentazione.

RM: Penso di sí. È la stessa conclusione a cui sono giunto per quanto riguarda i preti e i laici della FSSPX. Io credo che il Cardinale Ratzinger abbia ragione, poiché il fatto di assistere ad un ufficio amministrato da un prete ordinato da Mons. Lefébvre o da uno dei suoi collaboratori non si traduce nella deliberata volontà di rompere la comunione con il Papa o i suoi subordinati, deliberata volontà nella quale consiste lo scisma.


RMC: Lei non incoraggia i fedeli ad assistere a questi uffici, ma dice semplicemente - come peraltro il Cardinale Ratzinger ha lasciato intendere in una delle sue interviste - che per il solo fatto di assistervi non significa che si sia scismatici. Il cardinale Ratzinger ha dichiarato che conosce dei fedeli che assistono agli uffici della FSSPX «con la convinzione di essere ancora in piena comunione con il Papa.» E ha sollecitato un «atteggiamento… di generosità nei confronti di questi fedeli di cui molti sono angosciati.» In tal modo lei, per un verso, non incoraggia questi fedeli ad assistere a questi uffici, e per l’altro dice che non si tratta necessariamente di un atto scismatico.

RM: Per quanto ne so, la Santa Sede non ha mai dichiarato che il semplice fatto di assistere ad un ufficio celebrato da un prete della FSSPX costituisca un atto scismatico.
Ne consegue che ci si possa chiedere: «Siamo di fronte ad una conclusione sensata, derivante dalla semplice interpretazione del Diritto e passibile di essere proposta ai fedeli?» Io non penso che si tratti di questo, visti gli elementi che girano intorno all’insieme della controversia.
Quali sono questi elementi? Mons. Lefèbvre o i suoi collaboratori hanno costantemente sostenuto che non hanno operato uno scisma. A torto o a ragione, essi hanno fatto condividere questo concetto ai loro associati e ai loro fedeli, e hanno cercato di fondare le loro argomentazioni su un ragionamento canonico. Penso dunque che qualcuno, assistendo ad un ufficio della FSSPX, possa agire in buona fede e possa sinceramente ritenere che non vi sia alcun ostacolo di ordine scismatico.
In generale, se si hanno le prove che in una parrocchia vengono celebrate delle Messe invalide, la Gerarchia assume le misure atte a rimediare alla situazione. Nondimeno sappiamo che effettivamente vengono celebrate delle messe invalide. Lo stesso Cardinale Ratzinger, al momento del suo insediamento, ha dovuto emanare una istruzione per i vescovi circa il conforme svolgimento del Sacramento dell’Eucarestia. È ha ordinato di non permettere piú delle celebrazioni con del pane non valido, raccomandando che fossero officiate delle Messe per tutte le intenzioni con le quali erano state officiate le messe invalide. Credo che un certo numero di persone che leggono la vostra rivista probabilmnete abbiano ricevuto, qualche volta, la Comunione e, trattandosi di «pane scelto a fantasia», abbiano dubitato della sua validità.
Guardiamo adesso ad un altro caso. Immaginiamo che un fedele sappia che il prete della sua parrocchia propone degli insegnamenti contrari alla morale o alla dottrina cattolica. Per esempio, che nega l’esistenza dell’Inferno, o insegna che i divorziati o coloro che sono risposati possano ricevere la Comunione; e che sappia con sicurezza che il suo comportamento è tollerato dal vescovo. Può costui recarsi in una cappella della FSSPX per ricevere la buona dottrina? Secondo me questa è cosa migliore che ascoltare dei sermoni eretici. Forse mi sbaglio, ma credo che un tale fedele sia piú in diritto di essere in pace con la sua Fede piuttosto che essere costretto ad ascoltare delle eresie.
 
