I  MALI  DELLA  MODERNITÁ  E  LA  MISERICORDIA  DIVINA 
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Quante volte ci sarà capitato di sentir parlare di effetti psicosomatici in campo medico. Oggi, addirittura, siamo al punto che si parla di "patologia esistenziale", vale a dire di effetti patologici causati dal modo di vita odierno: il che è molto di piú del cosiddetto "stress". D'altronde, è ormai diffusissimo l'uso dell'indagine "psicologica" allo scopo di spiegare l'insorgere di molti disturbi "somatici". 
Se ci si sofferma appena sul significato dei termini che vengono impiegati, ci si rende subito conto che, in parole povere, si afferma che molti disturbi del corpo (soma) non sono altro che la conseguenza dei disturbi dell'anima (psiche). 
A onor del vero, non è questo il senso che si dà esattamente a questi termini, nei vari discorsi medico-specialistici, eppure questo è il significato loro proprio: si tratta solo di un caso? del fortuito cattivo uso del termine soma e, soprattutto, del termine psiche
In effetti, se andiamo un po' indietro nel tempo, ci accorgiamo che già molte espressioni popolari stavano ad indicare come fosse diffuso il convincimento (e sarebbe meglio dire "la consapevolezza") che molte malattie del corpo non fossero altro che la conseguenza di un disordine interiore: condotta immorale, innata e non combattuta tendenza a far prevalere in sé lo stimolo al male (Matteo, 6, 22-23; Luca, 11, 33-35). 
Chi non ricorda che un tempo gli stessi flagelli vissuti dai nostri padri, venivano sentiti come un "castigo di Dio"? Vero è che a molti di noi, soprattutto a scuola, è stato insegnato che si trattava solamente di semplice credulità popolare, ma è proprio qui il busillis

Quando si tratta di argomenti cosiddetti scientifici, o che si configurano come tali, diventa ben interessante discettare, a lungo e a fondo, sulla relazione strettissima esistente fra psiche e corpo, e sulla dipendenza esistente tra la prima e il secondo; mentre invece, quando gli stessi concetti vengono applicati, del tutto logicamente, ai rapporti complessivi che esistono fra la condizione dell'anima umana e il corrispondente benessere fisico dell'uomo, ecco che scattano i luoghi comuni dell'ignoranza, della superstizione e della credulità. 
In tempi come i nostri, cosí "progrediti", in barba a tutte le scienze e a tutti gli scienziati, certi mali fisici si manifestano impensati e inaspettati: è questo il caso, fra gli altri, della "sindrome da immunodeficienza acquisita", volgarmente detta Aids; ebbene, se vi fossero dei dubbi circa il rapporto intrinseco fra "anima in pena" e "corpo malato", questo nuovo flagello che ha colpito l'umanità dovrebbe fugarli tutti. 
Diversamente da come accadeva fino a qualche tempo fa, quando il rapporto fra psiche scomposta e corpo afflitto era piú intuibile che immediatamente verificabile, oggi, dato il sempre piú abbuiarsi dei tempi, è constatabile con estrema facilità che l'insorgere della malattia è direttamente connesso a modi di pensare e di comportarsi del tutto scorretti, scomposti e disordinati. In altri termini, la malattia dell'Aids non si contrae solo per contagio accidentale, ma si scatena quasi inesorabilmente a causa di un modo di vita che oggi si potrebbe chiamare "riprorevole", ma che si è sempre chiamato "peccaminoso". 
Ben inteso, non intendiamo affermare che "scientificamente" la condotta "peccaminosa", a un certo momento, ha generato il virus dell'Aids, ma ci limitiamo semplicemente alla constatazione di un fatto: data l'esistenza del virus, questo si propaga da un uomo all'altro solo in seguito a comportamenti reciproci che si possono definire, nel migliore dei casi, irresponsabilmente viziosi. 

