IN MEMORIA DI ROMANO AMERIO
Con la chiamata a Dio del prof. Romano Amerio si è conclusa la
vicenda umana di un insigne ed emerito figlio di Santa Romana Chiesa.
Pensiamo di poterne onorare debitamente la memoria richiamando all'attenzione
degli amici quel suo magistrale "Studio delle variazioni della Chiesa
cattolica nel secolo XX", dal titolo piú noto di IOTA
UNUM,
nel quale egli seppe sintetizzare le deviazioni di dottrina e di morale
importate dal modernismo nel seno stesso della Chiesa.
Ne proponiamo alcuni passi.
Cap. XVI - IL DIALOGO
151. Dialogo e discussionismo nella Chiesa postconciliare.
Il dialogo in «Ecclesiam suam». - Nel vocabolo dialogo
si è consumata la piú grande variazione della mentalità
della Chiesa postconciliare, soltanto paragonabile a quella seguita al
vocabolo libertà nel secolo scorso. Il vocabolo è
del tutto incognito e inusitato nella dottrina prima del Concilio. Non
si trova una sola volta nei Concilii antecedenti, non nelle encicliche
papali, non nell'omiletica e nella parenetica pastorale. Nel Vaticano II
il termine dialogus appare ventotto volte, di cui dodici
nel decreto
Unitatis redintegratio sull'ecumenismo. Ma questa
parola, nuovissima nella Chiesa cattolica, diventa, con propagazione fulminea
e con enorme dilatazione semantica, il vocabolo principe della protologia
postconciliare e la categoria universale della mentalità neoterica.
Si parla non pure di dialogo ecumenico, di dialogo tra Chiesa e mondo,
di dialogo ecclesiale ma, con inaudita catacresi si ascrive struttura dialogica
alla teologia, alla pedagogia, alla catechesi, alla Monotriade, alla storia
della salvezza, alla scuola, alla famiglia, al sacerdozio, ai sacramenti,
alla redenzione, e a quant'altro era stato per secoli nella Chiesa senza
che quel concetto fosse nelle menti e quel vocabolo nel linguaggio.
Il passaggio dal discorso tetico, che fu proprio della religione, al
discorso ipotetico e problematico è palese sin nella mutazione del
titolo dei libri, che un tempo insegnavano e oggi ricercano. […]
In agosto 1964, dedicando una terza parte dell'enciclica Ecclesiam
suam al dialogo, Paolo VI poneva equazione tra il dovere che incombe
alla Chiesa di evangelizzare il mondo e il suo dovere di
dialogare
col mondo. Ma non si può non avvertire che l'equazione non trova
appoggio né nella Scrittura né nel lessico. […] Nei Vangeli
l'evangelizzare comandato agli Apostoli è immediatamente identificato
con l'insegnare. Alla dottrina infatti e non alla disputa si conferisce
il mandato apostolico e d'altronde il vocabolo stesso aggelos
importa l'idea di qualche cosa che è data da comunicare e non di
qualcosa che è gettata alla disputa. […]
152. Filosofia del dialogo. - Il dialogo nella filosofia
neoterica, e lo professa l'Osservatore Romano, 15 gennaio 1971,
ha per base «la perpetua problematicità del soggetto cristiano»,
cioè l'impossibilità di fermarsi in qualcosa che non sia
problema. Vien negato, insomma il gran principio, riconosciuto in logica
e in metafisica e in morale, che anagke stenai (è
necessario fermarsi).
In una prima aporia incappa il dialogo quando lo si fa coincidere con
l'universale officio della evangelizzazione e lo si preconizza come mezzo
di diffusione della verità. È impossibile che tutti
dialoghino. La possibilità di dialogare è infatti
in funzione della scienza che si abbia del soggetto e non, come si pretende,
in funzione della libertà o della dignità dell'anima.
