LA MESSA DELL'INDULTO ALLA MISERICORDIA DI TORINO
(6/98)
È iniziata una nuova fase della manovra contro i cattolici
tradizionali
Innanzi tutto ci preme precisare che usiamo la dizione "Messa dell'indulto"
solo per farci capire, poiché, come abbiamo piú volte dichiarato,
non siamo di quelli che ritengono di dover chiedere indulgenza per il fatto
di voler assistere alla S. Messa tradizionale.
Che si sia pensato di "concedere un indulto" è un problema che
riguarda la gerarchia. Per noi la S. Messa è una sola: quella tradizionale.
La nostra posizione è stata sempre chiara: consideriamo tutta
la liturgia del post-concilio come estremamente sospetta, e in particolare
la celebrazione della S. Messa secondo il Novus Ordo come
un disastroso allontanamento dalla Tradizione cattolica, con le conseguenze
piú deleterie in ordine alla trasmissione del Depositum Fidei.
Sulla base di questi convincimenti, che, ovviamente, non ci permettiamo
neanche di ipotizzare come personali o di gruppo, ma che sono patrimonio
comune di un ampio numero di credenti, compresi vescovi e cardinali di
Santa Romana Chiesa, abbiamo sempre sostenuto e sosteniamo la necessità
del ripristino della antica liturgia.
Comunque sia, oggi la S. Messa, cosiddetta dell'"indulto", è
una realtà definitiva in molte chiese, in Italia e all'estero, tanto
da far pensare che in tempi relativamente brevi si possano compiere altri
importanti passi verso il ritorno alla liturgia tradizionale. Che poi si
tratti di un nostro auspicio o di una nostra corretta percezione o di una
illusione, è difficile a dirsi, ma certo è che alcuni segnali
fanno pensare che la celebrazione della S. Messa secondo il rito tradizionale
non è piú considerata una cosa eccezionale.
Purtroppo dobbiamo constatare che gli stessi segnali suggeriscono che
è in atto un processo di "normalizzazione" della celebrazione liturgica
tradizionale, processo che è molto sospetto e che richiede la maggiore
attenzione possibile da parte dei fedeli seriamente interessati alla questione.
Dalla Pontificia Commissio Ecclesia Dei vengono proposte,
in maniera peraltro del tutto informale, delle modifiche alla liturgia
tradizionale della S. Messa, modifiche che dovrebbero corrispondere ad
alcune "esigenze" espresse dal Concilio Vaticano II. Tali modifiche sembra
scaturiscano dal bisogno di dover distinguere tra la cosiddetta "liturgia
della parola" e la liturgia eucaristica.
Certe espressioni si sono cosí profondamente diffuse che spesso
accade di usarle senza piú rendersi conto del loro vero significato.
Sia chiaro che non intendiamo dare lezioni a nessuno, ma non possiamo
fare a meno di ricordare che "da sempre" la prima parte della Messa, fino
all'Offertorio escluso, è stata considerata la "parte
istruttiva"; che oggi ci si compiaccia di parlare di "liturgia della parola"
possiamo pure comprenderlo, ma è necessario capirsi per non alimentare
equivoci.
La liturgia è una sola: quella della riattualizzazione del Sacrificio
di Nostro Signore; essa si compone di piú parti: la parte preparatoria
e istruttiva (fino all'Offertorio escluso), la parte sacrificale
(fino al Pater escluso), la parte ecclesiale (fino alla Comunione
dei fedeli inclusa), la parte del ringraziamento (fino alla Postcommunio
inclusa), la parte del missionamento (fino al secondo Vangelo).
La liturgia della S. Messa è composta dall'insieme di queste
parti; cosí che ci sembra almeno improprio parlare di piú
liturgie "nella S. Messa", visto che il rischio è di convincersi
che si possa celebrare la S. Messa magari con una sola di queste supposte
liturgie, a seconda delle circostanze o delle necessità.
Abbiamo in mente, per esempio, che molti fedeli si presentano in chiesa
a Credo iniziato e ne escono appena dopo l'EcceAgnusDei,
partecipando quindi solo alla "Liturgia Eucaristica", come si usa dire
oggi.
Ma veniamo alle modifiche proposte dalla Pontificia Commissio
Ecclesia Dei.
