A DIECI ANNI DAL "MOTU PROPRIO ECCLESIA DEI"
(12/98)
Il giorno in cui il compianto mons. Lefebvre decise di fornire alla
Fratenità
San Pio X, da lui fondata e dalla Santa Sede approvata e benedetta,
gli strumenti necessari per assicurarne la continuità nel tempo
e nei fini, il Santo Padre accettò i consigli della Curia e scomunicò
Monsignore e i quattro sacerdoti che da lui ricevettero l'ordinazione episcopale.
È così che nacque il "motu proprio
Ecclesia Dei". Era il 2 luglio 1988.
Sono passati dieci anni e da più parti si è pensato bene
di fare un piccolo bilancio.
Ci sono diversi modi per fare un bilancio e, ovviamente, diversi punti
di vista dai quali impostarlo, così da porre in risalto certi aspetti
piuttosto che altri.
Noi proveremo a delineare, grosso modo, ciò che è accaduto
in questi dieci anni, tenendo presente le diverse realtà che hanno
condotto al "motu proprio".
La prima di queste realtà è costituita dalla nuova liturgia
della Chiesa, che è stata il punto di partenza dell'azione concreta
dei modernisti e dei novatori, e della reazione di coloro che volevano
rimanere fedeli alla liturgia di sempre e alla dottrina sulla quale questa
si fondava, e che solo per questo sono detti "integralisti".
Con la nuova liturgia si era convinti di produrre un grande cambiamento
nella Chiesa, cambiamento che avrebbe dovuto corrispondere a quello che
con un termine ormai abusato si usa chiamare "rinnovamento". Tale rinnovamento,
ovviamente, doveva tradursi in un tangibile ampliamento della pratica della
Fede, sia dal punto di vista quantitativo, sia dal punto di vista qualitativo.
Doveva cioè prodursi un ampliamento dell'influenza della Chiesa
nel mondo e un rafforzamento della consapevolezza dottrinale dei fedeli.
Da questo punto di vista, a dieci anni dall'Ecclesia Dei
e a trent'anni dall'adozione della nuova liturgia, il bilancio è
del tutto fallimentare.
Non lo diciamo noi, che siamo i meno idonei ad esprimere giudizi in
materia, ma lo continua a dire il Papa, soprattutto ove si pensi che i
suoi richiami non sono rivolti piú, come accadeva ai suoi predecessori,
al mondo che corre verso l'autodistruzione, bensí ai fedeli cattolici
che dimostrano sempre piú di tenere in nessun conto gli insegnamenti
della Chiesa.
Non solo, ma pur nei limiti dell'estremo riduzionismo a cui si è
ridotta la pratica della Fede, il numero di coloro che tale pratica esercitano
è diminuito a dismisura, con il pericolosissimo accompagnamento
della estrema riduzione delle vocazioni sacerdotali e religiose.
Un fallimento totale.
A causa della nuova liturgia?
Anche, ...se non soprattutto!
Perché è opportuno ricordare che la nuova liturgia è
l'espressione tangibile della nuova "pastorale" della Chiesa, come si disse
durante e dopo il Vaticano II; e che la nuova pastorale è basata
sulla continua e perniciosa revisione del Magistero della Chiesa, ivi comprese
le reiterate pretese messe a punto circa l'operato della Cristianità
negli ultimi duemila anni.
Ora, o tutto ciò è stato la causa del forte indebolimento
della pratica della Fede in questi trent'anni, oppure si è trattato
di un tentativo dimostratosi incapace di frenare l'inevitabile andazzo
delle cose. In entrambi i casi i modernisti hanno fallito.
Tra costoro ci sono poi quelli che pensano e dichiarano ad alta voce
che i risultati non si sono visti perché lo "spirito del Concilio"
non ha trovato a tutt'oggi la dovuta e completa applicazione. Ma, come
si sa, tra tutti i peccatori ci sono anche gli impenitenti, a cui è
riservata la Geenna.
Ma, oltre ai modernisti, hanno anche fallito tutti coloro che si sono
adattati alla situazione con la speranza che, comunque, si producesse qualche
frutto.
La seconda di queste realtà è la perdurante presenza di
coloro che vengono chiamati "integralisti".
