IL GRANDE SCISMA D'OCCIDENTE
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Tra storia e attualità: i grandi problemi contingenti della
Chiesa
Spunti dal passato per riflessioni sul presente
Nel gennaio dell'anno 1377, Papa Gregorio XI faceva solenne ingresso
a Roma, prendendo dimora nel palazzo del Vaticano e non piú al Laterano,
antica dimora dei Sommi Pontefici. Il papato era rimasto lontano dalla
città eterna per piú di settantanni.
A causa dei numerosi disordini che si verificavano nella penisola italiana
e particolarmente in Roma, i papi di nazionalità francese avevano
trovato aiuto all'ombra della potente monarchia francese, nella città
di Avignone, alle foci del Rodano, in Provenza, nominalmente ancora dominio
imperiale.
Fautrice del ritorno del papa nella città eterna fu Santa Caterina
da Siena che con numerose suppliche aveva già portato, nel 1368,
Urbano V, predecessore di Gregorio XI, a risiedere per qualche tempo a
Roma, costretto ad andarsene nel 1370 a causa delle molteplici lotte tra
le grandi famiglie, lotte che travagliavano l'urbe.
Papa Gregorio XI spirò il 27 marzo 1378; il conclave si svolse
in un clima assai concitato: il popolo romano richiedeva a gran voce l'elezione
di un papa romano o almeno di nazionalità italiana. Il Sacro Collegio,
impossibilitato a ricercare in breve tempo un candidato nel suo seno, elesse
papa l'arcivescovo di Bari, napoletano di nascita, Bartolomeo Prignano,
che assunse il nome di Urbano VI. Appena avvenuta l'elezione la sala dello
scrutinio fu invasa dal popolo romano.
Urbano VI fu incoronato il 18 aprile 1378, giorno di Pasqua, e ricevette
l'omaggio dei cardinali, i quali parteciparono ai concistori e ricevettero
onori e favori.
Il papa intraprese una politica di riforma poco prudente: di carattere
altero e poco disposto alla moderazione, iracondo per natura, incominciò
ad alienarsi gran parte del Sacro Collegio. Durante un concistoro schiaffeggiò
pubblicamente uno dei cardinali.
I cardinali ultramontani, abituati da tempo a scelte autonome e confortati
dall'appoggio incontrastato della Monarchia di Francia, emanarono nella
città di Anagni, il 9 agosto 1378, una dichiarazione che affermava
un punto fondamentale: l'elezione avvenuta nell'aprile non era stata libera
in quanto forzata dalle pressioni popolari e perciò doveva ritenersi
invalida.
Il 20 settembre dello stesso anno si riunirono a Fondi, in territorio
napoletano, sotto la protezione della Regina Giovanna I, ed elessero in
conclave un nuovo papa, Roberto di Ginevra, cugino del sovrano francese,
che prese il nome di Clemente VII. Questi ingaggiò subito la lotta
contro Urbano VI, per prendere possesso di Roma. Persa la battaglia, nel
1379, si ritirò con le sue truppe di nuovo ad Avignone, ed ivi instaurò
una nuova Curia.
Da questo momento incominciò quello che gli storici chiamarono:
grande Scisma d'Occidente, con il papato diviso in due obbedienze, quella
romana e quella avignonese.
La situazione si complicò quando la stessa Cristianità
si divise in due: infatti con Clemente VII si schierarono la Francia, il
Regno di Napoli, la Savoia, i Regni della Penisola Iberica, la Sicilia,
la Scozia ed alcuni territori della Germania meridionale. Ad Urbano VI,
invece, rimasero fedeli l'Imperatore Carlo VI ed il di lui figlio ed erede
Venceslao, l'Italia centrale e settentrionale, l'Inghilterra, l'Ungheria,
la Germania settentrionale ed i Regni Scandinavi.
Due grandi Santi, entrambi domenicani, Santa Caterina da Siena e San
Vincenzo Ferrer, si schierarono: la prima con Urbano, il secondo con il
papa avignonese. Il dubbio che pervadeva la Cristianità era grande,
tanto che non si sapeva quale dei due papi fosse il legittimo; grandi menti
e grandi spiriti, come i due Santi su indicati, non sapevano a chi fare
riferimento.
Urbano scagliò la scomunica contro Clemente, che rispose con
la medesima arma.
I destini d'Italia si incrociarono con quelli del papato e numerose
lotte travagliarono la vita del Regno di Napoli. Urbano VI diede sempre
maggiori segni di squilibrio mentale, tanto che alcuni cardinali presero
la decisione di imprigionarlo e di metterlo sotto cura; ma il loro tentativo
fu sventato e finirono tutti miseramente.
