ECUMENISMO? NO GRAZIE!
(9/97)
Da Le Figaro del 31 marzo 1997 (Saint-Nicolas-du-Chardonnet,
pag. 2), abbiamo tratto un articolo di padre Michel Lelong, a proposito
dei rapporti che la Chiesa post-conciliare, ecumenica ed amorevole con
gli infedeli, intrattiene con i gruppi tradizionalisti.
L'argomento trattato riguarda, ovviamente, una particolare situazione
esistente in Francia, ma esso può ugualmente riferirsi alle situazioni
simili esistenti in tutti gli altri paesi cattolici.
Riproduciamo parzialmente l'articolo, tradotto in italiano.
[Testo dell'articolo]
Molti amici mi hanno espresso il loro stupore nel vedere, in un
giornale parigino, una mia foto che illustrava un articolo dedicato al
ventesimo anniversario dell'occupazione della chiesa di Saint-Nicolas-du-Chardonnet,
da parte dei cattolici “tradizionalisti”.
In effetti, io ho assistito alla messa celebrata per l'occasione
in quella chiesa: mi trovavo immerso nell'immensa folla dei cattolici riuniti
con un raccoglimento ed un fervore che mi hanno impressionato, cosí
come sono rimasto colpito dalla dignità e dalla bellezza della celebrazione
liturgica.
Coloro che mi conoscono sanno quanto io sia attaccato agli insegnamenti
del Concilio Vaticano II, e in particolare ai suoi appelli all'ecumenismo
e al dialogo interreligioso, argomenti che da quarant'anni costituiscono
il fulcro della mia vita da prete.
Non condivido dunque, su questi punti importanti e su altri ancora,
le posizioni di Mons. Lefèbvre e dei suoi successori.
Ma sono altrettanto in disaccordo con l'atteggiamento dei cattolici
che, pur richiamandosi al Concilio Vaticano II, rifiutano di incontrarsi
con coloro che essi chiamano “integralisti”, al fine di intraprendere con
loro un "vero" dialogo.
In questi ultimi mesi ne ho parlato con diversi vescovi francesi
e spero che alcuni di loro abbiano la saggezza - e il coraggio - di ristabilire
i contatti, nella fiducia, con la Fraternità sacerdotale San Pio
X; al fine di ricercare con essa le strade della necessaria riconciliazione…
Ricordiamo che l'episodio dell'occupazione della chiesa di Saint-Nicolas-du-Chardonnet,
a Parigi, avvenuto nel lontano 1977, non ha niente a che vedere che la
recente occupazione di una chiesa, sempre a Parigi, ad opera degli extracomunitari
non cristiani.
Allora, un gruppo di giovani (proprio cosí: giovani) cattolici,
interpretando il sentire di molta parte dei fedeli di quella parrocchia
e di diverse altre, pretese la celebrazione della S. Messa secondo il mai
abrogato rito tradizionale. Dopo varie controversie, che spinsero il parroco
a serrare le porte della chiesa per impedirne l'accesso ai fedeli, questi
ultimi, avvalendosi di una antichissima e diffusa consuetudine in seno
alla Cristianità, forzarono le porte della "loro" chiesa, la occuparono
e ottennero dai sacerdoti disponibili la celebrazione della S. Messa secondo
l'antico e sempre valido rito.
Di fronte alla "immensa folla" dei fedeli, alla loro determinazione
e al loro fervore, al Vescovo non rimase che accettare il fatto compiuto.
Ovviamente, da quel momento scese il silenzio stampa sulle vicende
di Saint-Nicolas-du-Chardonnet, salvo poche eccezioni necessarie per accusarli
che erano dei reazionari, dei nostalgici e degli intolleranti.
La situazione in Francia è parecchio diversa da quella italiana,
ed è caratterizzata da una serie di fattori intrinseci, legati anche
alla storia francese: questo spiega l'esistenza in Francia di certe condizioni
e possibilità che in Italia sono impensabili, e spiega anche la
diversa disposizione dei Vescovi francesi nei confronti dei gruppi tradizionalisti,
disposizione che è prevalentemente derivata dal fatto che in Francia
tali gruppi sono numerosi e consistenti.
