MEDITAZIONI



Il Redentore ci ammoní a guardarci non tanto dai demòni, quanto dagli uomini: «Guardatevi dagli uomini» (Cavete autem ab hominibus - Mt 10, 17). Gli uomini spesso sono peggiori dei demòni, perché i demòni fuggono quando si prega o si invocano i nomi santissimi di Gesú e Maria. Ma se qualcuno dà una risposta di tipo spirituale ai cattivi compagni che lo tentano al peccato, essi anziché fuggire, aumentano la tentazione e lo deridono, definendolo essere spregevole, maleducato, persona di nessun valore. E nel caso non possano dire altro, lo chiamano ipocrita che si finge santo. Per non sentire questi rimproveri o derisioni, certe anime deboli si accodano sciaguratamente a tali ministri di Lucifero e tornano al vomito.

Fratello mio, persuaditi che se vuoi vivere santamente, senza dubbio dovrai venir preso in giro e disprezzato dai malvagi: «Gli uomini retti sono in abominio ai malvagi» (Abominantur impii eos, qui in recta via sunt - Pr 29, 27)

[…] Non esiste alternativa a questo, perché le massime del mondo sono diametralmente opposte a quelle di Gesú. Ciò che è stimato dal mondo, è chiamato da Gesú stoltezza: «Perché la sapienza di questo mondo è stoltezza davanti a Dio» (Sapientia enim huius mundi stultitia est apud Deum - 1 Cor 3, 19). Al contrario, il mondo chiama stoltezza ciò che è stimato da Gesú, come le croci, i dolori, il disprezzo: «La parola della croce infatti è stoltezza per quelli che vanno in perdizione» (Verbum enim crucis pereuntibus quidem stultitia est - 1 Cor 1, 18).

Ma consoliamoci: se i cattivi ci maledicono e ci biasimano, Iddio ci benedice e ci loda: «Maledicano essi, ma tu benedicimi» (Maledicent illi, et tu benedices - Sal 108, 28). Non ci basta forse essere lodati da Dio, da Maria Santissima, da tutti gli angeli e i santi e dagli uomini onesti? Lasciamo dunque che i peccatori dicano quello che vogliono. Noi continuiamo a far piacere a Dio, che è cosí grato e fedele verso chi lo serve.

[…] Non vergogniamoci di apparire cristiani, perché se noi ci vergogniamo di Gesú, anch’Egli ha dichiarato che si vergognerà di noi e di metterci alla sua destra nel giorno del giudizio: «Chi si vergonerà di me e delle mie parole, di lui si vergognerà il Figlio dell’uomo, quando verrà nella sua gloria» (Qui me erubuerit, et sermonem meum, hunc Filius hominis erubescet, cum venerit in maiestate sua - Lc 9, 26)
Se vogliamo salvarci, bisogna che ci decidiamo a soffrire e a farci forza, anzi violenza: «Angusta è la via che conduce alla vita» (Arta est via, quae ducit ad vitam - Mt 7,14); «Il regno dei cieli soffre violenza e i violenti se ne impadroniscono» (Regnum coelorum vim patitur, et violenti rapiunt illud - Mt 11,12). Chi non si fa forza non si salva. Non c’è altra soluzione, perché dobbiamo contrastare la nostra natura ribelle, se vogliamo compiere il bene. Specialmente all’inizio dobbiamo farci forza, per estirpare le cattive inclinazioni e acquisirne di buone: infatti, possedendo l’abitudine al bene, diventa facile, anzi dolce, osservare la legge di Dio.

Il Signore rivelò a Santa Brigida che chi soffre le punture delle spine prima, mentre pratica la virtú con pazienza e coraggio, vedrà poi le spine trasformarsi in rose. Mio caro cristiano, sta’ dunque attento. Gesú ora ti rivolge le stesse parole che disse al paralitico: «Ecco che sei guarito: non peccare piú, perché non ti abbia ad accadere qualcosa di peggio» (Ecce sanus factus es: iam noli peccare, ne deterius tibi contingat - Gv 5,14)
 
Cerca di capire, afferma ancora San Bernardo, che se per disgrazia ricadi, la tua rovina sarà peggiore di tutte le tue precedenti cadute nel peccato (Audis, recidere quam incidere esse deterius - Bernardo, In Cantica, sermone 54). Guai a quanti imboccano la via di Dio, dice il Signore, e poi la lasciano: «Guai a voi, figli ribelli» (Vae, filii desertores - Is 30,1). Tutti costoro sono puniti, perché «furono ribelli alla luce» (Ipsi fuerunt rebelles lumini - Gb 24, 13).

Il castigo di questi ribelli i quali, dopo essere stati favoriti da Dio con il dono della luce, gli sono poi infedeli, è rimanere nella cecità. E cosí finiscono la vita nei loro peccati: «Ma se il giusto si allontana dalla giustizia (…), potrà vivere? Tutte le opere giuste da lui fatte, saranno dimenticate (…): nel peccato egli morirà (Si autem averterit se iustus a iustitia sua (…), numquid vivet? Omnes iustitiae eius, quas fecerat, non recordabuntur (…): in peccato morietur - Ez 18,24).
 

[SANT'ALFONSO MARIA DE' LIGUORI, Apparecchio alla morte, Riflessione XXXI, Gribaudi Editore Milano (via C. Baroni, 190), 1995, pp. 410-414]
 

(9/2000)

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