RMC: Il Cardinale Ratzinger , dal 1988 in poi, si è espresso piú volte sulla questione di Mons. Lefèbvre. E non ha mai mancato di esprimere la sua comprensione e talvolta anche al sua simpatia nei confronti dei fedeli che vanno a Messa nelle cappelle della FSSPX. Perché lei ed io non potremmo esprimere la stessa simpatia? Perché dobbiamo essere accusati di mancanza di lealtà ogni volta che esprimiamo simpatia nei confronti dei fedeli della FSSPX? In definitiva, alla lettura di questa intervista, lei sarà accusato di essere uno scismatico. Ne è cosciente?
RM: Io spero di no. Io sono uno studente in Diritto Canonico. Ho ottenuto una licenza in questa disciplina avendo scelto per la mia tesi la scomunica di Mons. Lefèbvre. Vi è ancora un vasto spazio da esplorare relativo agli aspetti tecnici, prescindendo dall’aspetto emozionale e polemico delle critiche eccessive di Mons. Lefèbvre nei confronti del Papa, critiche piú volte ripetute. Sappiamo che Mons. Lefèbvre ha fatto molte dichiarazioni di fuoco che non sono tutte sostenute da delle prove. Una cosa è certa: che all’interno della Chiesa è in atto una crisi. In una certa misura, Mons. Lefèbvre l’aveva capito, e alcune delle sue considerazioni sono state riprese da altri vescovi e Cardinali.


RMC: In privato.

RM: In privato, e talvolta anche in pubblico. Io penso che per quanto attiene a ciò che sta accadendo nella Chiesa, il rapporto Ratzinger avesse molto in comune con l’analisi di Mons. Lefèbvre. Ma per quanto riguarda le questioni di ordine canonico, bisogna ammettere che il diritto si comprende meglio quando è espresso in termini giuridici, ed esso dev’essere studiato prescindendo dalle passioni. È questo che mi sono sforzato di fare. Coloro che pensano che io incoraggi lo scisma, hanno torto. Mi piacerebbe vedere una riconciliazione con la FSSPX e i suoi fedeli. Credo che il loro punto di vista, quando sostengono di non aver perseguito alcuno scisma, meriti un esame attento.
Si guadagnerebbe in chiarezza se il Papa promulgasse un decreto in cui fosse stabilito che: «entro 30 giorni, chiunque continui ad assistere ad una Messa lefebvriana sarà scomunicato automaticamente e sarà considerato come scismatico.» Credo che la chiarezza di una tale definizione stimolerebbe i fedeli a prendere una decisione, in un senso o nell’altro.


RMC: Ma il fatto che il Papa non prenda un provvedimento del genere indica che egli si accontenta della situazione ambigua che deriva dall’interpretazione del Diritto Canonico e dalla definizione di scisma. Se ne fosse contristato, non crede che agirebbe come lei ha suggerito?

RM: Sono convinto che oggi vi sia un’assenza di rigore giuridico - cioè che siano stati emanati degli avvertimenti imprecisi senza che essere seguiti da ulteriori chiarimenti - e che prevalga il convincimento che meno sanzioni si impiegano piú sarà facile la riunificazione e la soluzione amichevole del conflitto.
Si può discutere della fondatezza di questo ragionamento, ma credo che lo si faccia in questa ottica. Lo stesso Papa, mi sembra, si è dispiaciuto a dover trattare la questione. Per quello che posso giudicare, a meno che non vi siano altri negoziati, questo movimento continuerà ad allontanarsi dalla Chiesa, proprio per giustificare la sua esistenza.


RMC: Ben presto diventerà scismatico, se non lo è già.

RM: Certo, e si ritorna alla distinzione che ho fatto prima. Può anche trattarsi di un movimento scismatico, ma esso non è stato colpito da sanzioni canoniche contro lo scisma, molto semplicemente perché la nuova legge esige che si esamini l’atto soggettivo di Mons. Lefèbvre al momento delle consacrazioni.


RMC: È questo che stabilisce il nuovo codice?

RM: Esattamente.


RMC: Se il nuovo codice stabilisce cosí, tutto sta in  una decisione del Papa. È qui che risiede il dilemma.

