CATTOLICI A CONVEGNO

SIMPOSIO SULLA LITURGIA
(6/96)

Riflessioni di laici e chierici sui guasti e sulla poca ortodossia della nuova liturgia conciliare. 
Gli uomini di Chiesa invocano il ritorno alla Tradizione 






Nei giorni 4, 5 e 6 ottobre scorsi si è svolto in Francia, a Notre-Dame-du-Laus, il 1° Simposio sulla Liturgia Cattolica Romana, su iniziativa del C. I. E. L. (Centre International des Études Liturgiques con sede a Parigi). 
Come si evince dalla denominazione stessa del C. I. E. L., l'argomento intorno al quale si sono svolti i vari interventi è stato essenzialmente quello della liturgia tradizionale della Chiesa Cattolica. 
Il simposio si è svolto sotto il patrocinio di due cardinali di Santa Romana Chiesa: S. E. Rev.ma il Cardinale Silvio Oddi, Prefetto Emerito della Sacra Congregazione per il Clero, e S. E. Rev.ma il Cardinale Alfonso Stickler, Archivista e Bibliotecario Emerito di Santa Romana Chiesa. Per motivi di salute il Cardinale Oddi non ha potuto presenziare al simposio, che ha visto invece la presenza costante del Cardinale Stickler, che ha aperto e chiuso i lavori celebrando la S. Messa col Rito Tradizionale. 
Numerosa e qualificata la presenza dei partecipanti, quasi alla pari suddivisi tra religiosi e laici, con una forte percentuale di giovani, soprattutto tra il clero, cosa questa che può senz'altro essere considerata di buon auspicio per la battaglia condotta da piú parti per il ripristino della liturgia tradizionale della Chiesa. 

Da notare la partecipazione operativa dei sacerdoti dell'Istituto di Cristo Re Sommo Sacerdote, di Gricigliano (FI), nonché la qualificata presenza dell'Abate del monastero Sainte Madeleine di Le Barroux, Dom Gérad Calvet, e di alcuni dei suoi monaci. 
Nei tre giorni sono state svolte dieci relazioni: 
L'importanza della liturgia per il clero e i fedeli (S. E. Rev.ma il Card. A. Stickler); 
La devozione eucaristica nella Chiesa dopo il Concilio di Trento(prof. Dieter Weiss); 
Il movimento liturgico di Dom Guéranger alla vigilia del Concilio Vaticano II (conte Wolfgang Waldstein); 
L'ecclesiologia attraverso i libri liturgici (Mons. Gilles Wach); 
L'orientamento dell'altare: storia e teologia (R. P. Louis Bouyer); 
Presenza reale e rito della Comunione (Dom Denis Le Pivain); 
Incarnazione, storia e sacrificio della Messa: I problemi della concelebrazione frequente (Mons. Rudolf M. 

Schmitz); 
Implicazioni morali per il sacerdote nella celebrazione della Messa (Don Dario Composta); 
Giurisdizione episcopale e pratica sacramentale nella Francia del XVII sec. (R. P. Pierre Blet); 
I decreti disciplinari del Concilio di Trento sulla liturgia (Don Reinhard Knittel). 

Gli interventi hanno tutti rivelato una profonda conoscenza del problema trattato e hanno messo in luce aspetti ministeriali e teologici della liturgia romana che molti si ostinano ad ignorare ed altrettanti continuano a travisare. Seguendo i vari interventi la prima cosa che ci ha colpito è che la supposta riscoperta delle forme liturgiche "originarie" della Chiesa (riscoperta tanto decantata dai modernisti) si fonda, in genere, su una mancanza di approfondimento dei dati e su una informazione che quando non è volutamente lacunosa è sempre superficiale e frammentaria. 
Purtroppo nel corso dell'ultimo secolo molti studiosi cattolici si sono limitati a prendere per buone le osservazioni e le interessate conclusioni derivate dalla scuola esegetica tedesca, monopolizzata dai teologi protestanti; è cosí che hanno finito con l'affermarsi le piú infondate teorie sulla liturgia delle "origini". Il lavoro svolto negli ultimi 50 anni da alcuni studiosi cattolici ha permesso di smantellare le interessate teorie dei protestanti e di chi aveva dato loro credito, ma intanto il danno era stato fatto e il Concilio Vaticano II divenne lo strumento di revisione di ciò che la Chiesa aveva sempre mantenuto in conformità alla Tradizione e alla pratica religiosa degli Apostoli. 
Fra i diversi interventi, tutti di grande interesse anche per la mole di lavoro di ricerca svolto dagli autori, ne segnaliamo alcuni la cui tematica ha delle rilevanti implicazioni sia di ordine rituale sia di ordine teologico. 