Il titolo a disputare dipende dalla
cognizione e non dalla
generale destinazione dell'uomo alla verità. […] Nel dialogo contemporaneo
invece si suppone che ogni uomo, perché razionale, sia atto a dialogare
con tutti e sopra tutte le cose. Si richiede perciò che il vivere
della comunità civile e il vivere della comunità ecclesiale
siano ordinati per tal modo che tutti partecipino non, come vuole il sistema
cattolico, recando ciascuno la propria scienza, bensí la propria
opinione, e non adempiendo la parte che gli spetta, ma pronunciando su
tutto. […]
[…]
Ma anche dal canto dell'interrogante il dialogo patisce
difficoltà perché poggia su un supposto gratuito, già
acutamente intuito da sant' Agostino. Un intelletto può essere capace
di formulare un'obiezione, ed insieme essere incapace di capire l'argomento
con cui l'obiezione si scioglie. […]
Questa inadeguanza tra intelletto che concepisce una domanda e intelletto
che intende la risposta è una conseguenza del generale divario tra
potenza e atto. Il rifiuto della distinzione porta da un lato al paralogismo
politico: tutti gli individui hanno per natura potenza a comandare, ergo
tutti hanno l'atto del comandare. Dall'altro lato il rifiuto porta al paralogismo
insito al dialogo: tutti gli individui hanno potenza a conoscere il vero,
ergo tutti gli individui conoscono in atto il vero. […]
153. Inidoneità del dialogo. - Nella Scrittura, come dicemmo,
il metodo dell'evangelizzazione è l'insegnamento e
non il dialogo. Nell'imperativo che sigilla la missione del
Cristo con la missione degli Apostoli il verbo adoperato è matheteusate
che letteralmente vale fate discepoli tutti i popoli, come
se l'opera degli Apostoli consistesse nel ridurre i popoli alla condizione
di ascoltatori e discepoli e come se matheteuein fosse un
grado previo a didaskein.
Oltre però che il fondamento biblico, manca al dialogo il fondamento
gnoseologico,
perché la natura del dialogo contraddice alle condizioni del discorso
di fede. Suppone infatti che la credibilità della religione dipenda
dallo scioglimento previo di tutte le obiezioni particolari mossele contro.
Ora un tale scioglimento è impossibile ad aversi e a premettersi
all'assenso di fede. Il procedimento corretto è invece a rovescio.
[…]
È infine da osservare che la presente concezione del dialogo
trascura la via dell'ignoranza utile propria di quegli spiriti
che, trovandosi incapaci della via dell'esame, si tengono
stretti a quell'adesione fondamentale e non considerano con attenzione
le opinioni opposte per scoprire dove stia l'errore. Essi, temendo ogni
pensiero contrario a ciò che conoscono per incontrastabile vero,
si tengono in uno stato di ignoranza che, per preservare la verità
posseduta, esclude le idee false e insieme con queste anche le idee vere
che per avventura vi si accompagnino, senza sceverare le une dalle altre.
Questa via dell'ignoranza utile è lecita nella religione cattolica,
è fondata sul principio teoretico spiegato sopra ed è d'altronde
il fatto dello stragrande numero dei credenti. È dunque inaccettabile
l'opinione espressa in Osservatore Romano, l5-16 novembre 1965,
che «chi rinuncia al dialogo è un fanatico,
un intollerante che finisce sempre per essere infedele a sé stesso
prima che alla società di cui fa parte. Chi invece dialoga rinuncia
all'isolamento, alla condanna». Dialogare senza cognizione è
prova di temerità e di quel fanatismo che scambia la propria forza
soggettiva con la forza oggettiva della verità.
l54. I fini del dialogo. Paolo VI. Il Segretariato per i non credenti.
-
Notevole è il divario tra dialogo tradizionale e dialogo moderno,
quando si considera il fine assegnato al dialogo. Il dialogo,
dicono, non ha per fine la confutazione dell'errore né
la conversione del collocutore. La mentalità neoterica
aborre dalla polemica, tenuta per incompatibile con la carità, mentre
al contrario ne è un atto. Il concetto di polemica è invero
indissolubile dal contrapposto tra il vero e il falso. […]
Il fine del dialogo dal canto del dialogante cattolico non può
essere euristico, perché egli, quanto alle verità
religiose, è in possesso e non in ricerca. Neppure può essere
eristico,
cioè di carattere contenzioso, perché ha per motivo e per
obiettivo la carità. Il dialogo è invece inteso a dimostrare
un vero, a promuovere in altri una persuasione e ultimamente una conversione.