Questa occasione ci dà la possibilità di esprimere due
considerazoni che ci sembrano siano valide per l'insieme del mondo cattolico
e, in particolare, per l'Italia.
La prima riguarda l'atteggiamento espresso nell'articolo dal padre Lelong:
egli si dichiara solidale con i tradizionalisti per il semplice motivo
che, condividendo appieno le indicazioni del Concilio e disapprovando in
toto le posizioni dei tradizionalisti stessi, ritiene ingiusto il comportamento
dei Vescovi che tendono a "discriminare" questi ultimi.
In sostanza, padre Lelong si muove lungo tre linee guida che, a nostro
avviso, sono inaccettabili.
Fermo restando il fatto che la sua attitudine merita una certa considerazione,
se non altro perché amplia le possibilità di sopravvivenza
della pratica della Tradizione, non altrettanto si può dire per
la sua concezione dell'ecumenismo, per la sua supposta tolleranza nei confronti
dei cattolici tradizionalisti, per il suo convincimento circa la correttezza
del dialogare con tutti, e cioè con chiunque.
Senza voler entrare nel merito delle indicazioni espresse dai Padri
Conciliari nella ben nota Nostra Ætate, ci sembra di
poter affermare con tutta tranquillità che la stessa denominazione
di "ecumenismo", applicata a tutta la pratica del "dialogo" messa in atto
da dopo il Concilio Vaticano II, sia, di per sé, indicativa di un
macroscopico errore.
Il termine "ecumene", per quanto possa significare, in generale,
l'intera terra abitata (dal greco oikoumenh), indica l'idea
di "terra abitabile", cioè di àmbito territoriale che presenta
le condizioni favorevoli per essere abitato, ed è per questo che
è stato sempre usato per indicare un àmbito abitativo omogeneo,
tant'è che si è sempre parlato di ecumene greco, ecumene
romano, ecumene cristiano, ecc.; un àmbito cioè in cui è
presente una omogeneità basata su usi, costumi, credenze, comportamenti
e modi di vita omogenei.
Considerazioni simili si possono fare per il termine "cattolico"
(dal greco katholikos), che pur avendo in generale il senso
di "universale", contiene in sè l'accezione di "universalmente accettato",
e quindi, anche qui, l'idea di una visione omogenea del mondo di cui si
tratta, foss'anche tutto il mondo.
Facciamo ancora notare che la Chiesa, a suo tempo, si disse "cattolica"
e non "ecumenica", anche se in entrambi i termini fosse prevalentemente
contenuta l'accezione di "universalità", e tale scelta, verosimilmente,
si può collegare al fatto che il termine "cattolico" contiene "in
piú" l'accezione di "universalmente riconosciuto e accettato".
Parlare di ecumenismo dovrebbe significare, quindi, intendersi con chi
fonda il suo modo d'essere su una comune visone del mondo, mentre sembra
scontato che oggi il termine venga usato per indicare una presunta possibile
intesa tra gruppi diversi con diverse visioni del mondo. In realtà,
quest'ultima intenzione si dovrebbe correttamente indicare col termine
"sincretismo".
Dalla ricerca del dialogo ecumenico fra i cattolici e gli eretici cristiani,
si è passati alla ricerca dell'impossibile intesa fra i cristiani
e i non cristiani, cioè fra i fedeli e gli infedeli.
Una cosa del genere è cosí pericolosamente perniciosa
per la volontà e l'intelligenza, che ingenera attitudini, anche
involontarie, che conducono alla confusione e al disordine, sia morali,
sia dottrinali.
Il padre Lelong, per esempio, nella foga ecumenica con la quale si
rivolge a tutti e tutti vorrebbe abbracciare, si esalta nella difesa dei
cattolici fedeli alla Tradizione, non perché questi sono dei "veri
credenti", ma per il semplice fatto che sono alla stessa stregua di chiunque
altro; come dire: fosse pure il diavolo, perché negare anche a lui
la possibilità di esprimere le proprie idee?
