ARCHEOLOGITE LITURGICA - SACRILEGIO DILAGANTE
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San Cirillo di Gerusalemme e la Comunione sulla mano
[A proposito della questione relativa alla cosiddetta "Comunione sulla
mano",
riproduciamo un articolo del R. P. Giuseppe Pace, S. B. D.,
pubblicato nel n° di gennaio 1990 del periodico Chiesa Viva
(Editrice Civiltà, via Galileo Galilei, 121, 25123 Brescia).]
La ghianda è una quercia in potenza; la quercia è una
ghianda divenuta perfetta. Il ritornare ghianda per una quercia, posto
che lo potesse senza morire, sarebbe un regredire. Per questo nella Mediator
Dei (n. 51) Pio XII condannava l'archeologismo liturgico come antiliturgico
con queste parole: «… non sarebbe animato da zelo retto e intelligente
colui il quale volesse tornare agli antichi riti ed usi, ripudiando le
nuove norme introdotte per disposizione della Divina Provvidenza e per
mutate circostanze. Questo modo di pensare e di agire, difatti, fa rivivere
l'eccessivo ed insano archeologismo suscitato dall'illegittimo concilio
di Pistoia, e si sforza di ripristinare i molteplici errori che furono
le premesse di quel conciliabolo e ne seguirono, con grande danno delle
anime, e che la Chiesa, vigilante custode del Depositum Fidei affidatole
dal suo divin Fondatore, a buon diritto condannò».
Di una tale ossessione morbosa - di archeologite - sono preda quei pseudoliturgisti
che stanno desolando la Chiesa in nome del Concilio Vaticano II; pseudoliturgisti
che talora giungono al punto di spingere con l'esortazione e con l'esempio
i loro sudditi a violare quelle poche leggi sane che ancora sopravvivono,
e da loro stessi formalmente promulgate o confermate.
Sintomatico a questo riguardo è il caso del rito della Santa
Comunione. Qualche vescovo infatti, dopo aver proclamato che il rito tradizionale,
di collocare le sacre Specie sulle labbra del comunicando, è tuttora
in vigore, permette tuttavia che si distribuisca la santa Comunione in
cestelli che si passano i fedeli dalla mano dell'uno a quella dell'altro;
o lui stesso depone le sacre Specie nelle mani nude - e sempre pulite?
- del comunicando. Se si vuole convincere i fedeli che la santissima Eucarestia
non è che del pane comune, magari anche benedetto, per una refezioncella
simbolica, certo si è imbroccata la via piú diretta: quella
del sacrilegio.
I fautori della Comunione in mano fanno appello a quell'archeologismo
pseduoliturgico condannato apertis verbis da Pio XII. Dicono infatti
e ripetono che in tal modo la si deve ricevere, perché in tal modo
si è fatto in tutta la Chiesa, sia in Oriente che in Occidente dalle
origini in poi per mille anni.
È vero e certo che dalle origini in poi per quasi duemila
anni i comunicandi dovevano astenersi da qualsiasi cibo e bevanda, dalla
vigilia fino al momento della santa Comunione, in preparazione alla medesima.
Perché quelli dell'archeologite non restaurano un tale digiuno eucaristico?
che certamente contribuirebbe non poco a mantenere vivo nella mente dei
comunicandi il pensiero della santa Comunione imminente, e a disporveli
meglio.
È invece certamente falso che dalle origini in
poi per mille anni ci sia stata in tutta la Chiesa, in Oriente e in Occidente,
la consuetudine di deporre le sacre Specie nelle mani del fedele.
Il cavallo di battaglia di quei pesudoliturgisti è il seguente
brano delle Catechesi mistagogiche attribuite a san Cirillo
di Gerusalemme:
«Adiens igitur, ne expansis manuum volis, neque disiunctis
digitis accede; sed sinistram velut thronum subiiciens, utpote Regem suscepturæ:
et concava manu suscipe corpus Christi, respondens Amen».
(Andando quindi [alla Comunione] accostati non con le palme delle mani
aperte, né con le dita disgiunte; ma tenendo la sinistra a guisa
di trono sotto a quella che sta per accogliere il Re; e con la destra concava
ricevi il corpo del Cristo, rispondendo Amen).
Giunti a questo Amen, si fermano; ma le Catechesi mistagogiche
non si fermano lí, ed aggiungono:
«Postquam autem caute oculos tuos sancti corporis contactu
santificaveris, illud percipe… Tum vero post communionem corporis Christi,
accede et ad sanguinis poculum: non extendens manus; sed pronus
[in greco: 'allà kùpton, che il Bellarmino traduce genu flexo],
et
adorationis ac venerationis in modum, dicens Amen, sancticeris, ex sanguine
Christi quoque sumens. Et cum adhuc labiis tuis adbaeret ex eo mador, manibus
attingens, et oculos et frontem et reliquos sensus sanctifica… A communione
ne vos abscindite; neque propter peccatorum inquinamentum sacris istis
et spiritualibus defraudate mysteriis». (Dopo che tu con
cautela abbia santificato i tuoi occhi mettendoli a contatto con il corpo
del Cristo, accostati anche al calice del sangue: non tenendo le mani distese;
ma prono e in modo da esprimere sensi di adorazione e venerazione, dicendo
Amen, ti santificherai, prendendo anche del sangue del Cristo. E mentre
hai ancora le labbra inumidite da quello, toccati le mani, e poi con esse
santifica i tuoi occhi, la fronte e tutti gli altri sensi… Dalla comunione
non staccatevi; né privatevi di questi sacri e spirituali misteri
neppure se inquinati dai peccati). (P. G. XXXIII, coll. 1123-1126).
