IN MEMORIA DI MONS. FRANCESCO SPADAFORA
Mons. Francesco Spadafora è passato a miglior vita il 10 marzo
1997, all'età di 84 anni.
La sua è stata una vita spesa in difesa della dottrina tradizionale
della Santa Chiesa, soprattutto in vista degli errori che si sono macroscopicamente
manifestati sulla fedele trasmissione del depositum fidei,
a partire dal Concilio Vaticano II. La sua opera di studioso, espressasi
tramite centinaia di articoli apparsi su diversi giornali e riviste e tramite
piú di 30 pubblicazioni, è stata per anni un punto di riferimento
prestigioso per tutti coloro che hanno sentito il bisogno di rimanere ancorati
alla dottrina tradizionale della Chiesa.
Lo rimarrà sicuramente in avvenire, soprattutto in riferimento
alla puntuale messa a punto da lui condotta contro le distorsioni dottrinali
scaturite dalla cosiddetta "nuove esegesi" dei testi scritturali.
Una delle caratteristiche del suo lavoro è la prevalente mancanza
di opinioni personali, egli ha sempre curato che parlassero i testi e i
documenti dottrinali della Chiesa; cosa che poteva procurargli, com'è
avvenuto, solo il fastidio e il misconoscimento della corrente modernista.
In questa occasione riportiamo qualche passo del suo libro La
"Nuova Esegesi", Il trionfo del modernismo sull'Esegesi Cattolica
(editons Les Amis de saint François de Sales, c. p. 2346, CH, 1950
Sion 2, 1996).
Dal capitolo XV - Il post-Concilio frutto dell'equivocità
del Concilio
"Libertà" d'errore
Frutto degli equivoci del Concilio è nel post-concilio il trionfo
della “nuova” esegesi ovvero dell'esegesi neo-modernistica, che - cardinal
Martini in testa - nega l'inerranza assoluta della Sacra Scrittura, l'autenticità
e storicità degli Evangeli, respinge la guida del Magistero infallibile
della Chiesa, ma proclama di essere in tal modo fedele alla Divino
Afflante Spiritu di Pio XII (ridotta a pochi brani neo-modernisticamente
interpretati), all'Istruzione della Pontificia Commissione
Biblica (preparata e fatta approvare dal card. Bea), e alla Dei Verbum
del Vaticano II (ridotta anch'essa a quelle parti che possono servire alla
causa dei neo-modernisti e faziosamente interpretata).
L'interpretazione neo-modernista della Dei Verbum è
stata e viene proposta dai gesuiti: da padre Ignazio de la Potterie S.
J. ai suoi confratelli de La Civiltà Cattolica; tutti sostanzialmente
concordi con il padre R. Rouquette S. J., che entusiasta scriveva nel 1965:
«Lo schema sulla Rivelazione nella sua forma definitiva resta un
grande testo liberatore che non chiude alcuna porta; esso consacra il lavoro
cosí considerevole della esegesi cattolica contemporanea [quella,
s'intende, che nega i dogmi fondamentali dell'esegesi cattolica]. Esso
lascia la via aperta alla ricerca. I Romani [i gesuiti del Biblico, Lyonnet
e Zerwick in particolare] che erano stati cosí violentemente e cosí
ingiustamente attaccati alcuni anni prima, esprimono unanimamente la loro
soddisfazione» (Études 1965, p. 680).
A sua volta, il card. Carlo Maria Martini, attuale cardinale di Milano
e già rettore del Pontificio Istituto Biblico, dalle pagine de La
Civiltà Cattolica proclamava enfaticamente: «La Dei Verbum,
in una sintesi, riprende le autorevoli indicazioni delle encicliche [in
ogni caso, una sola: la rivoluzionaria, secondo il Biblico, Divino Afflante
Spiritu] e non solo toglie ogni possibile dubbio sulla validità
dell'uso di questi metodi moderni nella esegesi cattolica, ma indica anche
le vie di un ulteriore approfondimento» (Alcuni aspetti della Dei
Verbum, ne La Civiltà Cattolica, 7.5.1966, pp. 216-266;
in particolare pp. 211-226: Il Concilio e la scienza biblica). E
dopo aver propugnato la «sua» interpretazione del capitolo
V della Dei Verbum (inerranza e storicità) conclude, ancor
piú entusiasta: «Si può dire che in questo capitolo
l'odierno movimento biblico ha trovato il suo piú alto riconoscimento
e la sua magna charta, che gli permetterà di permeare efficacemente
e liberamente [libertà va cercando, ma se l'è presa già
da tempo!] tutti gli aspetti della vita della Chiesa…».