Mons. Schmitz (I problemi della concelebrazione frequente) ha fatto notare come la cosiddetta "concelebrazione" non trova alcuna giustificazione nella teologia sacramentale della S. Messa. Tolti alcuni casi molto particolari (come quello della presenza del Vescovo o del Papa), la "concelebrazione" svilisce l'ordinamento gerarchico della Ecclesia (clero e fedeli) e introduce una concezione ecclesiologica foriera di gravi confusioni sia sul ruolo del presbitero (che agisce sempre in persona Christi, indipendenter ab aliis) sia, e soprattutto, sull'efficacia della grazia (fructus generalis) che scaturisce dall'azione sacrificale della S. Messa (actus sacramentalis totalis). Non possiamo riassumere l'articolata e approfondita esposizione di Mons. Schmitz, ricca peraltro di richiami teologici, e ci limitiamo a considerare, da parte nostra, che essendo la litugia terrestre un riflesso della liturgia celeste (dottrina ripresa dal Concilio Vaticano II), non si vede come la prima possa fare a meno di riflettere l'ordine gerarchico presente nella celebrazione della seconda. Peraltro, anche col Novus Ordo, si continua a parlare di gerarchie celesti nel corso della S. Messa (p. es. nei Prefazi), salvo poi far credere ai fedeli che la celebrazione della liturgia terrestre sia qualcosa di "comunitario" in cui "tutti" celebrano allo stesso modo, sotto la "presidenza" del prete. Con tutta evidenza si tratta bene di una concezione protestante della S. Messa, concezione che alla base pone l'idea della insignificanza della figura del prete, perché non gli si riconosce la funzione liturgica in persona Christi. Se si pensa poi alla pretesa di considerare la "concelebrazione" come una sorta di "moltiplicatore" della grazia, diventa evidente come si sia finito col disconoscere, o perlomeno con lo sminuire, il senso della S. Messa, che è un unicum la cui realtà intrinseca non è legata all'azione ministeriale del prete, ma è costituita dall'azione del Cristo stesso. Senza contare che il bene dei fedeli richiederebbe la celebrazione di piú Messe piuttosto che la concelebrazione di una sola Messa da parte di piú preti, sia dal punto di vista sacramentale e teologico sia dal piú semplice punto di vista ministeriale, tanto piú che si va sempre piú ampliando la penuria di preti e il numero di chiese costrette a chiudere per difetto di celebranti. 

Il conte Wolfgang Waldstein (Il movimento liturgico di Dom Guéranger alla vigilia del Concilio Vaticano II) ha esposto un articolato esame della vicenda equivoca che vide contrapposti molti Padri conciliari con il sopraggiunto Mons. Annibale Bugnini, segretario per la Congregazione del Culto Divino e in pratica il braccio armato della corrente modernista che volle a tutti i costi protestantizzare la liturgia cattolica, in aperto contrasto con il Concilio stesso, tanto che nel 1975 (ma ormai il danno era stato fatto e in maniera ben grave) il Bugnini venne praticamente bandito dallo stesso Papa Paolo VI, che tanto incautamente gli aveva permesso di manipolare i libri liturgici. Il conte Waldstein ha fatto notare come gli innovatori ad ogni costo usassero strumentalmente sia l'opera di Dom Prosper Guéranger (  1875), abate di Solesmes e iniziatore del movimento liturgico, sia le disposizioni papali: dall'enciclica Mediator Dei di S. S. Pio XII alla costituzione apostolica Veterum Sapientia dello stesso Giovanni XXIII (che sembra essere scomparsa dalla "memoria storica" dei modernisti). In sintesi, dalla relazione del conte Waldstein si comprende bene come l'ecumenismo tanto richiamato per giustificare le riforme sia stato, nella realtà, un avvicinamento a senso unico della liturgia cattolica tradizionale alla pseduo-liturgia eretica del mondo protestante. Da parte nostra, ci viene da considerare che se di vero ecumenismo si fosse trattato, nella liturgia riformata dopo il Concilio avremmo ritrovato anche elementi propri della liturgia ortodossa orientale, della quale invece non si trova traccia: anzi, ove si pensi che l'abolizione del latino ha intenzionalmente comportato la sparizione di tutte le antiche invocazioni in greco (vedi il Kyrie), di fatto nella nuova liturgia non v'è piú nulla che ricordi la fede comune dei cristiani d'Occidente e d'Oriente. Tutte le preoccupazioni sono state rivolte a cercare di giustificare Lutero e di svilire San Pio V, di comprendere Calvino e di gettare fra le cose vecchie San Pio X. Come giustamente ha ricordato il conte Walstein lo stesso Dom Guéranger aveva a suo tempo indicato che i due elementi che caratterizzano l'eresia antiliturgica sono proprio l'uso della lingua volgare nella liturgia e la "ripresentazione" dei testi della Scrittura. Questi mezzi permettono agli eretici di ignorare la voce della Tradizione e di presentare i vari passi della Scrittura in modo tale da dar forza alle loro tesi e far passare sotto silenzio tutto quello che le contraddice. Come si vede, non si tratta tanto, come ci è stato predicato, di far meglio comprendere ai fedeli i passi della Scrittura (cosa peraltro già scontata visto che da secoli ormai la Bibbia è stata tradotta e pubblicata in volgare), quanto di utilizzare questa scusa per poter liberamente giungere al suo uso strumentale. Si sa infatti che uno degli elementi importanti della riforma liturgia è proprio costituito dal completo rimaneggiamento dei lezionari. 

