RICORDO DI UN MAESTRO “ALL’ANTICA”
(9/95)
L’arte e la spiritualità di Lino Liviabella
Riproponiamo un vecchio articolo di Lino Liviabella, pubblicato
nel 1957, in cui il Maestro si richiama all’Enciclica di S. S. Pio XII,
Musicæ
Sacræ Disciplina.
Riteniamo che una rilettura delle sue argomentazioni possa aiutare
a comprendere quali fossero i suoi convincimenti profondi e di che tempra
fosse la sua arte, soprattutto in relazione al sentire del Maestro in ordine
al canto gregoriano.
Il figlio, Lucio Liviabella, che ringraziamo per averci segnalato l’articolo
e per averci autorizzato a pubblicarlo, si dice convinto che «La
domanda “con che cosa è stato sostituito il canto gregoriano?” possa
solo portare al convincimento «che il silenzio di tanti valori che
riguardano l’arte, vedi l’improvviso silenzio delle Orchestre Sinfoniche
e Cori della RAI, sia entrato persino nelle nostre chiese.»; egli
si augura che la rilettura di note come questa del suo illustre genitore,
possa «risvegliare un canto interiore» ed aprire gli animi
ad una migliore comprensione del valore profondo della piú antica
tradizione musicale della Chiesa.
A margine dell’articolo di Lino Liviabella, il figlio Lucio, annota:
«Lino Liviabella conclude questo scritto con una frase che
mette in luce la sua contemplazione e la misteriosa natura della vera musica.
L’affermazione “l’arte per quella parte di Dio che è arte” riapre
un orizzonte che sembrava perduto e riaccende il desiderio di attingere
al tesoro del canto gregoriano. Anche l’arte di Lino Liviabella non fa
parte dei tesori della Chiesa? “ Alla musica il compito di farci pregustare,
nella nostra affannata vita terrena, il paradiso e l’eternità.”» |
Nota biografica
Lino Liviabella nacque a Macerata nel 1902 e morí a Bologna
nel 1964.
A Roma, mentre frequentava la Facoltà di Lettere, si iscrisse
al Conservatorio di S. Cecilia, diplomandosi in Pianoforte, Organo e, con
Respighi, in Composizione.
Ottenne con le sue composizioni numerosi premi in Italia e all’estero.
Fra i suoi lavori ricordiamo, le opere: Antigone, La Conchiglia,
Canto
di Natale; tra le cantate: Sorella Chiara, Caterina
da Siena, O Crux, ave!, Le sette parole di Gesú
sulla Croce; tra i poemi sinfonici: Monte Mario, La
mia terra, Sinfonia in quattro tempi per soprano e orchestra;
le numerose composizioni di musica da camera.
Lino Liviabella svolse anche una intensa carriera didattica: insegnante
di Pianoforte e Direttore del Liceo Musicale di Pescara, insegnante di
Armonia in quello di Venezia, di Composizione al Conservatorio di Palermo,
tenne per dieci anni la cattedra di Composizione a Bologna, e fu direttore
dei Conservatori di Pesaro, di Parma e di Bologna.
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L'articolo di Lino Liviabella
L’insegnamento del canto gregoriano nei Conservatori
La provvidenziale Enciclica di S. S. Pio XII «Musicæ
Sacræ Disciplina» mi induce a importanti considerazioni
per lo studio e per l’insegnamento del canto gregoriano nei Conservatori.
È veramente con commossa gratitudine e profonda ammirazione che
vediamo Sua Santità interessarsi, con tanta autorità e competenza,
a questa riforma nel campo della musica sacra, cosicché le norme
basilari di San Pio X «riceveranno nuova luce, adattate alle
presenti condizioni e la musica sacra in certo qual modo arricchita sempre
piú risponderà al suo fine» (par. 1). In essa
si parte dalle parole di San Pio X: «La Chiesa ha sempre favorito
il progresso nelle arti e lo ha aiutato, accogliendo nell’uso religioso
tutto ciò che l’ingegno umano ha creato di buono e di bello nel
corso dei secoli, purché restassero salve le leggi liturgiche»
(par. 26). Nel par. 19 sono elencati tali qualità proprie della
liturgia, quale la santità, la bontà della forma e l’universalità.