Libertà! La libertà di ricerca nell'esegesi cattolica
c'è sempre stata. Basti ricordare l'opera compiuta nel campo degli
studi biblici dal padre M. J. Lagrange O. P. con la sua École
Biblique e dallo stesso Istituto Biblico fino al 1950 circa (V.
École Biblique e Istituto Biblico nel Dizionario Biblico (ed. Studium)
da me diretto). Ma non è la libertà di ricerca nello studio
scientifico che i «nuovi esegeti» van cercando. Essi, accecati
dalla loro infatuazione per i sistemi razionalistici protestantici, chiedono,
ed oggi credono di aver conseguito la «libertà» dalla
guida luminosa del Magistero infallibile della Chiesa, cui ogni esegeta
cattolico è obbligato ad attenersi dai concili Tridentino e Vaticano
I, ecumenici e dogmatici, i quali dichiarano che «nelle cose di fede
e di costume, appartenenti alla edificazione della fede cristiana, bisogna
tenere per vero senso della Sacra Scrittura quello che ha tenuto e tiene
la Santa Madre Chiesa, cui compete giudicare del vero senso e della vera
interpretazione della Sacre Scritture; perciò a nessuno è
lecito interpretare la Sacra Scrittura contro questo senso (della Chiesa)
o anche contro l'unanime consenso dei Padri» (Vaticano I, Costituzione
De
Fide Catholica, D. 3007. V. Giorgio Castellino, S. D. B., La
Costituzione dogmatica sulla divina rivelazione, p. 208. Cf. F. Spadafora,
Esegesi
e Teologia, Il Principio fondamentale per la sana esegesi, in Renovatio
1967, pp. 233-264, e in Palestra del Clero, nn. 12-13, 1972).
Silenzi ed omissioni del card. Martini
Per il card. Martini e i «nuovi esegeti» il Vaticano II
nella Dei Verbum avrebbe sancito due… eresie:
1) l'inerranza della Sacra Scrittura non è assoluta, ma limitata
alla «verità salvifica»;
2) gli Evangeli non sono libri storici né sono stati scritti
da Matteo, Marco, Luca e Giovanni, bensí da ignoti «redattori».
Quali le argomentazioni del card. Martini? Guardate - egli dice in
sostanza - «le successive formulazioni che il testo ricevette nei
diversi schemi, in particolare il n. 11» [sull'inerranza]; dalla
professione netta dell'inerranza si passa alla «verità salutare»
e infine alla «verità […] consegnata nelle Sacre Lettere per
la nostra salvezza»; allo stesso modo, dall'affermazione chiarissima
sull'autenticità e storicità degli Evangeli si passa al testo
attuale, che fa sua l'Istruzione del card. Bea, la quale
approva la Formengeschichte ed apre cosí la via alla
negazione dell'autenticità e storicità degli Evangeli.
Cicero pro domo sua. Nessun accenno da parte del Martini alle
subdole manovre della Commissione dottrinale, alla tenace opposizione di
centinaia di Padri culminata nel ricorso al Papa, nessun cenno all'intervento
di Paolo VI documentato anche dal gesuita Caprile (il cui articolo il Martini
cita solo in nota), affinché fosse riaffermata l'inerranza assoluta
e poi la piena storicità degli Evangeli con un testo non equivoco,
come era troppo chiaramente il testo presentato in aula per la votazione
(V. sí sí no no, agosto 1994, pp. 4-5). Il Martini,
insomma, finge d'ignorare che le successive formulazioni, tutte insoddisfacenti,
su cui egli poggia la «sua» interpretazione della Dei
Verbum, furono opera non del Concilio, ma dei membri neo-modernisti
(quasi tutti ex alunni del Biblico), eletti nella commissione teologica
dai Cardinali e Vescovi dell'«Alleanza Europea».
[…] A questo punto il lettore può valutare l'importanza fondamentale
delle commissioni conciliari e comprendere sempre meglio i cardinali Liénart,
Frings, Lefèbvre (di Bruges, da non confondere con mons. Lefèbvre),
Léger, Montini, Tisserant, ecc. esponenti maggiori della cosiddetta
«Alleanza Europea», si diedero tanta cura di immettere in ciascuna
di esse, e in particolare nella Commissione teologica, i propri elementi
«liberali» o neo-modernisti (V. sí sí no no,
agosto 1994, p. 2). Questi riuscirono in detta commissione ad avere la
prevalenza ed inoltre, protetti e decisi, ebbero il sopravvento sugli altri
membri, che avrebbero potuto e dovuto contrastarli, ed invece «pacifici»
o ignari, si adattarono al compromesso.
