Tra evoluzione e progresso
LA REINCARNAZIONE
(9/97)
Suggestioni mefistofeliche e dabbenaggine umana
Nello scorso numero del bollettino abbiamo accennato al fenomeno dello
"spiritismo", al quale è legato per molti versi quello della
credenza nella reincarnazione.
Non è con piacere che ci occupiamo di queste fantasticherie
moderne, ma il diffondersi di suggestioni cosí perniciose impone,
ogni tanto, che si faccia una qualche chiarezza, con la speranza che almeno
alcuni vengano indotti a piú accorte riflessioni.
Innanzi tutto è bene chiarire l'equivoco secondo cui vi sarebbe
equivalenza tra metempsicosi e reincarnazione; equivoco che,
pur basandosi in generale sull'ignoranza di ciò di cui si tratta,
viene alimentato dagli stessi sostenitori della reincarnazione, vuoi perché
anch'essi non sanno bene di cosa parlano, vuoi perché alcuni di
loro ritengono sia comodo far risalire l'idea della reincarnazione fino
ai Greci antichi. In tal modo credono di poter far apparire le loro fantasie
come ben fondate, visto che il ricorso all'antica Grecia viene generalmente
considerato come fattore di "conoscenza" e di "civiltà".
Non entriamo nel merito di quanto i Greci antichi fossero piú
o meno "civili" di noi (ci viene in mente San Paolo e gli anziani dell'areòpago
di Atene), e ci limitiamo a ricordare che il termine "metempsicosi"
(dal greco metempsykhosis) non significa "reincarnazione",
né alcunché di simile. Negli stessi dizionari che danno come
significato: "reincarnazione delle anime", si trova precisato che si intende
dire "trasferimento di un'anima in altro dal corpo", a volte sottintendendo
"in un altro corpo" a causa del fatto che comunemente non si potrebbe concepire
nient'altro di diverso.
Ora, quest'insegnamento della metempsicosi lo si ritrova accennato,
in riferimento alla scuola pitagorica, in particolare in Platone
(Repubblica, X, 614 sgg.), ma senza che di esso esista una esauriente
esposizione.
In realtà, la concezione tardo-greca della "trasmigrazione delle
anime", è relativa ad un antico insegnamento che assegna alle anime
un destino post-mortem legato alla condotta terrena: un insegnamento cioè
del tutto simile a quello della dottrina cristiana della ricompensa e del
castigo. Tale insegnamento lo si ritrova espresso tardivamente per mezzo
di allegorie ricalcate sulla comune vita terrena, cosí che si possa
essere indotti a credere che quanto si parla di un'"anima che trasmigra"
si intenda dire che essa trasmigri in un "altro corpo" in questo stesso
mondo umano.
In realtà, la concezione della trasmigrazione implica l'esistenza
di piú mondi, o, per l'esattezza, di piú possibili destini
esistenziali post-mortem, tutti rigorosamente unici e per nulla assimilabili
a quello del nostro mondo, se non in via allegorica, per facilità
di comprensione.
Per quanto la dottrina cristiana sia cosa ben diversa da tale insegnamento,
resta il fatto che anch'essa insegna che l'anima, immortale, segue un suo
destino post-mortem, destino che non ha niente a che vedere col mondo dei
vivi e che quindi non implica e non potrebbe implicare alcun tipo di ritorno
in questo mondo. Tanto basti per far comprendere che l'insegnamento della
metempsicosi, nella sua reale consistenza, non era molto diverso da ciò
che insegna la dottrina cristiana. Ogni altro tipo di supposizione, a riguardo,
sarebbe dovuta agli stessi errori che volgarmente si potrebbero commettere
se si volesse affermare che la dottrina cristiana insegna che l'"altro
mondo" è "alla lettera" quello descritto dal cattolico Dante Alighieri
nella sua Divina Commedia.
Ciò posto, occorre soffermarsi su un altro aspetto della "trasmigrazione
delle anime".