[…]
[…]
l55. Se il dialogo sia sempre un arricchimento. Escluse
dal dialogo postconciliare la conversione e l'apologetica si suol dire
che il dialogo «è sempre uno scambio positivo», ma l'asserto
sembra difficile da ammettere. In primo luogo accanto al
dialogo convertitore esiste un dialogo pervertitore in cui il collocutore
vien distolto dalla verità e fatto cadere nell'errore. Oppure si
dirà che efficace è la parola di verità ma inefficace
quella dell'errore?
In secondo luogo è da considerare la situazione
in cui il dialogo nonché giovare ai collocutori li stringe a un'impossibilità.
È il caso contemplato da san Tommaso, che cioè, mancando
ai due collocutori un principio comune, dal quale sillogizzare, diventi
impossibile provare la verità al collocutore che rifiuta il medio
della dimostrazione. […]
156. Il dialogo cattolico. - Il dialogo cattolico ha per fine
la persuasione e, in un ordine piú elevato, la conversione
del collocutore.
Il vescovo mons. Marafini in Osservatore Romano, 18 dicembre
1971, dice (ma non si sa se dice quel che vuole) addirittura che «il
metodo del dialogo va inteso come movimento convergente verso
la pienezza della verità e ricerca dell'unità profonda».
In questi testi si confondono il dialogo in materia naturale e il dialogo
di fede soprannaturale. Il primo si svolge sotto il lume della ragione
che accomuna tutti gli uomini. Ponendosi sotto questo lume tutti gli individui
stanno a pari con tutti gli individui: i dialoganti sentono sopra il loro
dialogo
il Logo, piú importante del loro dialogo, come già
dicemmo al § 125, sperimentano la loro fraternità vera e l'unità
profonda della loro natura. V'è però un altro dialogo nel
quale è impegnata la fede e in cui i collocutori non possono muoversi
convergendo verso il vero né situarsi in condizioni di parità.
Il collocutore non credente sta infatti in una situazione di rifiuto o
di dubbio nella quale è impossibile per il credente di collocarsi.
[…]
[…]
Concludendo sul dialogismo della Chiesa postconciliare diciamo che
il dialogo neoterico non è il dialogo cattolico. Primo,
perché ha funzione puramente euristica, come se la Chiesa dialogante
non possedesse, ma cercasse la verità, o come se dialogando potesse
prescindere dal possesso della verità. Secondo, perché
non riconosce la posizione poziore della verità rivelata, come se
fosse caduta la distinzione di grado assiologico tra natura e Rivelazione.
Terzo,
perché suppone parità, sia pure soltanto metodica, tra i
dialoganti, come se il prescindere dal vantaggio che ha la fede divina,
anche solo per finzione dialettica, non fosse un peccato contro la fede.
Quarto,
perché postula che tutte le posizioni dell'umana filosofia siano
indefinitamente disputabili, come se non esistessero invece punti di contraddizione
principiale che troncano il dialogo e lasciano solo la possibilità
della confutazione. Quinto, perché suppone che il
dialogo sia sempre fruttuoso e che «nessuno deve sacrificare alcunché»
(Osservatore Romano, 19 novembre 1971), come se non vi fosse un
dialogo corruttore che spianta la verità e impianta l'errore, e
come se non si dovesse, nel caso, rigettare l'errore prima professato.
Il dialogo di convergenza dei collocutori verso una verità piú
alta e piú universale non conviene alla Chiesa cattolica, perché
non le conviene un processo euristico che la metta sulle tracce della verità,
ma soltanto un'operazione della carità la quale vuole comunicare
una verità posseduta per grazia, e trarre non a sé ma alla
verità. La superiorità infatti non è del credente
dialogante sopra il non credente dialogante, bensí della verità
sopra tutte le persone dialoganti.