Comincia l’Enciclica ad enunciare la definizione della musica, dono
divino elargito all’uomo, creato a immagine e somiglianza di Dio, in cui
è armonia di perfetta concordia e somma coerenza (par. 2). Nei paragrafi
5 e 6 si nota il cammino dal canto gregoriano alla polifonia (progresso
determinato per impulso e sotto l’auspicio della Chiesa) e nel par. 7 si
accenna alla vigilanza della Chiesa stessa imposta dal Concilio di Trento
fino alla recente restaurazione di San Pio X. A questo proposito l’Enciclica
fa notare che la Chiesa non ha mai imposto leggi di carattere estetico
e tecnico (par. 8), ma solo ha salvaguardato la difesa di ciò che
può alterare la dignità del culto divino. Penserei, infine,
riguardo al par. 10, di tradurre l’errato concetto dell’arte per l’arte
con: l’arte per quella parte di Dio che é arte, considerando Dio
come armonia suprema. Anche nella musica essere soggetti alla legge divina
vuol dire essere divinamente liberi. Né l’elevazione della musica
sacra deve significare astrazione. Superare l’umanità non significa
distruggerla. Gesú fu il ponte umano fra Dio e gli uomini; anche
nella musica sacra non si dimentichi la terra, cosí come la teologia
non esclude il cuore, ma anzi vive in quanto è la luce della carità
fra gli uomini.
Penso che in virtú di questa umanità persino l’artista
che ritenesse di essere senza fede, proponendosi di scrivere musica religiosa,
troverebbe con stupore e meraviglia un afflato divino, come S. Paolo sulla
via di Damasco, una folgorazione che lo travolgerebbe come un prodigio.
Basterebbe, a prova di questo, la mirabile musica con cui Riccardo Wagner,
soggiogato dall’incantesimo della religione, espresse le parole della Consacrazione
nel Parsifal. Cosí egli trovò il suo Dio nella sua espressione,
un Dio incontrato dal suo genio. In quel momento l’artista, anche se credente
a modo suo, fu sinceramente religioso. Questo però non esclude naturalmente
che «l’artista debba essere prima di tutto credente». La parola
del S. Padre ha qui un carattere piú esortativo che definitivo.
Certo una fede quanto piú è vera fede, tanto piú
sente nell’arte il mezzo diretto per servire in bellezza il vero Dio. La
sincerità e l’abbandono di tale fede possono essere allora una suprema
garanzia. Ma non è tutto. Bisogna anche non sia la sincerità
d’un artista mediocre. La bontà e la fede d’un credente non bastano
in questo caso ad avallare un artista «Quando manchino la capacità
e i mezzi per tanto impegno è meglio astenersi» (par.
29).
Credo, pertanto, che per educare tali capacità e tali mezzi
sia necessario un apostolato liturgico che può avere un’efficiente
collaborazione nei Conservatori, sia per i Sacerdoti che intendessero frequentarli
(non è sempre agevole frequentare la Scuola Pontificia di Musica
Sacra a Roma), sia per i laici che vogliono coltivare questo ramo eletto
dell’arte musicale. Negli attuali programmi ministeriali il canto gregoriano
ha un posto relativamente ristretto e assai mortificato di fronte alla
sua importanza. L’alunno di composizione ha un limitato corso di organo
complementare della durata di un anno. Nel programma di licenza le sole
prove n. 4 e 5 prescrivono: «Rispondere sulla teoria del canto gregoriano
e accompagnamento di una melodia gregoriana». L’allievo di organo
si limita alla prova n. 6 nel compimento del corso medio: «Accompagnamento
di una melodia gregoriana di genere sillabico nel modo originale»
e alla prova n° 5 del Diploma: a) Accenno con la voce e di poi accompagnamento
con l’organo di una melodia gregoriana (genere neumatico) nella modalità
originale e di un’altra trasportandola».