Ne ho personale esperienza. Membro della commissione teologica era
sua ecc.za E. Florit, Vescovo in attesa del cardinalato. Ex alunno del
Biblico e già professore di Sacra Scrittura al Laterano, aveva scritto
contro la Formengeschichte: «non si dà [in essa]
parte alcuna ad un intervento soprannaturale nella composizione dei Vangeli,
quindi ispirazione divina e conseguente inerranza sono escluse» (E.
Florit, Il metodo della "storia delle forme" e la sua applicazione ai
racconti della Passione, 1935, pp. 227-230). Discutevamo una sera,
durante il concilio, appunto sulla ispirazione dei Libri Sacri; «Lei
ha ragione - concluse in risposta alle mie osservazioni sul testo conciliare
- ma dobbiamo dare un contentino all'altra parte, agli oppositori».
La diplomazia, il compromesso, invece di proporre integra e precisa la
dottrina cattolica che emerge cosí limpida dai documenti del Magistero!
[…]
Porta aperta all'errore
«Quando si vuol giocare sulle ambiguità, niente di meglio
che confondere i punti fondamentali nel mare di tante altre considerazioni»
scrisse mons. P. C. Landucci. E il prof. Romano Amerio bene illustra l'«ermeneutica
neoteorica» post-conciliare ovvero l'interpretazione neo-modernistica
del Concilio (R. Amerio, Iota Unum, R. Ricciardi ed., Roma-Napoli
1985, p. 93).
«Ancor piú rilevante è il fatto che il metodo del
circiterismo [circiterismo = quasi esprimersi per approssimazione, in modo
ambiguo] fu adoperato talvolta nella redazione stessa dei documenti conciliari.
Il circiterismo fu allora imposto intenzionalmente affinché l'ermeneutica
post-conciliare potesse poi rubricare o nigricare quelle idee che le premevano.
“Nous l'exprimons d'une façon diplomatique, mais après le
Concilie nous tirerons le conclusions implicites”»
("Noi l'esprimiamo in modo diplomatico, ma dopo il Concilio tireremo
le conclusioni implicite": è una dichiarazione del «perito»
domenicano Schillebeeckx alla rivista olandese De Bazuin, n. 16,
1965). Cosí, ad esempio, il testo della Dei Verbum
dichiara in modo inequivocabile che la Santa Chiesa «afferma senza
esitazione» la storicità degli Evangeli: «quorum
[Evangelorium] historicitatem [Sancta Mater Ecclesia] incunctanter affirmat»,
ma mons. Galbiati nel suo commento precisa che questo vale solo per la
«storia della salvezza» (E. Galbiati, La Costituzione dogmatica
della Divina Rivelazione, Elle Di Ci, Torino 1966, p. 255). Donde attinge
egli questa sua interpretazione limitativa, che restringe la storicità
degli Evangeli alla sola «storia della salvezza», escludendo
la storia profana? Dalla successiva affermazione che i Vangeli «tramandano
fedelmente ciò che Gesú, Figlio di Dio, vivendo tra gli uomini,
fece ed insegnò realmente per la loro salvezza». Dunque
- egli ne conclude - i Vangeli tramandarono fedelmente solo ciò
che riguarda la nostra salvezza. Cosí, con una espressione sintatticamente
trasposta e avulsa dal suo contesto nonché dalla storia della sua
elaborazione, il Galbiati vorrebbe limitare anche la storicità (non
meno dell'inerranza) alle cose concernenti solo la fede e i costumi!
Rileviamo con il prof. Amerio che «a questo proposito è
sommamente importante il fatto che, avendo il Concilio giusta la consuetudine
lasciato dietro di sé una commissione per l'interpretazione autentica
dei suoi decreti, questa commissione non abbia mai emanato esplicazioni
autentiche e non si trovi citata mai. Cosí il tempo postconciliare
anziché di esecuzione, fu di interpretazione [quasi sempre arbitraria
e faziosa] del Concilio.
«Mancando un'interpretazione autentica, i punti in cui apparisse
incerta e questionabile la mente del Concilio, tale definizione fu gettata
alle dispute dei teologi […].
«Il carattere anfibologico dei testi conciliari dà cosí
un fondamento tanto all'ermeneutica neoterica quanto a quella tradizionale»
(R. Amerio, op. cit., p. 88).
E in nota egli osserva: «L'incertitudine del Concilio è
ammessa anche dai teologi piú fedeli alla Sede Romana che si studiano
di discolparne il Concilio. Ma è chiaro che la necessità
di difendere l'univocità del Concilio è già un indizio
dell'equivocità sua». […]
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