IL POTERE TEMPORALE

deve essere SUBORDINATO

A QUELLO SPIRITUALE

Parte prima


di Don Curzio Nitoglia


Parte prima
Parte seconda
Parte terza
Parte quarta


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Il Papa sul Soglio incorona il Re inginocchiato



IL POTERE SPIRITUALE E QUELLO TEMPORALE


La vera e buona “ragion di Stato”, fa dello Stato l’aiuto della Religione; mentre quella falsa, moderna o machiavellica, fa dello Stato una Religione e quasi una Divinità.

In concreto, lo Stato e il Principe devono aiutare la Chiesa a far conseguire ai cittadini il bene comune temporale, subordinatamente a quello spirituale.


MACHIAVELLI CONTRO L’ARIST/TOMISMO

Se, per la filosofia politica moderna (Machiavelli) le Virtù coincidono con la forza e la furbizia del Principe “volpe e leone”; per la politica tradizionale (aristotelico tomista) le vere Virtù sono quelle naturali e soprannaturali o cristiane (Prudenza, Giustizia, Fortezza, Temperanza, Fede, Speranza e Carità).

Quest’articoletto è scritto alla luce dell’insegnamento di Aristotele e di San Tommaso d’Aquino in materia di politica o di filosofia sociale; esso affronta soprattutto gli aspetti pratici, concreti e morali di come condurre un governo naturalmente onesto e soprannaturalmente cristiano.

Secondo Machiavelli (il rappresentante principale della politica moderna e a/cristiana) il Cristianesimo avrebbe reso imbelli e vili i Romani, facendo crollare l’Impero.

Invece, se i Cristiani, per quanto riguarda la loro vita privata, debbono essere umili e mansueti; quando debbono difendere la fede e la patria, aiutati dalla grazia soprannaturale, diventano coraggiosissimi e la storia ce lo dimostra ampiamente.

Gli autori scolastici asseriscono che nessun uomo è un buon politico per diritto naturale o per nascita, ma solo perché acquista determinate qualità o virtù.
S. Tommaso insegna: “Solo la scienza e la virtù e altre prerogative del genere, rendono una persona idonea a esercitare l’autorità” (S. Th., II-II, q. 102, a. 1, ad 2um).
Il politico, oltre alla scienza, deve avere la virtù, contrariamente a quanto insegnava Machiavelli, perché è impossibile che un uomo senza prudenza, giustizia, fortezza e temperanza, possa promuovere il bene comune della Società.

Nicolò Machiavelli (1469-1527) è il pensatore che ha teorizzato in maniera sistematica la filosofia politica moderna e laicista; ossia, l’autonomia della politica dalla morale.
Secondo Machiavelli, politica e morale non debbono combattersi, neppure essere subordinatamente coordinate; ma la politica deve ignorare la morale.

Insomma, esse, per Machiavelli, esistono indipendentemente e separatamente l’una dall’altra e debbono ignorarsi senza farsi guerra.
Il machiavellismo è una sorta d’indifferentismo o agnosticismo politico. Non è lotta contro la morale, ma è il non volersi porre il problema etico e dunque agire in società, ossia politicamente, come se la morale oggettiva non esistesse per il Principe moderno

La morale agnostica vuol ignorare, non combattere tutto ciò da cui l’uomo possa dipendere (Dio) e rifiuta di porsi il problema della verità.

L’agnosticismo non nega per principio o teoreticamente il Trascendente, come fa l’ateismo militante, ma è indifferente, non se ne cura, anzi afferma che in pratica è meglio non pensarci.

Per il machiavellismo la morale non è cattiva in sé, ha la sua ragion d’essere, ma solo nel campo etico e religioso e non deve assolutamente interferire nel governo dello Stato (“libero Stato in libera Chiesa”). Così la politica ha il suo fine unicamente nel campo sociale puramente naturale, facendo astrazione (senza negarle esplicitamente) dalla morale, dalla religione e da Dio.

Machiavelli separa, senza metterli esplicitamente in guerra (come farà poi Rousseau), l’ordine naturale dall’ordine soprannaturale, la politica dalla morale, l’uomo sociale da Dio.
Il machiavellismo è, dunque, naturalismo politico, che tende a umanizzare il divino e a naturalizzare il soprannaturale, pur non negandoli.