Veniamo adesso ad un altro intervento di notevole interesse, quello del R. P. Louis Bouyer (L'orientamento dell'altare: storia e teologia). Ricordiamo che la questione dell'orientamento delle chiese e dell'altare, cosí enormemente sottovalutata da piú parti, soprattutto negli ultimi secoli, trova il suo fondamento nell'Antico Testamento ove la costruzione della Tenda prima, e del Tempio poi, viene eseguita su precise prescrizioni divine. Tali prescrizioni vengono ribadite dal Nuovo Testamento, soprattutto in relazione all'orientamento del fedele orante. Ricordiamo anche che l'uso del termine "orientamento", mantenutosi fino ad oggi per indicare una data direzione, non è cosa casuale, visto che il termine sta ad indicare con esattezza la direzione dell'"Oriente" appunto, intesa come direzione per eccellenza. 
Il R. P. Bouyer ha richiamato gli elementi archeologici e scritturali che aiutano a far comprendere come i cristiani, fin dalle origini, si volgessero ad Oriente per pregare il Signore, perfino durante le àgapi che inizialmente si svolgevano in concomitanza con la celebrazione eucaristica. Quando, agli inizi, i fedeli si riunivano nelle sale di case private si preoccupavano di utilizzare queste sale in modo da aver facilitata la preghiera ad orientem. Quando si provvide poi alla costruzione delle prime chiese ci si preoccupò di "orientare" tutto l'edificio, di modo che il culto fosse reso nella maniera dovuta. Questo richiamo che il R. P. fa alla differenza tra àgape e celebrazione eucaristica la dice lunga sulla poca buona fede di coloro che vorrebbero confondere la "cena" con l'Eucaristia, per ridurre tutto ad un incontro conviviale. Non ci si scandalizzi se ci richiamiamo alla "buona fede", poiché è sempre bene ricordare che le polemiche dei modernisti circa l'orientamento delle chiese e dei fedeli, nonché sulla postura del prete celebrante, si sono sempre basate sull'asserzione che gli usi dei primi cristiani sconfessassero gli altari rivolti ad Est e il prete con le spalle ai fedeli (e cioè tutti, prete compreso, rivolti ad Dominum). Costoro, basandosi su delle supposte ricerche "moderne" condotte in prevalenza da agnostici e protestanti, hanno sempre sostenuto che i dati archeologici e i documenti storici dimostravano che gli usi rituali nelle prime chiese e dei primi fedeli fossero diversi da quelli conservatisi tradizionalmente. Ora, e ormai da piú di un trentennio, gli attenti studi condotti sull'argomento sono giunti a confutare in maniera definitiva le pretese dei modernisti, cosí che si comprende che spesso si è avuto a che fare per un verso con degli incompetenti e per l'altro con persone interessate a far prevalere le loro tesi preconcette, e cioè in mala fede. 
A scanso di equivoci e perché si comprenda bene che non intendiamo accusare nessuno di "diabolica volontà", è utile ricordare che l'espressione "mala fede" sta semplicemente ad indicare che si ha a che fare con qualcuno che vive e sente la fede in maniera errata, anche potendosi trattare di una cosiddetta "brava persona". Ora, chi vive la fede in maniera errata è, per ciò stesso, un eretico, mentre può continuare ad essere una "brava persona", piena di buone intenzioni. La salvezza, però, è data ai veri credenti, ai veri fedeli, e non semplicemente alle brave persone; queste ultime, se sono cattivi credenti, e cioè in mala fede, saranno giudicati per la loro "iniquità". 

Terminiamo segnalando che gli atti di questo simposio sulla liturgia verranno pubblicati a cura del C. I. E. L.; provvederemo a darne notizia e, eventualmente, a farli avere a chi ne facesse richiesta.

[Presso la nostra segreteria sono disponibili i testi di tutte le conferenze: in francese; solo alcune anche in italiano)


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