Nell'ottobre del 1389, Urbano VI morí; a questo punto si sperava
che i cardinali di Roma riconoscessero il papa di Avignone; ma non fu cosí:
questi procedettero all'elezione di Bonifacio IX.
L'università di Parigi incominciò ad occuparsi del problema
della doppia elezione del papa e si individuarono tre soluzioni: 1) la
rinuncia di entrambi i papi (via cessionis) seguita dall'elezione
di un nuovo papa da parte di entrambi i collegi cardinalizi; 2) una decisione
arbitrale (via compromissi); 3) la decisione autoritaria
di un Concilio generale (via concilii).
Dopo la morte di Clemente VII si sperava che non si procedesse a nessuna
elezione, invece fu eletto il cardinale spagnolo Pedro de Luna, che s'impose
il nome di Benedetto XIII. Questi, entrato in conclave, aveva promesso
di adoperarsi, con altri cardinali, per la causa dell'unione, anche a costo
di deporre il triregno se la maggioranza dei cardinali e della Chiesa lo
avesse richiesto.
Si intrapresero, quindi, colloqui tra l'università di Parigi,
il Re di Francia ed il papa, ma quando si incominciò ad intravedere
una soluzione, Benedetto XIII si tirò indietro e non volle piú
sentir parlare di eventuali abdicazioni. A questo punto, la Francia, la
Castiglia e la Navarra si sottrassero all'obbedienza di Benedetto, il quale
fu assediato e imprigionato nel palazzo di Avignone, mentre tutti i cardinali,
tranne cinque, lo ricusarono.
Nulla riuscí a piegare la fermezza di Benedetto XIII, che nel
frattempo era riuscito a fuggire dalla sua prigionia; in Francia la sottrazione
all'obbedienza di Benedetto aveva causato molteplici complicazioni nella
collazione dei benefici, pertanto l'Assemblea Generale degli Stati aveva
deciso, nel maggio del 1403, il ritorno all'obbedienza avignonese di Benedetto.
Si cercò nuovamente di risolvere il problema con un incontro
tra il papa romano e quello avignonese, e Benedetto si mostrò piú
accondiscendente. Ma, mentre si allestivano i preparativi, Bonifacio IX
moriva e come suo successore veniva eletto Innocenzo VII, che promise,
similmente al suo predecessore e allo stesso Benedetto, di fare tutto il
possibile per trovare la soluzione allo scisma che da troppo tempo dilaniava
la Chiesa. Nel frattempo scoppiarono disordini a Roma e nell'Impero Germanico
e tutto fu nuovamente rimandato a data da destinarsi.
Due anni dopo moriva anche Innocenzo VII e veniva eletto papa Gregorio
XII, che dovette impegnarsi ancora piú severamente a procurare il
ristabilimento dell'unità.
Subito dopo l'elezione, Gregorio prese contatti con Benedetto, che
dimorava a Marsiglia, e fu fissato un incontro nella città di Savona.
Ma pure questa volta le cose non presero il verso giusto: i parenti di
Gregorio e Re Ladislao di Napoli riuscirono a fargli mutare parere; Gregorio
si recò fino a Lucca e Benedetto gli venne incontro fin oltre Savona,
a Porto Venere nelle vicinanze di La Spezia, ma non accondiscese a scendere
oltre, cosí che tutto finí nuovamente con un nulla di fatto.
Indignata per il comportamento di Gregorio, la maggioranza dei cardinali
romani si sottrasse alla sua obbedienza, irritata, tra l'altro, per la
creazione da parte del papa di quattro nuovi cardinali in aperto contrasto
con il giuramento fissato nella capitolazione elettorale del conclave.
Nello stesso tempo, la Francia si sottraeva all'obbedienza di Benedetto
e si dichiarava neutrale.
In seguito a questi fatti, tredici cardinali di Gregorio si unirono
alla quasi totalità della Curia di Benedetto, radunandosi per una
comune deliberazione a Livorno, ove decisero di convocare un Concilio Generale
a Pisa per il 25 marzo 1409.
Il Concilio si riuní nei mesi da maggio a luglio del 1409, e
vi parteciparono 24 cardinali di entrambe le obbedienze, molti vescovi
dottori in teologia e moltissimi appartenenti al clero minore ed agli ordini
religiosi.
I padri deposero i due papi, dopo averli chiamati in giudizio per aver
violato gli articoli di fede sull'unità della Chiesa, e proclamarono
il Concilio Ecumenico, in cui elessero come papa l'arcivescovo di Milano,
Pietro Filargio, con il nome di Alessandro V.
