LA SPADA DI
FUOCO dell'Arcistratega
Nello stesso período dell’anno in cui
si prepara questo bollettino, 139 anni fa,
si avviava al suo tragico epilogo la vicenda
umana dell’ultimo regno cattolico italiano:
preludio della prossima occupazione massonica
di Roma.
Poiché la maggioranza degl’Italiani
ignora le radici dei mali presenti,
riportiamo un passo che narra la fine dell’eroica
pagina della difesa di Gaeta.
L’urlo del proiettile che arrivava padre Carmelo non lo sentí,
ma sentí strapparsi violentemente dalle braccia, dal petto ove l’aveva
appoggiata, la testa del penitente e tossí forte, accecato dal lampo,
assordito dal fragore, sconvolto da qualcosa che gli saliva su su in gola…
Ma lui era immune, in piedi, e quel meschino in terra con una scheggia
di mitraglia confitta nella gola, che quasi l’aveva decapitato. Ora non
avrebbe parlato piú e quelli avevano ucciso uno già morto,
e quelli avevano ucciso forse un’anima. Questo pensiero quasi lo fece impazzire.
Si mosse, uscí da quel fumo e da quel sangue e non udí qualcuno
che gli gridava dietro. Sventolando la tonaca col suo passo deciso salí
i tre gradini del parapetto e fu sul ciglio, eretto, piú alto di
tutti.
“Padre che fa?”, gli urlarono, “scenda di lí!”.
E padre Carmelo si guardava attorno, alla città, al mare, alla
campagna con una pietà profonda; ma subito lo riprese la nausea
di quell’odor di sangue che tutta la tunica gli imbrattava, un odor sottile
e violento che l’aveva impregnato tutto, e le mani ne erano stillanti e
sul viso e sulla fronte ce l’aveva.
E quel sangue per lui, attraverso lui, saliva al cielo e chiedeva vendetta.
“Scenda, padre!”, gridò una voce.
E allora disse padre Carmelo, forte sí che l’udisse ognuno:
“La voce di questo sangue salirà a Dio. Questo secolo ha peccato
contro lo Spirito Santo e non v’è perdono per lui. V’è un
solo Dio e voi vi fate idoli il denaro, la lussuria, la potenza, la violenza…”.
I cannoni continuavano il loro fracasso e pareva che tutta la natura
si scotesse in un orribile tossir senza fine.
Pure era bella la terra e bello il mare e sopra c’era il cielo d’una
limpidezza senza confini.
Ma dritto sullo spalto il padre seguitava come se predicasse, e davvero
gli pareva di star sul pulpito: “Questo secolo è fuori di Cristo,
perché il principe di questo mondo lo domina, ch’è il re
delle tenebre. Qui misericordia e giustizia ogni giorno si pongono in croce,
insieme con Cristo, in nome dell’odio e in nome dell’amore. E poi si serrano
nel sepolcro, ogni giorno, perché non parlino piú, piú
non ci siano, via, via dagli occhi e dallo spirito, con Colui che gli uomini
hanno cacciato.
“Ma ogni giorno esse risuscitano con Cristo e sempre saranno fino al
dí del Giudizio ove misericordia e giustizia giudicheranno.
“E guai, uomini, secolo, mondo, guai a chi giustizia sola troverà
senza misericordia!” E subito si mise a piangere, padre Carmelo, la prima
volta dacché aveva lasciato il suo convento, e singhiozzava come
un bambino, come una donna. Ma poi disse: “Padre, pietà di noi,
ché tu ci hai fatti, e siamo cosa tua!”.
E in quel punto la terra tremò. E si squarciarono le rocce e
caddero le muraglie perché anche la polveriera della batteria Transilvania
aveva preso fuoco. Un impeto di fumo si elevò al cielo tumultuando,
e subito sormontò le vampe, le scintille, le pietre e i sassi, il
bastione intero frantumato in polvere che saliva con esso.
E in quella nube sparí, anch’egli lanciato in alto, padre Carmelo.
(Un momento appena precedente alla capitolazione di Gaeta narrato in
C. ALIANELLO, L’Alfiere, Rusconi, Milano 1974, pp. 441-442).
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