Non si scambi l'atto con cui un uomo persuade un altro uomo della verità
con un atto di sopraffazione e di offesa della altrui libertà. La
contraddizione logica e l'aut aut sono strutture dell'essere,
e non violenza. L'effetto sociologico del pirronismo e del
conseguente
discussionismo è il pullulare di convegni,
incontri, commissioni, congressi, cominciato col Vaticano II. Di qui la
consuetudine introdotta di rimettere tutto in problema e tutti i problemi
affidare a commissioni plurime e la responsabilità, una volta personale
e individuale, disciogliere in corpi collegiali. [...]
Romano Amerio, Iota unum. Studio delle variazioni della Chiesa
cattolica nel secolo XX, 3a ed., Riccardo Ricciardi Editore, Milano,
1989
Glossario
Aporía. - Dal greco aporia, difficoltà,
punto controverso, problema. Da cui: problema le cui possibilità
di soluzione
risultano annullale in partenza dalla contraddizione.
Assiologico. - Dal greco aksios, degno, valido.
Da cui l'accezione di: criterio che interpreta la realtà sulla base
di
riferimenti degni e validi.
Catacrèsi. - Dal greco katakresis, abuso.
Da cui il latino catachresis: estensione retorica di un termine
o di una
locuzione oltre il suo significato proprio.
Collocutore. - Dal latino collocútor, l'agente
di colloquor (loquor cum, parlo con): colui
che prende parte ad un
colloquio.
Erístico. - Dal greco eristikòs,
incline alle contese, alle dispute; con un ragionamento sottile e specioso.
Eurístico. - Dal greco eurísko,
trovare. Che va alla ricerca.
Neotèrico. - Dal greco neoteríko,
innovare, tendere alla novità. Da cui il latino neotericus:
cosa nuova, moderna.
Ontologia. - Scienza relativa ai caratteri universali dell'Ente.
Omelia. - Dal greco omilia, nell'accezione di:
commercio spirituale che si svolge in seno al popolo, per cui la
conversazione diviene oratoria per l'istruzione del popolo. Da qui l'accezione
del latino ecclesiastico
homilia: discorso al popolo costituito dall'esposizione e il
commento di passi della Scrittura.
Omilética. - Dal greco omiletikòs,
che attiene al popolo in relazione all'omilia. Da qui l'accezione del latino
ecclesiastico homileticus: l'insieme delle cure da usarsi
per svolgere l'omelia; per estensione: il genere
oratorio relativo alla omelia.
Paralogismo. - Falso ragionamento che sembra vero solo in apparenza,
in effetti fondato su un equivoco o su una
illusione della ragione.
Parenética. - Dal greco parénesis,
azione di paréneo, cercare di persuadere, ammonire,
esortare, raccomandare. Da
qui il latino ecclesiastico parænesis: esortazione
rivolta al popolo sulla base delle prescrizioni religiose.
Pirronismo. - Dal promotore, Pirrone di Elide, che sosteneva
una forma estrema di scetticismo consistente nella
supposta necessità di sospendere l'assenso. L'unico atteggiamento
legittimo sarebbe quello di non
giudicare alcunché come vero o falso, buono o cattivo, bello o brutto;
cosí che non vi sarebbe niente che
si possa considerare come corretto.
Poziore. - Dal lalino potior, piú potente.
Da cui il senso di: preminente. prevalente, precedente.
Protologia. - La scienza del puro ente intelligibile quale si
presenta all'attivita del pensiero. Particolarmente derivata
dal Gioberti che la intendeva come «scienza dell'ente intelligibile
intuita per via del pensiero
immanente»; cosí che dovrebbe essere alla base di ogni scienza
ed anteriore alla stessa ontologia.
Tético. - Dal greco thetikòs, che
si pone come regola. Da cui il latino theticus: che ha la
caratteristica di porsi da sé,
che ha la sua giustificazione in sé. A differenza di ipotetico che
fonda la sua verifica e la sua
giustificazione fuori di sé, nelle sue conseguenze, e che quindi
non ha garanzia di verita in sé e di
verifica diretta.
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