Il nuovo papa prese dimora a Bologna, ma né Benedetto né
Gregorio si sottomisero alle decisioni del Concilio di Pisa, anche se Alessandro
V era stato ormai riconosciuto dalla maggior parte della Cristianità;
la Francia, l'Inghilterra, i Paesi Scandinavi, quasi tutti i vescovi tedeschi,
l'Ungheria, la Polonia, l'Italia settentrionale e parte di quella centrale,
infatti, avevano accettato di porsi all'obbedienza del papa eletto a Pisa.
Benedetto conservò la sua autorità in Scozia e nella
Penisola Iberica, mentre a Gregorio erano rimaste solamente alcune regioni
dell'Italia centrale e tutta l'Italia meridionale.
Alla morte di Alessandro V, nel 1410, il conclave dell'obbedienza "pisana"
elesse papa Giovanni XXIII, al secolo Baldassarre Cossa, uomo dotto, ma
molto ambizioso, cacciato da Roma da Re Ladislao di Napoli. Il nuovo papa
dovette sottostare alle pressioni del nuovo Imperatore del Sacro Romano
Impero, Sigismondo di Lussemburgo, Re d'Ungheria, il quale convinse Giovanni
XXIII a convocare, per la festa di Ognissanti del 1414, a Costanza, un
Concilio, per tentare nuovamente di rimediare allo scisma che tribolava
la Chiesa da ormai troppo tempo.
Il Concilio si riuní a Costanza, il primo novembre 1414 e fu
uno dei piú grandi Concilii della Cristianità di tutti i
tempi: vi parteciparono 29 cardinali, 3 patriarchi, 33 arcivescovi, oltre
300 vescovi, e vi presenziarono numerosissimi componenti del clero inferiore,
gran parte dei príncipi tedeschi, dignitari di tutti i Regni cristiani
e lo stesso Imperatore Sigismondo.
Giovanni XXIII arrivò a Costanza alla fine di ottobre del 1414,
e gli vennero tributati tutti gli onori del papa legittimo.
Le sessioni generali furono celebrate nella cattedrale della città,
Giovanni XXIII era convinto che il Concilio confermasse la sua autorità
di papa, ma ben presto si accorse che le cose non stavano andando come
lui sperava. Fu cambiato, infatti, l'ordine tradizionale delle votazioni,
non piú per capita singulorum, bensí per nationes,
determinate in: italiana, francese, tedesca, inglese e, dal 1416, anche
spagnola. Questo stratagemma sarebbe servito per neutralizzare la preponderanza
dei prelati italiani, in gran parte fedeli a Giovanni XXIII. Si fece strada,
altresí, la richiesta che tutti e tre i papi dovessero abdicare.
Infine, fu diffuso un libello contro il papa "pisano", con molte gravi
accuse, e si diffuse la voce che dopo la sua abdicazione non sarebbe stato
piú rieletto.
Giovanni XXIII, preso dalla disperazione, la sera del 20 marzo 1415
fuggí segretamente da Costanza, allo scopo di provocare il dissolvimento
del Concilio.
A questo punto il disorientamento fu grande e solo l'Imperatore e il
cardinale Pietro d'Ailly riuscirono a tenere riunito il Concilio. Il 26
marzo e il 6 aprile furono emanati dei decreti che sanzionavano come dottrina
della Chiesa la teoria conciliarista della superiorità del Concilio
sul Papa, decretata con la deliberazione Hæc sancta sinodus.
Con essa si dichiarava che il Sinodo convocato legittimamente nello Spirito
Santo costituisce un Concilio ecumenico e rappresenta la Chiesa universale.
Questi decreti sulla superiorità del Concilio sul Papa, sono
«in netta contraddizione con la costituzione fondamentale della
Chiesa e con tutto l'ordine giuridico medievale. Tuttavia, se si tien conto
che nel pensiero di coloro che li approvarono, essi furono intesi piuttosto
come un'applicazione della teoria del caso di estrema necessità,
in quel frangente assolutamente straordinario e unico che rendeva necessario
l'impiego di mezzi eccezionali… In quel momento appariva come l'unica
via d'uscita dallo stato di terribile confusione, che il Concilio si attribuisse,
almeno pro hic et nunc un potere superiore al papa.»
(K. BIHLMEYER - H. TUECHLE, Storia della Chiesa, vol. III, p. 73). Anche
altri studiosi hanno dato a questi decreti una simile interpretazione (vedi
nota introduttiva DENZINGER- SCHONMETZER, p. 315).