Sia l'antica concezione greca dell'anima (Platone e Aristotele), sia
quella ebraica, sia quella cristiana sono concordi nel considerare che
l'anima è "veramente e per sé - ed essenzialmente -
la forma del corpo umano" (Concilio di Vienne, 1312, Decreto
sull'anima forma del corpo). Ne consegue, in breve, che ogni anima
"informa" un corpo, né potrebbe informare corpi diversi; il che
significa che ogni idea relativa alla stessa anima che "animerebbe" corpi
diversi, magari in tempi e spazi diversi di uno stesso stato d'esistenza,
è del tutto frutto di vana fantasia, e, a rigor di logica, impossibile.
D'altronde, se l'anima è la forma del corpo, anche a voler ammettere
un suo "intervento di ritorno" nel mondo corporeo, ciò potrebbe
solo accadere a condizione di accettare l'idea di due corpi perfettamente
uguali, cioè, nel caso in specie, di due uomini perfettamente uguali
(nell'anima e nel corpo): cosa che sta a significare che non di due uomini
si tratterebbe, bensí di un uomo solo. Questa possibilità,
già assurda se prospettata nello stesso tempo e nello stesso spazio,
diviene del tutto risibile ove si pretendesse di prospettarla per tempi
e spazi diversi. Come accade per i sostenitori della reincarnazione.
La possibilità che la stessa anima (cioè la stessa forma
di un corpo) replichi l'esistenza corporea, non è sostenibile né
secondo la dottrina cristiana, né secondo alcuna dottrina mai insegnata
in alcuna scuola dell'antichità.
Che gli antichi fossero dei pagani, è un conto, ma che fossero
dei cretini non è minimamente sostenibile. In quanto al fatto che
si addebiti loro, a seconda delle piacevolezze personali, ogni cosa fantasiosa
che ci aggradi, è questo un vezzo tutto moderno del quale non possiamo
qui tenere conto alcuno.
Passiamo adesso a considerare la credenza nella "reincarnazione".
Innanzi tutto è opportuno ricordare che tale credenza è
apparsa in Occidente intorno alla metà dell'Ottocento (C. Flammarion
e L. Figuier); all'incirca nello stesso periodo in cui accadeva che alcuni
"filosofi" moderni credevano di aver capito tutto delle Upanishad
indú per il solo fatto che qualcuno gliene aveva parlato in qualche
salotto erudito di un piccolo paese della Germania (Schopenhauer); tanto
che addirittura ci furono alcuni, anche dopo l'Ottocento (e pare che ce
ne siano ancora), che, forti della loro supposta comprensione, pretesero
di spiegare agli stessi Indú il vero significato dei loro testi
sapienziali, convinti come erano (e sono) della loro "onniscienza".
Questo breve cenno serve a ricordare qual'era la mentalità corrente
degli ambienti che finirono col produrre la strana idea della "reincarnazione",
soprattutto ove si tenga conto che è d'uso attribuirne l'origine
agli Indú.
Altro elemento esplicativo è dato dalla particolarità
dell'ambito specifico che si dette alla formulazione sistematica dell'idea
di "reincarnazione". Si trattò, in primis, degli ambienti
del socialismo romantico, quegli stessi che erano alle prese con la difficoltà
di spiegare perché uno nasce ricco e un altro povero, o perché
uno nasce bello e un altro brutto.
I personaggi di tali ambienti, dopo aver rinnegato ogni insegnamento
religioso con la scusa del "primato della ragione", non riuscivano a trovare
delle spiegazioni ben solide per giustificare i diversi destini umani.
Essendo incappati nelle descrizioni approssimative che certi "ricercatori"
facevano delle dottrine indú, rimasero entusiasti di questa strana
idea che un uomo, dopo morto, si possa reincarnare in base ai propri meriti
o alle proprie colpe; adottarono quindi con slancio la nuova teoria, che
cosí facilmente risolveva molti dei loro problemi "filosofici".