Da questo punto di vista, grazie a Dio, le cose sono andate un po'
meglio, nonostante da parte di certuni si fossero riposte tante speranze
nell'opera indefettibile di nostra sorella morte.
A trent'anni di distanza il numero e la forza morale di coloro che
han voluto rimanere fedeli alla Chiesa di sempre è aumentato e,
anche a fronte di un certo limite quantitativo, sicuramente ci si trova
al cospetto di un notevole rafforzamento qualitativo: ove si pensi, per
esempio, al gran numero di giovani che si rivolgono alla liturgia tradizionale
con ferma convinzione, sia laici sia chierici, senza che per loro si possa
neanche parlare di "nostalgia", vista la loro età.
Questo elemento, in fondo, è la logica conseguenza di quanto
considerato prima e costituisce una ulteriore conferma del fallimento del
cosiddetto "rinnovamento" liturgico.
La terza di queste realtà è costituita dal perdurare e
dal consolidarsi della Fraternità San Pio X, la quale si considera
ancora in piena comunione con la Santa Chiesa e con il Sommo Pontefice,
tenendo in nessun conto la scomunica comminata ai suoi vescovi. Non solo
la Fraternità non ha subito alcun tracollo, ma ha resistito vigorosamente
all'offensiva che si pensava di poter condurre a suo danno col "motu proprio"
e con la incerta celebrazione della cosiddetta "Messa dell'indulto". Anzi,
con l'ampliarsi, in seno alla Chiesa, della consapevolezza che la celebrazione
di tale Messa andrebbe ancor più rafforzata, indipendentemente dalla
Fraternità, quest'ultima, di fatto, ha conseguito il risultato clamoroso
di vedere riconosciuta implicitamente la giustezza delle sue posizioni
e la infondatezza della condanna pontificia.
La quarta realtà è costituita dal testo stesso del "motu
proprio", che riportiamo a parte insieme alla lettera “Quattour
abhinc annos”. Con tali documenti, in effetti, non ci si proponeva
di "sostenere" la sussistenza di un àmbito tradizionale in seno
alla Chiesa, ma si mirava, invece, a "contenere" le istanze di quella parte
dei fedeli ritenuti, a torto, dei "conservatori" a titolo personale.
Da questo punto di vista il "motu proprio" è stato un clamoroso
fallimento e, al tempo stesso, la dimostrazione che la nuova "pastorale"
è incapace di comprendere la vera realtà della Chiesa e il
reale sentire dei fedeli.
È accaduto, infatti, che il "motu proprio" abbia addirittura
svolto la funzione di strumento di partenza per la riaffermazione all'interno
della Chiesa della necessità di ritornare alla liturgia di sempre;
non solo dal punto di vista della celebrazione dei Sacramenti, ma anche
dal punto di vista della riproposizione dell'antico Magistero e della relativa
pastorale: quanto meno, per quest'ultima, nelle sue linee essenziali.
Si è verificato, insomma, tutto il contrario di quanto i modernisti
e i novatori si fossero riproposti con la scomunica di mons. Lefevbre e
con il "motu proprio Ecclesia Dei".
Relativamente a quest'ultimo, basta leggerne il contenuto per rendersi
conto immediatamente che esso non ha niente a che vedere con il pellegrinaggio
svoltosi a Roma alla fine di ottobre. Così come lo stesso pellegrinaggio
non ha niente a che vedere con il contenuto dell'indirizzo di saluto del
Papa ai pellegrini.
Ma di questo parliamo in altra parte di questo bollettino.
In conclusione, a dieci anni di distanza dal "motu proprio Ecclesia
Dei", e a trent'anni di distanza dall'adozione della nuova liturgia,
tutto si può dire, tranne che il cosiddetto "rinnovamento" della
Chiesa abbia dato dei buoni frutti.
Rendiamo grazie a Dio Onnipotente per aver permesso la conservazione
della antica liturgia della Sua Chiesa e, soprattutto, per aver illuminato
le menti e i cuori di quei fedeli, laici e chierici, che ad essa guardano
con fiduciosa speranza e con rinnovata fermezza. Possa la infinita Misericordia
di Dio suscitare sempre nuovi ripensamenti, con l'aiuto dello Spirito Santo,
per intercessione della santa Vergine e di tutti i Santi, per la maggior
gloria di Nostro Signore Gesù Cristo.
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