MORS TUA, VITA MEA
Espianto d'organi umani: la morte è un'opinione?



Per gentile concessione dell'Autore riportiamo qualche passo del libro dell'Ing. Ugo Tozzini, attinente al nostro articolo sul discorso del Papa ai trapiantisti, del dicembre 2000


Il saggio è frutto di un lungo lavoro di ricerca per la stesura di una tesi di Magistero in Scienze Religiose su “Morte e «morte cerebrale»: liceità morale dell’espianto di organi umani vitali”; tesi licenziata, dall’Istituto Superiore di Scienze Religiose presso la Pontificia Università della Santa Croce, summa cum laude
L’Autore esamina il problema avvalendosi degli insegnamenti del magistero della Santa Chiesa e degli approfondimenti della teologia cattolica, ma utilizzando anche i dati controversi e le posizioni contrastanti che convivono in seno allo stesso mondo scientifico; a riprova che la pubblica e conclamata “informazione oggettiva” della scienza è una mera ipotesi propagandistica, e coloro che vi si affidano delle vittime della propaganda, se non dei complici. 
Il quadro che ne viene fuori è davvero sconcertante, poiché non solo vengono demolite le supposte certezze della scienza, degli scienziati e degli specialisti del Papa, ma vengono delineati scenarii di un cinismo impressionante, reso terribile dal fatto che gli stessi Pastori della Chiesa se ne facciano mallevadori.
Il saggio merita la migliore diffusione possibile soprattutto perché si presenta, per espressa dichiarazione dell’Autore, non come suggeritore di certezze, ma come strumento di riflessione, poiché non è l’accettazione supina dei dettati della scienza che fa la “dignità dell’uomo”, ma la profonda consapevolezza di non contravvenire alla volontà di Dio. 



 
Molti medici ormai riconoscono - documentandolo clinicamente e dibattendolo autorevolmente in congressi internazionali - che tra l’adottata definizione concettuale di morte cerebrale, intesa come cessazione irreversibile di tutte le funzioni dell’intero encefalo, e i criteri operativi diagnostici attraverso cui detto evento viene di fatto accertato, esiste un abisso di interrogativi inquietanti e senza risposta. […]

Le norme medico-legali e gli accertamenti diagnostici, come si deduce dalla letteratura specialistica  prodotta da una parte qualitativamente importante e autorevole della comunità scientifica internazionale, dimostrano che il concetto-criterio di morte cerebrale è ambiguo e controverso. Perciò è legittimo considerarlo, in definitiva, per quello che è sin dalla sua origine: un’invenzione postulatoria, convenzionale e a-scientifica. Una definizione tesa a presentare come plausibile il prelievo di organi vivi da persone vive, ancorché moribonde, spacciate per morte. […]

Se è vero, come è provato, che la morte cerebrale è altra cosa rispetto alla morte tradizionale, da cui differisce sostanzialmente, non solo quanto alle metodiche di accertamento diagnostico, l’equiparazione della controversa e ipotetica cessazione irreversibile di tutte le funzioni dell’intero encefalo alla cessazione certa e definitiva della vita si rivela un’autentica mostruosità giuridica e scientifica, prima ancora che etica. Infatti, che senso ha equiparare il problematico, l’ipotetico e il probabile al reale, al certo e al definitivo? (pp. 53-54).

A questa vischiosa cultura del dono impastata di falsa generosità, in cui però è rigorosamente bandita ogni informazione “tecnica” sui tempi e sulle modalità dell’espianto nonché sulla verità della messa a morte del “donatore”, in pratica per dissanguamento, non osa sottrarsi neppure una parte degli uomini di Chiesa. Non pochi di questi, anzi, per ignoranza dei fatti o per smania di salire sul carro dei vincitori buonisti o, ancor meno lodevolmente, magari per paura di perdere il diritto di essere privilegiati un giorno come riceventi, si offrono come attivi press agent donazionistici, […] e non lesinano incoraggiamenti e plausi alla prassi della donazione di organi, esaltando in essa presunti valori cristiani di eccelsa solidarietà e carità. […]

La vera carità - c’insegna la Chiesa da sempre - non è però solo impastata di filantropia materiale, è la via piú eccellente per entrare in comunione con Dio facendo la sua volontà e osservando tutti i suoi comandamenti. È la virtú piú eminente fra le teologali, tra quelle cioè che hanno Dio stesso come «oggetto» immediato e principale. La grandezza e novità dell’amore cristiano consiste nel rivivere in esso il mistero della Croce: non si esaurisce nel patibolo della pur lodevole e difficile dedizione agli altri, tutti gli altri, ma si completa elevandosi a stipite della soprannaturale relazione filiale con Dio. La vera carità cristiana è ordinata al bene soprannaturale del nostro prossimo: che senso hanno i bei gesti esteriori, che simulano disinteresse e generosità, se in realtà mascherano solo utilità, vanità e orgoglio e, verosimilmente, si rivelano limitati e privi d’efficacia salvifica? […]