Ovviamente, a furia di "speculare", qualcuno si accorse che i Greci
avevano parlato di metempsicosi, quindi la cosa poteva dirsi fatta, non
c'era miglior riferimento "culturale" che quello della "filosofia greca".
Vi erano da risolvere, però, alcuni problemi, dovuti al fatto
che, mentre delle dottrine indú si poteva dire ciò che si
voleva, tanto i riscontri erano ben difficili da fare, per la "filosofia
greca" le cose stavano un po' diversamente, poiché non erano in
pochi quelli che potevano contestare che i filosofi greci avessero
mai parlato di reincarnazione.
Un aiuto considerevole giunse (quale sorpresa!) dagli "spiritisti",
soprattutto dagli spiritisti francesi, prevalentemente legati agli stessi
ambienti socialisti (Hypolyte Rivail detto Allan Kardec, capo scuola degli
spiritisti francesi); i quali riuscirono a far dire ai loro "spiriti guida"
tutto quello che poteva far comodo alla nuova teoria.
Cosa si afferma quindi con la "reincarnazione"?
In sostanza si postula, e si pretende anche di dimostrare, che gli
uomini vengano a questo mondo con un innato bagaglio esistenziale direttamente
derivato da una o piú esperienze di vita vissuta precedentemente
in questo stesso mondo o in un altro supposto del tutto simile al nostro.
Cosí, se uno ha vissuto correttamente "progredirà spiritualmente"
e rinascerà in una condizione migliore della precedente; se invece
uno ha vissuto malamente "regredirà spiritualmente" e rinascerà
in una condizione uguale o peggiore della precedente; e cosí via
fino ad un supposto limite progressivo di "perfezione" oltre il quale non
si reincarnerebbe piú.
Ora, ammesso e non concesso che sia cosí, tanto che si arriverebbe
a spiegare il perché uno nasca con un destino comodo e un altro
con un destino scomodo, resta il fatto che non si capisce perché
"all'inizio", e cioè alla supposta prima nascita, uno debba nascere
volto al meglio e un altro no. Non solo, ma non si capisce neanche perché
uno debba perfino nascere e, se le diverse rinascite debbono condurre alla
"perfezione", perché debba nascere cosí imperfetto. Non solo,
ma, ammesso che la rinascita possa condurre alla "perfezione", non si capisce
da quale imperfezione si provenga ed a quale perfezione si pervenga. Non
solo, ma, ammesso che la rinascita sia possibile, non si capisce chi e
che cosa la determini, sulla base di che cosa la regoli e a quale fine
la costituisca.
Potremmo continuare ancora per un bel po', ma pensiamo possano bastare
questi brevi cenni, tra i piú semplici.
Il fatto è che di tutti i propugnatori di questa pericolosa
stramberia, non ve ne sono stati e non ve ne sono ancora due che si trovino
d'accordo nella sua formulazione. Per ogni aspetto controverso della teoria,
vi sono le risposte piú disparate, sostenute ferocemente da altrettante
scuole, tutte in concorrenza tra loro: cosí che il tale pretende
che ci si "reincarni" dopo x anni, mentre il tal'altro si sbraccia per
convincere tutti che il numero di anni sono y; uno dice che ci si "reincarna"
sulla Terra, un altro è certissimo che ci si "reincarni" su Giove
o su Sirio; Tizio sa per certo che ci si "reincarna" con lo stesso sesso,
Caio, un po' viziosetto, può dimostrare che ci si "reincarna" con
un sesso diverso; e via di questo passo, una stramberia dopo l'altra, tutte
basate sulle opinioni personali dei capi scuola.
Come si può notare, l'elemento che accomuna tutte queste scuole
è costituito, oltre che dalla convinzione di base sulla "necessità"
della "reincarnazione", dal fatto che tutti danno per scontato che il processo
"reincarnazionista" è un processo "evolutivo", una sorta di progresso
che si svolgerebbe a partire da una supposta condizione iniziale di miseria
umana per giungere ad una altrettanto supposta condizione finale di umana
ricchezza. Inutile dire che miseria e ricchezza si pretende si riferiscano
alla "spiritualità" dell'uomo.