1a - La lettura dell'Epistola e del Vangelo, si dovrebbe fare
col celebrante seduto, cioè senza il suo intervento, devolvendo
questo compito non si sa bene a chi: visto che, per esempio, la Messa dell'indulto
viene celebrata senza il Diacono.
Cosa significa un tale "suggerimento"? Semplice: che l'affollamento
del presbiterio da parte dei piú incontrollati protagonismi, come
è di moda col Novus Ordo, bisogna che in qualche maniera
divenga retaggio anche del rito tradizionale. Se poi mancasse qualche lettore,
si potrà sempre chiamare una lettrice, anche solo avventizia. Già,
perché gli ordini minori sono scomparsi e non c'è piú
il "lettorato", ragion per cui le letture possono essere fatte da chiunque.
In pratica, con il celebrante che non recita neanche piú l'Epistola
e il Vangelo, la cosiddetta "liturgia della parola" viene affidata di fatto
ai fedeli. Ora, questo starà anche bene col Novus Ordo,
ma sarebbe un atto sacrilego col rito tradizionale.
2a - All'Offertorio, dopo l'Oremus
del celebrante, si dovrebbe introdurre la cosidetta "preghiera universale",
e cioè le meglio conosciute "preghiere dei fedeli".
Il rito tradizionale prescrive chiaramente che l'antifona dell'Offertorio
sia un Salmo o un passo della S. Scrittura appropriati al tempo liturgico
in cui si celebra la S. Messa, seguiti dal Suspice Sancte Pater,
dal Deus qui humanæ substantiæ, dall'Offérimus
tibi, dal In spiritu humilitatis, dal Veni
sanctificator, dall'incensamento (nelle messe solenni, e cioè
la Domenica), dal
Lavabo inter innocentes, dal Suspice
Sancta Trinitas, dall'Orate Fratres e dalla Secreta.
Da cui si vede chiaramente che l'Offertorio è qualcosa
di ben diverso dalle preoccupazioni individuali o di gruppo espresse dalle
moderne "preghiere dei fedeli".
In realtà ci si dimentica con troppa facilità, soprattutto
da parte dei preti, che l'Offertorio è la parte della
S. Messa che corrisponde alla preghiera di Gesú Cristo nel Getsémani:
al momento, cioè, in cui Nostro Signore, sapendo che l'ora era giunta,
offre Sé stesso al Padre e, insieme, offre e raccomanda al Padre
i suoi. Non di un offerta a Dio dei doni, si tratta, ma del rinnovamento
dell'offerta sacrificale che Gesú Cristo fa di Sé stesso,
e che il celebrante rinnova in persona Christi. Il
che significa che nel rito della S. Messa non c'è posto per le preghiere
dei fedeli: qui è il Corpo Mistico che prega rinnovando la preghiera
del Cristo stesso.
L'idea di introdurre nel rito tradizionale le preghiere dei fedeli
tradisce chiaramente la volontà di trasformare anche il rito tradizionale
in un surrogato di assemblea comunitaria di tipo protestante.
3a - Il canto della Secreta, oggi chiamata oratio
super oblata, e il canto della Dossologia (Per
Ipsum…) del Canone.
Piccoli cambiamenti che in effetti non mutano la struttura del rito,
come accade invece per i precedenti, ma che suscitano una certa diffidenza
proprio in relazione ai precedenti cambiamenti proposti, e fanno sospettare
che si cerca in tutti i modi di limitare la recita sottovoce del celebrante
per ridurre al minimo il ruolo del sacerdote ordinato, soprattutto per
quanto attiene alla sua funzione di Ministro in persona Christi;
esattamente come accade nel Novus Ordo. D'altronde,
come non insospettirsi quando quella preghiera che è stata
sempre chiamata "secreta" diventa improvvisamente "oratio super oblata"?
Ci si può accusare di essere prevenuti quando salta agli occhi che
si vuole espressamente abolire la recita sottovoce fin nella denominazione
della preghiera stessa?
4a - Canto del Benedicat vos e abolizione dell'Initium
sancti Evangelii secundum Ioannem.
