LA SPADA DI
FUOCO dell'Arcistratega
In ogni età, in ogni terra, in ogni tribú e villaggio,
è stata intrapresa la grande guerra sessuale fra la Casa privata
e la Casa Pubblica. Ho visto una raccolta di poesie inglesi medievali,
divisa in sezioni quali «Canti religiosi», «Canzoni di
brindisi», eccetera; e la sezione intitolata «Poesie della
vita domestica» era costituita per intero (per intero, letteralmente)
dai lamenti dei mariti vessati dalle mogli. Per quanto arcaica fosse la
lingua, le parole erano in molti casi precisamente identiche a quelle che
ho udito nelle strade e nei bar di Battersea, proteste in favore d'un'estensione
del tempo e della conversazione, proteste contro la nervosa impazienza
e l'utilitarismo divorante della donna. Di tal genere, dico io, è
la lite; non può mai essere altro che una lite; ma lo scopo di tutta
la morale e di tutta la società è di far sí che rimanga
una lite fra innamorati.
[…] Ma in quest'angolo chiamato Inghilterra, in questa fine di secolo,
è accaduta una cosa strana e sbalorditiva. Scopertamente, e secondo
ogni apparenza, questo conflitto ancestrale è silenziosamente e
repentinamente finito; uno dei due sessi s'è improvvisamente arreso
all'altro. Verso l'inizio del ventesimo secolo, negli ultimi anni, la donna
s'è arresa in pubblico all'uomo. Ha seriamente e ufficialmente ammesso
che l'uomo ha sempre avuto ragione; che la casa pubblica (ovvero il Parlamento)
è veramente piú importante della casa privata; che la politica
non è (come le donne avevano sempre sostenuto) una scusa per qualche
boccale di birra, ma una sacra solennità davanti alla quale si possono
inginocchiare nuove adoratrici; che i ciarlieri patrioti dell'osteria sono
non soltanto ammirevoli, ma invidiabili; che la conversazione non è
uno spreco di tempo, e perciò (come conseguenza, certo) che le osteríe
non sono uno spreco di denaro. Tutti noi uomini c'eravamo abituati alle
nostre mogli e madri, e nonne, e prozíe, che tutte sciorinavano
un coro di disapprovazione sui nostri passatempi e sport, sulle nostre
bevute e sui nostri partiti politici. E adesso viene la signorina Pankhurst
con le lacrime agli occhi ad ammettere che tutte le donne avevano torto
e tutti gli uomini avevano ragione; a implorare umilmente d'essere ammessa
almeno in un cortile esterno, dal quale possa cogliere sia pure di sfuggita
uno scorcio di quei meriti maschili che le sue fuorviate sorelle avevano
tanto sconsideratamente dileggiato.
(GILBERT K. CHESTERTON, What's wrong with the World, New York,
Dodd, Mead and Company, 1910, pp. 190-3).
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