Non ci soffermiamo su questa concezione del progresso e dell'evoluzione,
anch'essa tipica figlia dei "lumi": se ne parla in altra parte di questo
bollettino. Consideriamo invece l'aspetto illusorio che da questa concezione
deriva alla credenza reincarnazionista.
Ammesso e non concesso che vi sarà un momento in cui tutte le
"anime reincarnate" raggiungano la "perfezione", si deve presumere che
in quel momento il mondo che conosciamo finirà. Ci chiediamo:
ci sarà un nuovo mondo di "perfetti"?
Per quanto possa sembrare paradossale, la risposta è: sí.
Anzi, sembra che i primi segni della perfezione siano già visibili,
poiché stiamo parlando della stessa gente che è convinta
dell'avvento della Nuova Era (New Age), o dell'Età
dell'Aquario, avvento che viene dato come imminente: questione di una
o due generazioni al massimo!
Dobbiamo confessare che per quanto godiamo di una esagerata considerazione
di noi stessi, per quanto siamo certi della nostra spropositata sapienza,
per quanto ci nutriamo ogni giorno del piú sfrenato autocompiacimento,
non ci siamo mai accorti di esseri dei "perfetti", neanche allo stato latente.
Scherzi a parte, combinando la credenza nella reincarnazione con quella,
da essa derivata, nell'avvento della Nuova Era, si rimane veramente stupiti
del fatto di trovarci a vivere in un mondo che, per unanime ammissione
degli stessi reincarnazionisti, è stracolmo di difetti, la maggior
parte dei quali sono addebitabili agli stessi uomini che si vorrebbe prossimi
alla "perfezione". Si tratta di una di quelle contraddizioni tipiche della
mentalità moderna, e che i reincarnazionisti si portano dietro con
la piú insospettabile delle disinvolture.
Come era inevitabile, la credenza nella reincarnazione ha trovato molta
gente disposta a prodigarsi per produrne le "prove sperimentali", e gran
parte dei ricercatori è appartenuta e appartiene al mondo della
cosiddetta scienza o ricerca scientifica che dir si voglia. Cosí
che si sono trovate, per esempio, le prove "ipnotiche". Applicando l'"ipnosi
regressiva", cioè facendo "regredire" la coscienza del soggetto
fin nell'utero materno (?), poi piú indietro (??), poi ancora piú
indietro (???), poi ancora piú indietro di indietro (????), e cosí
via: càspita!, si sono ottenute descrizioni dettagliate e "scientificamente"
verificate di persone, luoghi e situazioni delle vite passate del soggetto!
La cosa piú buffa è che le descrizioni di tutte queste
presunte "vite" assomigliano fin nei particolari a quelle che si trovano
nei copioni cinematografici delle pellicole "storiche" americane; quelle,
cioè, in cui si immaginano gli Ebrei del tempo di Mosè, per
esempio, come dei Quaccheri un po' meno progrediti e un po' piú
ingenui: certo perché ancora non conoscevano le conquiste americane!
Se qualcuno chiedesse ai reincarnazionisti come fa una "coscienza"
attuale, cioè di un uomo vivo oggi, a "regredire" oltre la vita,
cioè a ricondursi oltre la sua stessa condizione d'esistenza, verrebbe
trattato da demente; e, in effetti, di questo si tratta: di demenza.
Si pretende di sostenere che la "coscienza" di un uomo sia in grado
di "esplorare" (sia pure sotto ipnosi!) al di là dello stesso stato
di "coscienza", come dire che la "coscienza" umana è in grado di
esserci anche quando non c'è.