Non è possibile che sfugga, anche ad un minimo di attenzione, come ormai le coincidenze siano diventate un po' troppe: negli ultimi lustri, al progressivo allontanamento dalla pratica religiosa e, soprattutto, alla progressiva perdita della concezione che aiutava l'uomo a "vivere religiosamente", ha corrisposto il diffondersi sempre piú incontrollato di guerre, sconvolgimenti sociali, aberrazioni politiche, disastri ecologici, malattie incurabili, pornografia, omosessualità, aborto e genocidio. 
Qualcuno potrà anche pensare che si tratta di "roba da antiquariato", ma come impedire che si affacci alla memoria l'antico convincimento del "castigo di Dio"? 
Nascono allora diversi interrogativi, che non è facile, oggigiorno, approfondire con la necessaria serenità, soprattutto perché, anche in campo ecclesiale, si è giunti fino ad un clamoroso mutamento del linguaggio, che indubbiamente è espressione del mutamento dei convincimenti e della stessa Fede. 

Ma, ci si chiede: qual'è il senso di accadimenti e di fenomeni che fanno pensare al "castigo di Dio", quando sappiamo che Dio è Amore e Misericordia? E se Dio è anche Rigore, come si coniuga quest'ultimo con la sua infinita Misericordia? Non abbiamo la pretesa di svolgere argomentazioni teologiche e ci atterremo quindi al buonsenso di semplici credenti, il quale ci suggerisce che il Rigore di Dio è strettamente connesso al suo Amore ed alla sua Misericordia: nella sua infinita Misericordia, Iddio ci manifesta il suo Amore usando verso i peccatori il suo Rigore, affinché essi, provvidenzialmente avvertiti, possano pentirsi e convertirsi. Il peccatore subisce, per volontà di Dio, le conseguenze del suo peccato, ma ciò avviene perché cosí gli sia manifesta la Misericordia divina, che in tal modo lo induce a considerare il suo peccato, a condannarlo e a ritornare a Dio. 
Contrariamente a quanto usa sostenere una certa pastorale a buon mercato, la Misericordia di Dio non corrisponde, quasi in modo esclusivo, alla indiscriminata tolleranza nei confronti del peccatore impenitente. La pietà del cuore (miserere cordis) di Dio, il suo Amore, non indulge nei confronti del peccato, ma lo rimette solo a condizione che non si pecchi piú (Giovanni, 5, 14; 8, 11). 
In altre parole, la Misericordia e l'Amore di Dio si manifestano anche attraverso il Rigore di Dio: in questa vita, con i segni che permettono al peccatore di essere avvertito e di convertirsi, e, ove ciò non accadesse, nell'altra vita, con la condanna alle pene eterne dell'inferno. 
Questi concetti sono cosí semplici e facili da capire che ci si stupisce che ci siano tanti credenti che si ostinino a pensare che la misericordia corrisponda tout court alla sola comprensione e al solo perdono. 

Forse è utile ricordare che la dottrina cristiana ha sempre insegnato che l'amore per il prossimo si estrinseca attraverso le opere di misericordia, le quali, guarda caso, non sono solo corporali, ma anche spirituali; anzi, le sette opere di misericordia spirituale sono sempre state anteposte alle sette opere di misericordia corporale, a significare che le seconde senza le prime hanno solo un'efficacia ridotta o nulla, quando non un effetto contrario. 
Visitare gli infermi non può essere che un'opera conseguente all'Insegnare agli ignoranti e all'Ammonire i peccatori. Nessuna concessione, quindi, all'egoismo e all'indifferenza nei confronti di coloro che soffrono a causa dei loro mali (corporali e spirituali), ma l'amore e la misericordia nei loro confronti passa inesorabilmente attraverso l'insegnar loro qual'è la giusta condotta di vita che devono tenere, pena i dolori e le afflizioni che subiranno in questa e nell'altra vita. Ogni comportamento "umanitario" ed ogni forma di "pietà" che prescindessero da tali imperativi, non solo non potrebbero dirsi realmente cristiani, ma non sarebbero di giovamento nemmeno allo stesso peccatore interessato, che magari potrebbe provare benefici momentanei, sia fisici, sia sentimentali, ma che vedrebbe la propria anima rimanere immersa nelle tenebre del peccato; e che cos'è piú giusto per un uomo: che gioisca il suo corpo e il suo sentimento mentre la sua anima resti cieca alla luce divina o l'esatto contrario? (Luca, 9, 25). 