Pur essendo paradossale, è questa la inevitabile conseguenza
a cui conduce l'ecumenismo "illuminato" post-conciliare. Dialogare con
tutti, e cioè concedere diritto di cittadinanza a qualunque cosa,
a qualunque idea, a qualunque concezione, può solo significare,
in definitiva, far sedere allo stesso tavolo, per "trovare un'intesa",
i sostenitori di Dio e gli avversari di Dio; con una ulteriore disastrosa
conseguenza: che i fedeli di Dio dovranno necessariamente assumere la veste
di "partigiani", trasformandosi da "uomini liberi", che vivono ogni giorno
il combattimento interiore per la verità, in "sostenitori" di un
partito, in pilastri della divisione, "alla pari" appunto con gli avversari
di Dio.
Tutti comprendono facilmente che quest'attitudine è figlia,
neanche tanto nascosta, del "libero pensiero"; cioè di quella perniciosa
suggestione secondo la quale l'uomo ignorante per sua stessa ammissione
dovrebbe essere in grado, partendo dalla sua ignoranza, di diventare insegnante
di sé stesso, di spiegare cioè a sé stesso tutta la
verità su ciò che non conosce.
Una volta accettata come possibile questa impossibilità, e una
volta concesso a tale assurdità il diritto di cittadinanza in seno
all'intelligenza umana, è inevitabile che si passi poi a porre sullo
stesso piano la verità e l'errore e a considerarli alternativamente
"corretti": "a seconda del punto di vista".
Vi è anche un altro aspetto da non trascurare.
Padre Lelong dichiara che si sforza in tutti i modi per convincere
i Vescovi a ristabilire l'"inevitabile riconciliazione" con i cattolici
fedeli alla Tradizione.
La cosa è lodevole, ma occorre tenere presente alcuni elementi.
La possibile riconciliazione o, piú in generale (per non limitarci
solo al "caso" della Fraternità San Pio X), il semplice riconoscimento
della legittimità delle posizioni dei tradizionalisti, implicherebbe
automaticamente l'accettazione dell'analisi da noi fatta prima e, quindi,
una sorta di autocondanna per i Vescovi postconciliari. La cosa ci sembra
estremamente improbabile, per quanto fortemente auspicabile per il bene
della Chiesa e della Religione.
A riprova di ciò basti esaminare il senso delle "concessioni"
che sono venute dalla gerarchia.
Già nel caso di Saint-Nicolas-du-Chardonnet, risulta evidente
che il Vescovo addivenne a piú miti consigli solo perché
non facendolo avrebbe ampliato ulteriormente i consensi nei confronti
dei tradizionalisti: per esempio, è possibile che anche lo stesso
padre Lelong finisse col convincersi della bontà e della giustezza
delle loro posizioni.
Piú tardi le cose si sono mosse con una minore chiarezza, ma
sempre egualmente evidenti per un attento osservatore.
A prescindere dalla scomunica di Mons. Lefèvbre, la costituzione
della Ecclesia Dei e il cosiddetto "indulto" non si basano
sul riconoscimento di uno stato di fatto legittimo, e cioè sulla
"normalità" della esistenza in seno alla Comunione Ecclesiale di
gruppi di fedeli osservanti la liturgia, i precetti e la dottrina tradizionale
della Chiesa, sia pure disciplinarmente sottoposti ad un regime particolare;
ma si basano sulla piú prosaica necessità di impedire che
molti fedeli finiscano col decidersi ad abbandonare la propria parrocchia
e a costituire nuovi gruppi "separati" dalla comunità.
Laddove la Fraternità San Pio X è riuscita a costituire
centri liturgici di aggregazione, il Vescovo locale ha finito col "concedere
l'indulto", cioè ha finito con l'applicare l'espediente atto a trattenere
i fedeli dalla fuga verso la Fraternità. In altre parole, se non
ci fosse stata la presenza attiva della Fraternità, il Vescovo non
avrebbe sentito il bisogno di "concedere" alcunché; il che significa
che anche il cosiddetto "indulto" è privo di ogni significato serio.
Tra l'altro, sia l'"indulto" in sé, sia la sua applicazione,
fanno acqua da tutte le parti: cioè si rivelano dei semplici espedienti
neanche tanto corretti, sia dal punto di vista dottrinale, sia dal punto
di vista morale. Senza contare che, in definitiva, si corre il rischio
che si trasformino, a loro volta, in subdoli strumenti di corruzione.