Intendiamo dire che lo stato di coscienza, essendo uno degli stati
tipici della natura umana, può solo esistere fin quando esiste l'uomo
stesso; con la morte dell'uomo scompare anche la "sua" coscienza. Come
sarebbe possibile allora la permanenza della coscienza dopo la morte dell'uomo,
tra una reincarnazione e l'altra? Una stranezza del genere può solo
concepirsi a condizione di considerare l'anima alla stessa stregua del
corpo, e quindi dando per scontato che sia l'uomo corporeo sia la sua anima
abbiano la stessa "coscienza", il che è possibile solo ammettendo
che l'uomo vivente in questo mondo e la sua anima siano una sola ed identica
cosa: cioè ammettendo una impossibilità.
Eppure, dicono in molti, la credenza nella reincarnazione è cosa
diffusissima in Oriente, soprattutto in India.
Non possiamo addentrarci in merito alla complessità delle dottrine
sapienziali dell'India, e ci limiteremo dunque a far notare che anche in
questo caso ci troviamo di fronte ad uno di quei problemi generati dalla
volgarizzazione degli insegnamenti antichi: una questione simile a quella
che abbiamo segnalato per la concezione tardo-greca della metempsicosi.
Chi conosce seriamente le dottrine sapienziali dell'India, sa che esse
non hanno mai insegnato niente che possa paragonarsi alla reincarnazione,
cosí come sa che certi insegnamenti sui destini postumi dell'essere
che è oggi un uomo, possono essere intesi "volgarmente" come indicativi
di condizioni d'esistenza del tutto paragonabili all'esistenza umana. Le
famose "vite" del Buddha sono una descrizione di stati d'esistenza che
in India si ritengono relativi alle condizioni pre-natale e post-mortem
di un essere attualmente vivente nello stato umano (in questo caso dell'essere
che viveva come Gothama Buddha); per ovvi motivi "descrittivi" tali stati
d'esistenza si presentano come assimilabili allegoricamente allo stato
umano, soprattutto quando la descrizione e la comprensione sono legate
alle conoscenze superficiali della gente del popolo. Da questo processo
di "volgarizzazione" si possono anche trarre conseguenze come quelle reincarnazioniste,
ma questo non potrebbe mai significare che la reincarnazione è "insegnata"
dalle dottrine dell'India. Al massimo si potrebbe dire che le dottrine
dell'India insegnano delle cose che "volgarmente" possono apparire come
"reincarnazioniste", e come tali percepite dal popolo.
Lo stesso accade da noi, per esempio, per il culto dei santi: cosí
che non si potrebbe seriamente affermare che la dottrina cattolica insegni
che San Cristoforo è presente presso tutti i corsi d'acqua per aiutare
l'attraversamento di coloro che lo invocano, abbandonando a sé stessi
tutti quelli che non lo invocano.
Sia ben chiaro che non intendiamo stabilire alcun parallelo tra le
dottrine orientali e la dottrina cristiana, né abbiamo inteso avallare
anche solo un qualche aspetto delle stesse dottrine orientali, la nostra
argomentazione ha il solo scopo di far intendere che una cosa sono le dottrine
in questione e ben altra cosa sono le rimasticature, le fantasie e le pretese
di certi Occidentali che, ormai da piú di un secolo, si servono
di questa o di quella cosa "esotica" per usarla come supporto per le loro
piú strampalate elucubrazioni. Né possono valere le indicazioni
che fanno riferimento a diversi Orientali ormai superoccidentalizzati,
prova ne sia il fatto che costoro "fanno fortuna" proprio in Occidente,
offrendo sul "libero mercato" delle credenze e delle pseudo-religioni,
i prodotti piú diversi e piú appetibili per la soddisfazione
delle curiosità, delle manie e dei pregiudizi dell'uomo medio occidentale
o occidentalizzato: questo self-made-man che si illude di inventare
di tutto e di controllare tutto e che invece è schiavo di tutto.
Quello che desta preoccupazione è il fatto che molti cristiani,
perfino dei preti, ritengano sia possibile dar credito ad elucubrazioni
del genere, e ciò accade solo a causa dell'andazzo, ormai affermato
in seno agli ambienti religiosi, di considerare legittimo ogni qualsivoglia
prodotto della "evoluzione" moderna.
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