Non è raro sentire affiorare, anche su labbra aduse a irridere la Parola del Signore, l’esortazione evengelica: Non c’è dono più grande che dare la propria vita agli amici. È la risorsa dialettica a cui non sanno rinunciare neppure i donazionisti atei […] A parte il fatto che Gesù offrì la sua vita e non l’altrui, il richiamo a quell’antica oblazione divina, di cui è troppo facile appropriarsi in modo sconveniente, merita una riflessione.
Gesù, è vero, accettò di offrire la sua vita e la sua morte per noi, ma non decise di suicidarsi, né concesse il «silenzio-assenzo» al proprio omicidio. Faticosamente, dopo aver sudato sangue e istintivamente respinto quel calice, accettò il supplizio, semmai, prima come hostia, vittima, poi come donatore. Tanto che porgendo i polsi ai chiodi coricato sopra quei legni infami, implorò che sui suoi carnefici discendesse il perdono del Padre: Ti prego, Padre, perdona a loro perché non sanno quello che fanno! (*)
Non manifestò alcuna intenzione di beatificarli come filantropici espiantatori della sua vita e applauditi trapiantatori della vita eterna in noi! A loro non rivolse certo la consolante promessa: Oggi sarai con me in Paradiso, sussurrata nell’agonia al malfattore pentito.

Coloro che decretarono la morte di Gesú, il traditore Iscariota, il perfido Sinedrio giudaico, l’opportunista Pretorio romano, metaforicamente tutta l’umanità peccatrice, compreso lo stupido mercenario armato di lancia che gli diede il colpo di grazia spillandogli il sangue dal cuore, furono forse consegnati alla Storia come campioni di carità, solidarietà e altruismo? Il loro atto già intrinsecamente cattivo diventò forse buono «dopo», alla luce del provvidenziale e filantropico «lieto fine» soprannaturale di quella vicenda di sangue? (pp. 76-77)

Il cristiano non può accettare la schizofrenica visione dell’evento della morte umana, cangiante a seconda che questa sia «interpretata» sul versante fisico dalla scienza positiva o sul versante metafisico dalla scienza filosofica e teologica. Altrettanto assurda è la rivendicazione di primato della prima disciplina sulle seconde, mentre semmai vale il contrario. Su di un evento metafisico, per definizione non osservabile empiricamente, è irragionevole che la prima e l’ultima parola spetti allo sperimentatore, anziché a chi indaga su piani che di quell’evento sono i piú propri: il filosofo sul piano umano, attraverso l’evidenza della ragione, il teologo sul piano divino, mosso dalla fede nell’autorità soprannaturale della Rivelazione. Per il cristiano non possono coesistere, specie su di una realtà così radicalmente immutabile e definitiva come la morte, verità diverse e conflittuali, ma una sola verità, quella di cui il Creatore è unico autore. Le verità umane, particolari, differenti e apparentemente autonome, non possono contraddirsi, anzi, in un ordine che le trascende, devono essere concordanti e complementari, per concorrere fruttuosamente alla splendente unità e armonia della verità divina. […]

Se è vero, com’è vero, che l’anima è spirituale e quindi non localizzabile preferibilmente in una parte del corpo piuttosto che in un’altra, tutta in tutto il corpo e tutta in qualsivoglia sua parte, continua essa a informare del suo principio vitale anche un corpo privo di attività cerebrale? Certamente sí. Altrimenti, ammettendo di ridurre la vitalità della persona umana alla vitalità del suo cervello, si finirebbe per accettare il dualismo fra anima e corpo, principio già condannato dalla Chiesa. Per questo, il cristiano sarà diffidato dal considerare cadavere, cioè reliquia materiale senza piú anima, un essere che la dottrina della Chiesa afferma assere ancora «animato» e cioè vivente. (pp. 131-132).


[(*) A questo si può aggiungere l’ammonizione di Gesú nei confronti del traditore Giuda: “…Il Figlio dell’uomo se ne va, come sta scritto di lui, ma guai a quell’uomo dal quale il Figlio dell’uomo è tradito! Bene per quell’uomo se non fosse mai nato!” (Mc, 14, 21; Mt, 26,24) - nota della nostra redazione]

UGO TOZZINI, Mors tua, Vita mea. Espianto d’organi umani: la morte è un’opinione?, 2000, Grafite Editrice, Napoli, pp 204, £ 28.000. 

Il libro è disponibile presso la nostra Segreteria. (Per i Soci e i sostenitori al prezzo di £ 20.000) 

(12/2000)

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