Il Luteranesimo (soprannaturalismo esagerato, che disprezza la natura) e il machiavellismo (naturalismo radicale, che fa a meno della grazia) sono le due facce opposte di una stessa medaglia.

L’uomo di Stato o il Principe, secondo Machiavelli, dirigendo lo Stato verso il suo fine: la felicità e la sicurezza puramente naturali dei cittadini; deve prendere, in teoria e in pratica, soltanto quei mezzi che risultano migliori per il suo scopo, che è la “ragion di Stato”, indipendentemente dalla legge morale oggettiva e universale, anche se non forzatamente contro di essa, ma eventualmente sì, ove esse entrino in contrasto.

Secondo il politico fiorentino, esiste solo la natura e non la grazia, la quale, tuttavia può aiutare i cittadini - che vi credono anche se non esiste - a vivere nell’obbedienza al Principe.

L’errore fondamentale della nuova politica machiavellica consiste nel voler sostituire alla morale oggettiva e naturale gli interessi dello Stato e del Principe.


IL SOGGETTIVISMO INVADE LA POLITICA CON MACHIAVELLI

Come Lutero ha introdotto il soggettivismo in religione, Cartesio in filosofia, Machiavelli lo introduce nella politica.
Giustamente i tomisti del Cinquecento (1) vedono nel machiavellismo, pur essendo in sé naturalista, la conclusione pratica in campo sociale del soggettivismo nominalista luterano.
Lo stesso insegnano Domingo Bañez, S. Roberto Bellarmino e Francisco Suarez (2) assieme al Nostro Pedro de Ribadeneyra (3) e ad Antonio Possevino (4).

Padre Gabriele Roschini scrive: «l’età moderna, iniziatasi con l’umanesimo, è una marcia verso la conquista dell’io, che il Medio Evo aveva mortificato in omaggio a Dio.
Per riconquistare quest’io, mortificato da Dio, l’uomo si mise a percorrere freneticamente le vie dell’emancipazione. Venne Lutero col Protestantesimo, e si ebbe l’emancipazione dell’io dall’autorità religiosa. Venne Cartesio e col suo famoso metodo filosofico segnò l’emancipazione dell’io dalla filosofia tradizionale, ossia dalla filosofia perenne che è l’unica vera; emancipazione filosofica poi portata agli ultimi termini da Kant, da Hegel, ecc… .
Venne Rousseau e con i suoi principi sociali rivoluzionari segnò l’emancipazione dell’io dall’autorità civile. Questa continua, progressiva emancipazione dell’io ha poi culminato nella divinizzazione dell'io medesimo e nella conseguente umanizzazione, o meglio, distruzione di Dio. Si è avuta così l’uccisione nicciana di Dio in omaggio all’io.
Tolto di mezzo Dio, si son tolti di mezzo la luce, l’amore e la letizia; e si è avuto tutto l’opposto, vale a dire: tenebre, odio, tristezza. Così, si è avuto l’uomo finito; ossia, un cadavere ambulante, cui quadra a pennello l’epitaffio che aveva preparato il Papini per se stesso, prima che fosse risollevato dalla fede di Cristo: “Sono una cosa e non un uomo. Toccatemi! Sono freddo come una pietra, freddo come un sepolcro. Qui è sotterrato un uomo che non poté diventare Dio”. La conquista si è mutata in disfatta» (5).



NOTE

1 - Cfr. C. GIACON, La seconda scolastica. I grandi commentatori di S. Tommaso, Milano, Bocca, 1944; C. VASOLI, Il pensiero politico della scolastica, in “Storia delle idee politiche, economiche e sociali”, diretta da L. FIRPO, Torino, Utet, 1983.
2 - D. BAÑEZ, In IIam-IIae, q. 64, a. 3, concl. 1, Opera, Salamanca, 1584-1612; R. BELLARMINO, De jure et justitia, Liegi, 1746-51, dissert. X, a.2, ad 3um; F. SUAREZ, Defensio fidei, lib. VI, cap IV, §15, Colonia, 1614.
3 - Il Principe cristiano, Siena, Cantagalli, 2 voll., 1978.
4 - A. POSSEVINO, Iudicium… Ioannis Bodini, Philippi Mornaei et Nicolai Machiavelli quibusdam scriptis, Lione, 1594, p. 209.
5 - La Santa Messa. Breve esposizione dogmatica, II ed., Frigento (AV), CME, 2010, p. 11-13.





 
febbraio 2024
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