Innanzi tutto è facile comprendere come l'"indulto" sia stato
concepito, non tanto come uno strumento per venire incontro alle legittime
aspettative e ai legittimi bisogni spirituali dei fedeli, quanto piuttosto
come lo strumento atto a sancire, una volta per tutte, la irregolarità
delle posizioni, delle richieste e dei bisogni spirituali di questi stessi
fedeli. Irregolarità che, fino ad allora, nessuna decretazione scritta
aveva mai sancito come tale. Fino alla "concessione" del cosiddetto "indulto",
in barba ad ogni evidenza, era stato tacitamente convenuto che in seno
alla comunità ecclesiale "cattolica" non esistesse alcuna richiesta
difforme dalla volontà dello "spirito del concilio"; ragion per
cui non vi erano delle posizioni illegittime di questo o di quel fedele,
di questo o di quel gruppo di fedeli: al massimo vi erano dei nostalgici
dal senso estetico un po' scaduto. Con l'"indulto" si è finalmente
chiarito che in seno alla Chiesa vi sono dei fuorilegge ai quali si "concede",
in via del tutto eccezionale e provvisoria, e a discrezione del Vescovo
competente, di poter dare sfogo, una volta alla settimana o una volta ogni
tanto, alle loro illegittime presunzioni liturgiche; per di piú
in maniera del tutto parziale e dispersiva: e cioè avendo in vista
solo la possibilità di far loro godere quegli aspetti ormai desueti
e inutili della vecchia liturgia della S. Messa, a cui sono cosí
testardemente ed epidermicamente affezionati.
Chiunque comprende che in questa apparente manovra "benevolente" si
annida il tentativo di condurre i fedeli, un po' alla volta, all'accettazione
dell'idea che il rispetto della Tradizione non è altro, in fondo,
che la nostalgia per certi elementi "culturali" appartenenti al passato
della Chiesa, che si riconosce giusto conservare perché non vada
perduto un patrimonio culturale che testimonia della ricchezza creativa
del popolo cristiano. Il che, detto in termini piś realistici significa
che lo scopo principale dell'"indulto" è quello di dar vita ad una
branca del Museo Vaticano, con un'agile struttura territoriale strettamente
legata al variare delle contingenze, in grado di gestire delle apposite
"teche" ove ogni domenica o ogni tanto si espongono i bellissimi e ormai
inutili gioielli della vecchia e superata liturgia latina: la celebrazione
ad
Dominum e i canti gregoriani.
A fronte delle perplessità che potrebbe far sorgere il nostro
tono un po' aspro, ancorché necessario, ricordiamo che il famoso
"indulto" è legato alla sola celebrazione della S. Messa; ora, pur
nella consapevolezza della "centralità" della liturgia eucaristica,
resta il fatto che i Sacramenti della Chiesa sono sette, e le "innovazioni"
liturgiche relative al Battesimo, alla Cresima, alla Confessione, al Matrimonio,
all'Ordine e all'Estrema Unzione, non sono meno in contrasto con la millenaria
Tradizione Cattolica di quanto lo siano quelle introdotte nella S. Messa.
Il fatto è che, come molti sembrano credere e come molti altri
hanno interesse a lasciar credere, le posizioni dei tradizionalisti cattolici
non attengono solamente alla estrema minimizzazione della liturgia eucaristica,
ma scaturiscono dalla fondata preoccupazione che attraverso il rimaneggiamento
dell'intera liturgia cattolica (ivi comprese la liturgia delle ore, i sacramentali,
i benedizionari e le conseguenti pratiche devozionali) si voglia arrivare
consapevolmente o si finisca con l'arrivare inconsapevolmente allo stravolgimento
della dottrina e alla perdita della religione, cioè alla perdita
di quel "ricollegamento con Dio" che caratterizza il senso proprio della
religio
espressosi provvidenzialmente e gratuitamente nella missione divina affidata
dal Padre a Nostro Signore Gesú Cristo.
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