Chi potrà sostenere che un tale rito fosse sia pure un po' meno
che per mille anni consueto nella Chiesa universale? E come conciliare
un tale rito, secondo il quale è ammesso alla santa Comunione anche
chi è inquinato di peccati, con la consuetudine certamente universale
sin dalle origini che proibiva la santa Comunione a chi non era santo?:
«Itaque quicumque manducaverit panem hunc, vel biberit calicem
Domini indigne, reus erit corporis et sanguinis Domini. Probet autem seipsum
homo: et sic de pane illo edat, et de calice bibat. Qui enim manducat et
bibit indigne, indicum, sibi manducat et bibit non diiudicans corpus Domini».
(Perciò chiunque abbia mangiato di questo pane e bevuto del calice
del Signore indegnamente, sarà reo del corpo e del sangue del Signore.
Si esamini dunque ognuno: e cosí [trovatosi senza peccati gravi]
di quel pane si cibi e di quel calice beva. Colui infatti che ne mangia
e ne beve indegnamente, mangia e beve la propria condanna, non discernendo
il corpo del Signore ). (I Corinti, 11, 27-29).
Un tal stravangante rito della Santa Comunione, la cui descrizione si
conchiude con l'esortazione di fare la santa Comunione anche se inquinati
di peccati, non fu certo predicato da San Cirillo nella Chiesa di Gerusalemme,
né poté essere lecito in qualsivoglia altra Chiesa. Si tratta
infatti di un rito dovuto alla fantasia, oscillante tra il fanatismo e
il sacrilego, dell'autore delle Costituzioni Apostoliche:
un anonimo Siriano, divoratore di libri, scrittore instancabile, che riversa
nei suoi scritti, indigerite e contaminate dai parti della sua fantasia,
gran parte di quelle sue stesse letture; che al libro VIII di dette Costituzioni
apostoliche, aggiunge, attribuendo a san Clemente Papa, 85 Canoni
degli Apostoli; canoni che Papa Gelasio I, nel Concilio di Roma del 494,
dichiarò apocrifi: «Liber qui appellatur Canones Apostolorum,
apocryfus (P. L., LIX, col. 163).
La descrizione di quel rito stravagante, se non necessariamente sempre
sacrilego, entrò nelle Catechesi mistagogiche per
opera di un successore di san Cirillo, che i piú ritengono sia il
vescovo Giovanni, cripto-ariano, origeniano e pelagiano; e perciò
contestato da sant'Epifanio, da san Gerolamo e sant'Agostino.
Come può il Leclercq affermare che: «… nous devons
y voir [in detto rito stravagante] une exacte représentation
de l'usage des grandes Eglises de Syrie»? Non lo può
affermare che contraddicendosi, dato che poco prima afferma trattarsi di:
«… une liturgie de fantasie. Elle ne procède et elle
n'est destinée qu'à distraire son auteur; ce n'est pas une
liturgie normale, officielle, appartenant à une Eglise déterminée»
(Dictionaire de Archeologie chretienne et de Liturgie, vol. III,
parte II, col. 2749-2750).
Abbiamo invece delle testimonianze certe della consuetudine contraria,
e cioè della consuetudine di deporre le sacre Specie sulle labbra
del comunicando, e della proibizione ai laici di toccare dette sacre Specie
con le proprie mani. Solo in caso di necessità e in tempo di persecuzione,
ci assicura san Basilio, si poteva derogare da detta norma, ed era concesso
ai laici di comunicarsi con le proprie mani (P. G., XXXII, coll.
483-486).
Non intendiamo, è chiaro, passare in rassegna tutte le testimonianze
invocate a dimostrare che nell'antichità vigeva la consuetudine
di deporre le sacre Specie sulle labbra del comunicando laico; ne indichiamo
solo alcune sintomatiche, e peraltro sufficienti a smentire quanti affermano
che per mille anni nella Chiesa universale, sia d'Oriente che d'Occidente,
fu consuetudine deporre le sacre Specie nelle mani dei laici.
Sant'Eutichiano, Papa dal 275 al 283, a che non abbiano a toccarle
con le mani, proibisce ai laici di portare le sacre Specie agli ammalati:
«Nullus præsumat tradere communionem laico vel femminæ
ad deferendum infirmo» (Nessuno osi consegnare la comunione
ad un laico o ad una donna per portarla ad un infermo) (P. L., V,
coll. 163-168).