Non ritengo tale preparazione e tali esigenze sufficienti.
Per questo insegnamento non credo inoltre che la conoscenza teorica
e pratica del canto gregoriano di qualsiasi maestro, anche se sperimentato,
sia sufficiente a far innamorare gli allievi della materia al punto che
possano assimilarla come una necessità spirituale della loro arte.
Bisogna che l’insegnante senta e propaghi anche la poetica di tale materia.
Nessuno, a mio avviso, mi pare piú adatto dell’insegnante specifico
di alta composizione, che dovrebbe svolgere uno speciale programma, animato
dalla sua intuizione di artista, per avviare l’interesse e l’applicazione
artistica di tale prezioso ramo della musica. Tale maestro, sia perché
geniale compositore, sia perché ricco di quella cultura adatta ad
approfondire tale studio, mi sembra sia da preferirsi anche ad un professore
di storia o musicologo, che potrebbe allontanare, con l’aridità
di un malinteso metodismo, l’alunno che dev’essere animato dalla sostanza
viva ed emotiva dell’arte e del canto gregoriano. Tale conoscenza e assimilazione
può dare frutti in modo che la suggestione del canto gregoriano
suggerisca nuove sensibilità anche nel campo non sacro. Dallo studio
della musica liturgica l’allievo compositore potrebbe trarre poi grandi
vantaggi anche nella preparazione dell’Oratorio di cui a scelta del candidato
è richiesta la composizione nel diploma finale. Bisogna far sentire
e capire che il gregoriano era la massima espressione, compiuta, di un’epoca
che non aveva trovato ancora l’ausilio e la nervatura della polifonia e
dell’armonia, ma che pure conteneva nelle sue linee orizzontali la risultante
potenziale e profetica di quello che doveva nascere nella conquista verticale
dei secoli seguenti. Respighi, Pizzetti, Perosi e Refice hanno lasciato
preclari esempi di come il materiale gregoriano può essere idealmente
sfruttato. Da tali esempi ne consegue come l’approfondimento di questa
cultura, facendone uno specifico corso basilare per i compositori, può
elevare il tono dell’ispirazione e questa illuminarsi, quando c’è
una disposizione interiore di particolare fantasia, in nuove forme piú
distese, piú serene e piú vicine a Dio in una
felicita che conforta gli uomini, perché frutto di una sofferenza
contenuta in una dignità che è il sustrato della bontà,
assai simile alla luce che proviene dal sorriso dei Santi.
Ci sono nell’arte musicale delle vette (basta pensare a certi adagi
di Beethoven) che sono come dei testamenti spirituali, fonti a cui ogni
artista deve dissetarsi, alte stelle a cui ci conduce un particolare misticismo
intimo, parole di divina semplicità eterne come il Vangelo.
A queste alte vette conduce, per analogia, lo studio del canto gregoriano.
I canoni della sua squisita sensibilità devono quindi essere esposti
e diffusi anche per portare in altre zone musicali la sua pura moralità
artistica senza esasperazione, senza gridi melodrammatici, senza veleni
di contorti romanticismi e senza l’incubo di smarriti complicati ermetismi
dodecafonici. Né, al contrario, questa divina semplicità
deve confondersi con la povertà di modesti e illusi artisti che
presumono di giustificare, con malintese ragione di storia, la loro arida
impotenza. Saper far comprendere l’eterno di certe melodie gregoriane,
la vastità senza confine delle sue inflessioni ritmiche, il significato
e lo stupore delle sue modalità e compito dei maestri di oggi, che
debbono insegnare come i piú grandi artisti di ogni tempo, da Bach
e Beethoven a Palestrina e Wagner, si sono incontrati in questo altissimo
cielo della musica sacra.
Solo cosí intesa la musica sacra è la rigeneratrice di
qualsiasi musica. Come la religione per la vita, essa non può essere
circoscritta fuori dalla vita stessa. Dio è prima fonte di ogni
respiro sia vitale che artistico. Alla musica il compito di farci pregustare,
nella nostra affannata vita terrena, il paradiso e l’eternità.
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