Per concludere, ci sembra che nei confronti dei mali che affliggono i tempi nostri (dall'Aids alla droga, dall'aborto al genocidio, dalla lussuria al consumismo, ecc.) si può essere misericordiosi non insegnando "moralisticamente" quali sono i rischi che tali mali comportano e quali sono i rimedi "furbeschi" per evitarli, bensí insegnando che le azioni umane devono innanzi tutto conformarsi ai precetti divini, che va anteposto il bene dell'anima al benessere del corpo, che «Se il tuo occhio destro ti è occasione di scandalo, cavalo e gettalo via da te: conviene che perisca uno dei tuoi membri, piuttosto che tutto il tuo corpo venga gettato nella Geenna» (Matteo, 7, 29). 
In altre parole, non può concepirsi una vita ordinata, ove sussista al meglio l'equilibrio "psico-fisico", senza l'osseqio preminente dei precetti morali e religiosi, essi e solo essi possono essere la guida sicura per una condotta di vita veramente umana. Tutte le concezioni che pretendono di ridurre la religione e i suoi insegnamenti a mero fatto "privato", ad "una" fra le tante componenti della morale umana, se non addirittura a subordinarla alla cosiddetta "morale laica" (cioè alla "morale ignorante"), sono altrettanti fomentatori di errori, sono le concause dei mali che ci affliggono, sono l'effetto del lavorio incessante del demonio che si aggira famelico fra di noi per condurre le nostre anime alla perdizione eterna. 

Certo, può essere utile far conoscere ai giovani quali sono i metodi per evitare che contraggano questo o quel malanno, quali sono i modi per non incorrere in questo o quell'errore, ma a cosa vale tutto questo se non è preceduto da una profonda educazione che li aiuti a conformarsi alla volontà divina? 
Bene fa lo stato a predisporre i servizi idonei a tali bisogni, ma fa malissimo (e non potrebbe essere diversamente per uno "stato laico") allorché pretende di "educare" solo attraverso le piú impensate informazioni ove inevitabilmente finiscono col prevalere gli elementi della morbosità, della curiosità fine a sé stessa, della tentazione alla sfida e al rischio, e finalmente della istigazione al male. Non parliamo poi del fatto che, in nome della pietà umana, della solidarietà, dell'umanitarismo, sempre intese in senso "laico" (e cioè prescindendo volutamente dagli insegnamenti divini), si pretenda di dare lezioni di dottrina morale alla Chiesa, quando questa si esprime giustamente contro l'uso di rimedi che, al pari del male che dovrebbero prevenire, sono ugualmente dei fomentatori di disordine morale. 

Sempre a proposito di Aids, un amico ci faceva giustamente notare quanta sia contraddittoria la pretesa laica che la Chiesa non condanni l'uso del preservativo: come dire che a fronte di un male strettamente connesso a comportamenti moralmente condannabili, si pretende che la Chiesa sostenga l'uso di mezzi preventivi altrettanto moralmente disordinati. Alla faccia della coerenza! Ma in effetti, richiamare alla coerenza i fautori delle moderne concezioni di vita è semplice contraddizione, e se una coerenza c'è, questa consiste nel tentativo, ormai neanche tanto nascosto, di ridurre la Chiesa, i suoi precetti morali ed i suoi insegnamenti a semplici "idee" o opinioni, pronte a mutare col mutare degli umori e delle mode. 

A Dio piacendo, ciò non accadrà mai: sta scritto infatti: non prevalebunt
Oh! quanto sarebbe meglio se tanti ecclesiastici "aggiornati" tenessero piú presente tale promessa divina! 

CC



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