San Gregorio Magno narra che sant'Agapito, Papa dal 535 al 536, durante
i pochi mesi del suo pontificato, recatosi a Costantinopoli, guarí
un sordomuto all'atto in cui «ei dominicum Corpus in os mitteret»
(gli metteva in bocca il Corpo del Signore) (Dialoghi, III, 3).
Questo per l'Oriente; e per l'Occidente, si sa ed è indubitabile
che lo stesso san Gregorio Magno amministrava in tal modo la santa Comunione
ai laici.
Già prima il Concilio di Saragozza, nel 380, aveva lanciato
la scomunica contro coloro che si fossero permessi di trattare la santissima
Eucarestia come se si fosse in tempo di persecuzione, tempo nel quale anche
i laici potevano trovarsi nella necessità di toccarla con le proprie
mani (SAENZ DE AGUIRRE, Notitia Conciliorum Hispaniæ, Salamanca,
1686, pag. 495).
Innovatori indisciplinati non mancavano certo neppure anticamente.
Il che indusse l'autorità ecclesiastica a richiamarli all'ordine.
Cosí fece il Concilio di Rouen, verso il 650, proibendo al ministro
dell'Eucarestia di deporre le sacre Specie sulla mano del comunicando laico:
«[Presbyter] illud etiam attendat ut eos [fideles] propria
manu communicet, nulli autem laico aut fœminæ Eucharistiam in manibus
ponat, sed tantum in os eius cum his verbis ponat: "Corpus Domini et sanguis
prosit tibi in remissionem peccatorum et ad vitam æternam". Si quis
hæc transgressus fuerit, quia Deum omnipotentem comtemnit, et quantum
in ipso est inhonorat, ab altari removeatur» ([Il presbitero]
baderà anche a questo: a comunicare [i fedeli] di propria mano;
a nessun laico o donna deponga l'Eucarestia nelle mani, ma solo sulle labbra,
con queste parole: "Il corpo e il sangue del Signore ti giovino per la
remissione dei peccati e per la vita eterna". Chiunque avrà trasgredito
tali norme, disprezzato quindi Iddio onnipotente e per quanto sta in lui
lo avrà disonorato, venga rimosso dall'altare). (Mansi, vol.
X, coll. 1099-1100).
Per contro gli Ariani, per dimostrare che non credevano nella divinità
di Gesú, e che ritenevano l'Eucarestia come pane puramente simbolico,
si comunicavano stando in piedi e toccando con le proprie mani le sacre
Specie. Non per nulla sant'Atanasio poté parlare dell'apostasia
ariana (P. G., vol. XXIV, col. 9 ss.).
Non si nega che sia stato permesso ai laici di toccare talora le sacre
Specie, in certi casi particolari, o anche in alcune Chiese particolari,
per qualche tempo. Ma si nega che tale sia stata la consuetudine della
Chiesa sia in Oriente che in Occidente per mille anni; e piú falso
ancor affermare che si dovrebbe fare cosí tuttora. Anche nel culto
dovuto alla santissima Eucarestia è avvenuto un sapiente progresso,
analogo a quello avvenuto nel campo dogmatico (con il quale non ha nulla
a che fare la teologia modernista della morte di Dio).
Detto progresso liturgico rese universale l'uso di inginocchiarsi in
atto di adorazione, e quindi l'uso dell'inginocchiatoio; l'uso di coprire
la balaustra di candida tovaglia, l'uso della patena, talora anche di una
torcia accesa; e poi la pratica di fare almeno un quarto d'ora di ringraziamento
personale. Abolire tutto ciò non è incrementare il culto
dovuto a Dio nella santissima Eucarestia, e la fede e la santificazione
dei fedeli, ma è servire il demonio.
Quando san Tommaso (Summa Theologica, III, q. 82, a 3)
espone i motivi che vietano ai laici di toccare le sacre Specie, non parla
di un rito di recente invenzione, ma di una consuetudine liturgica antica
come la Chiesa. Ben a ragione il Concilio di Trento non solo poté
affermare che nella Chiesa di Dio fu consuetudine costante che i laici
ricevevano la Comunione dai sacerdoti, mentre i sacerdoti si comunicavano
da sé; ma addirittura che tale consuetudine è di origine
apostolica (Denzinger, 881). Ecco perché la troviamo prescritta
nel Catechismo di san Pio X (Questioni 642-645). Ora tale
norma non è stata abrogata: nel Nuovo Messale Romano,
all'articolo 117, si legge che il comunicando tenens patenam sub
ore, sacramentum accipit (tenendo la patena sotto
la bocca, prenda il sacramento).
Dopo di che non si riesce a capire come mai gli stessi promulgatori
di tanto sapiente norma, ne vadano dispensando le diocesi una dopo l'altra.
Il semplice fedele di fronte a tanta incoerenza, non può che concepire
una grande indifferenza nei riguardi delle leggi ecclesiastiche liturgiche
e non liturgiche.
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