Nella S. Messa solenne della Domenica, secondo il rito tradizionale,
si canta l'Ite missa est e non il Benedicat vos,
e lo si canta al pari di altre parti cantate nel corso della S. Messa,
cosí che l'Ite missa est non conclude affatto la celebrazione,
che è invece conclusa dalla recita del prologo del Vangelo di San
Giovanni. Il cambiamento proposto produrrebbe un doppio effetto: da un
lato ridurrebbe il senso profondo dell'Ite missa est, assegnando
al Benedicat vos il ruolo di ricapitolazione della celebrazione,
e dall'altro priverebbe i fedeli di quell'insegnamento cosí profondamente
sintetico ed efficace che è il prologo del quarto Vangelo, il quale
può considerarsi come la consegna per il missionamento dei fedeli
che si sono appena abbeverati alla Fonte della Vita, ancora una volta presente
in mezzo a noi per Grazia Sua e per tramite dell'Azione Eucaristica del
suo ministro.
Qualcuno potrebbe obiettare che nel corso di duemila anni la liturgia
della S. Messa ha subito certamente molte modifiche e aggiustamenti, quindi
non ci sarebbe niente di straordinario se una cosa del genere si verificasse
anche adesso.
In effetti le cose stanno cosí, ma occorre subito precisare
che non si è mai trattato di modifiche e aggiustamenti, quanto piuttosto
di "adattamenti", a volte opportuni, a volte necessari; ed ogni adattamento
implica sempre che la preoccupazione primaria dell'adattatore sia la immutabilità
del rito, la sua integralità e la sua ininterrotta rispondenza con
il suo archetipo, e cioè col Sacrificio della Croce.
Possiamo dire in piena coscienza che le preoccupazioni della Commissio
Ecclesia Dei sono del tipo da noi indicato? O piuttosto non dobbiamo
affermare con tranquillità che la preoccupazione primaria dei prelati
dell'Ecclesia Dei è di introdurre alcune (per
ora)
esigenze fatte dal Concilio Vaticano II nella celebrazione
della S. Messa secondo il rito tradizionale, cosí che tali introduzioni
corrispondano grosso modo alle rubriche del 1965 (e cioè
del Novus Ordo)?
Non ci inventiamo nulla, abbiamo semplicemente riportato, sottolineandole,
le testuali parole di una frettolosa e informale sollecitazione di mons.
Perl, fatta per conto della Commissio Ecclesia Dei ai sacedoti
preposti alla celebrazione della S. Messa tradizionale alla Misericordia
di Torino.
Per coloro che potrebbero pensare che le nostre preoccupazioni siano
eccessive, facciamo un piccolo esempio pratico a sostegno di quanto abbiamo
esposto.
Nel corso della celebrazione della S. Messa tradizionale di Pentecoste,
svoltasi nella chiesa della Misericordia a Torino, il celebrante, al termine
dell'omelia, ha creduto bene di inventarsi una sorta di appendice rituale,
facendosi portare un cero acceso e recitando una preghiera in italiano
che assomigliava al Veni Sancte Spiritus, e invitando i fedeli
a rispondere ad ogni strofa a mo' di riconferma degli impegni assunti al
momento della Cresima.
Ricordiamo che la S. Messa di Pentecoste comprende la sequenza del
Veni Sancte Spiritus ed è quasi sempre accompagnata, all'Offertorio,
dal canto del Veni creator Spiritus: che bisogno c'è
di complicare le cose, introducendo delle formule in volgare? Forse che
i fedeli, non recitando queste novità rimangano all'oscuro della
Pentecoste, dello Spirito Santo e degli obblighi del cristiano?
Ci chiediamo. Se l'officiante viene espressamente comandato dal Vescovo
a celebrare la S. Messa secondo il rito tradizionale, in base a quale criterio
immette nel corso della celebrazione una qualunque cosa non prevista dal
messale tradizionale? Con quale autorità? E secondo quali prescrizioni
rituali?
Tutto inventato. Ma da chi?
Delle due l'una: o l'officiante si è fatto "prendere la mano",
ed allora aspettiamo un rigoroso richiamo del vescovo; o l'officiante ha
fatto ciò che gli è stato detto di fare, ed allora abbiamo
ragione noi a sospettare fortemente che si vuole trasformare il rito tradizionale
in un ibrido improprio e confusionario, dove ognuno fa quello che gli pare,
in perfetta armonia con lo "spirito" del Concilio Vaticano II e con gli
usi e gli abusi della pratica del Novus Ordo.
ALLA PRIMA PAGINA (Home)
AL SOMMARIO GENERALE
AL SOMMARIO PER ARGOMENTI |