Purtroppo, queste teorie furono successivamente portate, da alcuni
esponenti radicali, alle estreme conseguenze, affermando che potessero
esser valide per tutte le situazioni ed in tutti i tempi; cosí che
vennero riformulati nel Concilio di Basilea (Sessione XVIII, 26 giugno
1434).
Giovanni XXIII fu presto catturato e messo sotto processo e, il 29
maggio 1415, fu deposto per fuga vergognosa, simonia e vita scandalosa;
chiese perdono pubblicamente dei suoi errori e dei fatti commessi, scontò
alcuni anni di prigionia e morí, poco dopo, come cardinale vescovo
di Tuscolo Frascati. Il papa romano Gregorio XII, durante la XII Sessione
del Concilio, fece presentare dai suoi legati, il cardinale Dominici e
il principe Malatesta, la sua abdicazione, dopo che il Concilio, come da
lui richiesto, aveva accettato di essere convocato ex novo tramite
i suoi legati stessi. «Questa concessione da parte del Concilio
non si può naturalmente interpretare nel senso che il Concilio abbia
con ciò riconosciuto di non essere stato legittimo prima d'allora,
o che abbia voluto decidere quale dei papi fosse legittimo.»
(K. BIHLMEYER - H. TUECHLE, Storia della Chiesa, vol. III, p. 74).
Anche Gregorio morí poco dopo come cardinale vescovo di Porto.
Benedetto XIII, invece, rigettò ogni proposta di abdicazione
e neppure l'Imperatore Sigismondo riuscí ad indurlo a rinunciare
al pontificato. L'Imperatore riuscí, però, a convincere i
sovrani spagnoli a sottrarsi all'obbedienza di Benedetto e, con il trattato
di Narbona del dicembre 1415, si sancí che gli Spagnoli entrassero
a far parte del Concilio di Costanza come quinta nazione.
Anche il grande predicatore Vincenzo Ferrer si separò definitivamente
da Benedetto, nel 1416, dopo averlo protetto per tanti anni.
Il Concilio aprí il processo contro Benedetto e lo dichiarò
deposto per aver favorito lo scisma nella Chiesa, e come eretico per aver
pertinacemente diviso la Chiesa.
Benedetto XIII si rifugiò nel castello di Peniscola, presso
Valencia, ove continuò a vivere ritenendosi l'unico papa fino alla
morte.
Dopo che il Concilio vinse la resistenza della nazione tedesca, che
pretendeva di promulgare alcuni decreti di riforma della struttura ecclesiastica,
predispose la riunione che doveva portare all'elezione del papa. Fu deciso
che il gruppo dei 23 cardinali doveva essere completato da gruppi di sei
delegati per ciascuna delle cinque nazioni rappresentate al Concilio, seguendo
un complicato sistema di scrutinio: il nuovo eletto doveva ricevere i due
terzi dei voti dei cardinali e i due terzi dei voti dei delegati, al fine
di non mettere in minoranza i rappresentanti degli episcopati delle singole
nazioni.
Il Concilio ad eligendum ebbe luogo nella loggia dei
Mercanti dell'isola del lago di Costanza, l'8 agosto 1417. Ad ogni elettore
venne chiesto se quella fosse veramente la scheda da lui votata e se l'intenzione
espressa fosse realmente la sua. Infine, l'11 novembre 1417, la Chiesa
ebbe finalmente il nuovo capo, nella persona di Odo Colonna, che prese
il nome di Martino V, papa universalmente accettato dopo circa 39 anni
di scisma.
Un fatto basilare che bisogna sempre tener presente in tutta la vicenda
del grande scisma d'Occidente, è che, a prescindere dalle motivazioni
che furono addotte dai Padri di Costanza per deporre Giovanni XXIII e Benedetto
XIII, motivazioni , tra l'altro, non coperte da infallibilità, nessuno
dei tre papi deviò dalla dottrina tradizionale della Chiesa, e tanto
meno dalla fede. L'unica argomentazione seria che potesse essere addotta
contro di loro, era la protervia nel considerarsi contemporaneamente papi
legittimi e nel non essere disposti a rassegnare le dimissioni per il bene
della Chiesa.
Contro la legittimità di almeno due dei tre papi, militavano
parecchi argomenti. Urbano VI, per esempio, dava evidenti segni di squilibrio
mentale, tali da dubitare che fosse compos sui, ma i cardinali
che elessero Clemente VII non rappresentavano la totalità del Sacro
Collegio e avrebbero dovuto aspettare almeno l'esito del parere degli esperti
sulla salute del papa.