RM: È cosí. Il Papa agisce nei limiti del Diritto Canonico, al pari di chiunque, ma con una enorme differenza, che lui stesso è il legislatore ed ha facoltà di cambiare il diritto. Se non lo cambia e se non promulga quello che potremmo chiamare un «precetto particolare», che è una particolare applicazione del diritto o un aiuto al diritto come è sancito, allora il Papa rimane sottomesso a questo diritto. Egli ha la facoltà di cambiarlo, ma in questo caso preciso non l’ha fatto. E la legge stabilisce che se qualcuno ha ritenuto di avere un grave motivo, una necessità imperiosa, nel compiere un atto illegale, costui non può essere sottoposto alle sanzioni latae sententiae.
Io direi che il Papa stesso non è un legislatore del Diritto canonico: si sono pubblicati dei consigli che gli sono stati dati - l’Osservatore Romano presenta un comunicato in cui si dice che lo stato di necessità al quale fa appello il canone 1323 non era applicabile.
Io ritengo che i suoi consiglieri abbiano sostenuto che Mons. Lefèbvre  non avesse il diritto di avvalersi dei canoni 1323 e 1324; è per questo che il Papa non ne parla nella sua dichiarazione. Io sono convinto che i suoi consiglieri avessero torto, poiché, a mio avviso, il caso di Mons. Lefèbvre è proprio un esempio di quanto il nuovo diritto sia tanto meno rigoroso per quanto il precedente fosse del tutto chiaro.
Secondo il precedente Diritto Canonico, se qualcuno compiva un atto illegale, veniva considerato colpevole fino a prova contraria. Il nuovo codice, invece, prevede che se qualcuno commette un atto illegale che ritiene soggettivamente necessario, non necessariamente incorre in una sanzione.
Certo, il Papa potrebbe imporre una sanzione sulla base della sua autorità ed enunciarla come tale, ma è su questo punto che ci troviamo di fronte ad un dilemma. Mons. Lefèbvre ha fatto valere che gli doveva agire per il bene della Chiesa; noi potremmo replicare ch egli ha agito per il suo bene, per il suo interesse; se ne può discutere.
Ed è su questo punto che io penso ci si potrebbe rivolgere al Papa, in rispetto della sua funzione pontificale e della sua autorità, dicendo: «Santità, io penso che il canone 1324 si possa applicare a questo caso.» Quindi Mons. Lefèbvre non può essere stato scomunicato, e a maggior ragione ritengo che nessuno dei suoi fedeli lo sia stato o lo sia. In questo caso si vede bene che tutto è partito dalla dichiarazione pubblica del Cardinale Gantin, secondo il quale i due canoni relativi allo scisma e alla consacrazione illegale sarebbero stati violati intenzionalmente. 
Infatti, la dichiarazione pubblica diceva che: «È accertato pubblicamente che costoro non solo hanno violato la legge, ma lo hanno fatto in maniera tale da incorrere nella relativa sanzione.»  Ora, il fatto di dichiarare questo non determina l’applicazione della sanzione, ma solo che quest’ultima esisteva già. È per questo che si può affermare il proprio disaccordo, dicendo: «Rispettosamente, io credo che la vostra applicazione della legge sia scorretta.»
Meglio ancora, Mons. Lefèbvre poteva dire: «Che il Cardinale Gandin sia o no d’accordo con me, io posso invocare il canone 1324», poiché il giudizio soggettivo delle circostanze è lasciato all’apprezzamento del singolo.
Se colui che viola la legge afferma con sincerità: «Nel mio ànimo e nella mia coscienza non ho avuto l’intenzione di fare alcunché di male, poiché era necessario che io agissi contro la legge», non gli occorre altro per invocare il canone 1324 ed evitare le sanzioni latae sententiae.
Ora, il Papa potrebbe dire, come diceva lei: «dimentichiamo questi canoni: io dichiaro che a partire da oggi, in virtú della mia autorità, queste persone sono scomunicate, a meno che non si sottomettano al mio giudizio»; ma il Sovrano Pontefice non ha agito cosí. Egli si è lasciato guidare da i suoi consiglieri e dal codice in vigore. E io penso che si tratti di una lacuna del nuovo codice. Dal momento che si permette alle conclusioni soggettive di prevalere sulle sanzioni, si determina una incertezza giuridica e, in ogni caso, una mancanza di certezza generale. Naturalmente la maggior parte delle persone che violano una legge, ritiene che sia un suo dovere, a meno che non si tratti di depravati o della volontà di farlo per contraddire l’autorità. 
Francamente, io non credo che Mons. Lefèbvre l’abbia fatto con queste intenzioni.



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