L'unico, forse, che poteva vantare la certezza maggiore sulla sua legittimità,
era Alessandro V, eletto dal Concilio di Pisa; tant'è che Rodrigo
Borgia, assunto al pontificato, prese il nome di Alessandro VI, confermando
cosí implicitamente la validità del papa "pisano". Soltanto
durante la Controriforma, quando venne stilata la lista dei papi e dei
concilii legittimi, fu ribaltata la situazione, dando la preferenza a Gregorio
XII, ma fino ad allora il dubbio sovrastò tutte le elezioni, o almeno
due di esse.
Per l'intera Cristianità questi fatti costituirono un grave
conflitto di coscienza, anche se il piú delle volte lo scisma si
protrasse grazie alle ingerenze degli emergenti stati nazionali che avevano
perso di vista la concezione medievale della società e del mondo.
In effetti, già nei secoli passati, erano stati eletti o posti
in essere degli antipapi direttamente dagli Imperatori germanici, ma si
era sempre giunti ad una soluzione, in quanto, sia gli Imperatori sia gli
stessi antipapi percepivano, in definitiva, l'impossibilità di una
diarchia in capite alla Chiesa.
Un argomento importante che si evince dal Concilio di Costanza è
che esso fu per la Chiesa il primo Concilio imperfetto generale, di cui
poi trattarono ampiamente tutti i teologi, tra i quali il card. De Vio,
detto il Gaetano, e il santo cardinale gesuita Roberto Bellarmino; il Concilio
generale, infatti, ha lo scopo di sostituirsi al clero di Roma (cardinali)
qualora questo risulti dubbio o non ci sia effettivamente.
La Chiesa, come qualsiasi società, in situazioni gravi ed estreme,
come per esempio l'assenza del capo supremo o il dubbio positivo sulla
sua legittimità, ha il diritto di consultarsi al fine di porvi rimedio;
ciò che alle società naturali proviene dalla semplice legge
di natura, alla società soprannaturale di divina istituzione proviene
dal diritto divino (vedi D. PALMIERI, Tractatus de Romano Pontifice,
p. 479).
È importante precisare che la crisi del Grande Scisma si innesta
a seguito della cattività avignonese che, a sua volta, era stata
preceduta dall'ultimo grande periodo di splendore del papato medievale,
identificato nella persona di Papa Bonifacio VIII, che formulò nella
magistrale Bolla Unam Sanctam, in maniera chiara, definitiva ed
inequivocabile, il vero concetto della supremazia del papato su tutte le
altre autorità terrene e, quindi, dell'obbligo di sottomissione
al Papa legittimo di ogni creatura, de necessitate salutis
(DS 875).
Concludendo: in relazione ai singoli fedeli, nonostante la persistenza
del Grande Scisma, è indubbio che potessero ricevere i Sacramenti
dai sacerdoti e vescovi che obbedivano ai tre papi; ed è altresí
indubbio che potessero assoggettarsi legittimamente alla loro autorità
in quanto non si riscontrava in nessuno dei tre una deviazione dalla fede:
unico caso previsto dai cànoni che giustifichi la disobbedienza
all'autorità papale. Tanto è vero che due grandi Santi si
divisero sulla legittimità del successore di Pietro.
Questo è importante affermarlo, perché alcuni teologi
moderni, determinando ex nunc la legittimità del papa
romano, definita solo nel XVII sec., creano una controversia mai
esistita sulla legittima collazione dei sacramenti amministrati durante
la triplice sovranità, che poi pretendono di dirimere dichiarando
illegittimi i Sacramenti amministrati dalla gerarchia delle obbedienze
avignonese e pisana, includendo in tal modo anche i Sacramenti amministrati
dallo stesso San Vincenzo Ferrer.
Il problema invece, va risolto semplicemente ponendosi da una prospettiva
ex
tunc, cioè basandosi su quanto era dato a conoscere ai contemporanei
della crisi del Grande Scisma: il dubbio sulla legittimità dei tre
papi o, piú propriamente, sulle tre elezioni.
Solo un fatto riveste estrema gravità: la condotta dei tre pontefici,
che pretendevano di restare al loro posto anteponendo i loro diritti alla
dignità della Chiesa, creò scandalo particolarmente
tra il basso ceto, e pose le basi per la riforma protestante, la quale
poté attecchire grazie alla delusione di molti nei confronti delle
strutture ecclesiastiche e dell'alto clero, piú attaccato ai suoi
benefici che al bene della Chiesa.
Stefano Filiberto (dottore in Storia Medievale)
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