RIFLESSIONI SUL DESTINO DEL MAGISTERO PETRINO
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C’è chi parla di crisi della Chiesa in modo da mettere in problematica
la stessa figura degli ultimi successori di Pietro: vuoi per la “nuova
pastorale”, vuoi, e soprattutto, per il dilagare dell’errore e della falsa
dottrina.
Anche in questo nostro foglio non ci stanchiamo di ripetere che i tempi
che viviamo sono intrisi di falsità, ma ci asteniamo dall’emettere
giudizi definitivi su chi occupa il Soglio Pontificio, pur permettendoci
di segnalare tante inesattezze e tante stranezze che vengono dai documenti,
dalle dichiarazioni e dai comportamenti del Vescovo di Roma e dei Vescovi
cattolici in genere.
Questa questione ci ha dato modo di considerare alcuni passi dei Vangeli,
per cercare di comprendere, se possibile, come possano accadere certe cose,
e come i tempi che viviamo possano portare a confondere le esigenze terrene
e contingenti con la sana dottrina.
Tra le tante profezie diffuse nel mondo cattolico, molte parlano dei
tempi attuali come di quelli in cui vi sarà una profonda e lacerante
crisi della fede, una sorta di riduzione al minimo della fedeltà
a Dio e a Nostro Signore Gesú Cristo. Il tanto famoso e inspiegabilmente
nascosto terzo segreto di Fatima sembra che tratti anch’esso lo stesso
tema.
Diamo un’occhiata ai Vangeli, dunque.
Ci sono alcuni passi in cui si dice chiaramente che verranno tempi forieri
di falsità e di errori, tempi in cui verranno ingannati anche gli
eletti, se possibile, tempi in cui l’abominio della desolazione entrerà
perfino nel luogo santo (Mt XXIV, 4-20; Mc XIII, 5-23). Questi
passi sono ben conosciuti da molti, anche se sottovalutati da molti altri,
ma attengono alla situazione generale, che tanti sono portati a trasporre
sempre nel tempo futuro, non si sa bene quale, ma sempre piú in
là del tempo in cui si sta vivendo. Comprensibile panacea, ma nel
contempo ingiustificata, poiché vi sarà pure, e inesorabilmente,
un qualche momento in cui tale trasposizione temporale non servirà
a modificare la realtà delle cose, ed allora il ladro verrà
e ci troverà impreparati e ci deruberà del nostro tesoro
e il padrone verrà e non ci troverà pronti, e per noi saranno
le tenebre esteriori, ove sarà pianto e stridore di denti (Mt,
XXIV, 42-51; Lc, XII, 39-48).
Ma nei Vangeli vi sono anche alcuni passi che non sembra godano dell’attenzione
meritata. Passi che trattano in modo piú specifico dei destini e
della funzione assegnata agli Apostoli da Nostro Signore, e sui quali possono
condursi delle riflessioni in grado di suggerire qualche spiegazione circa
le anomalie “pastorali” degli ultimi tempi e le inevitabili conseguenze
dell’inesorabile fluire del tempo verso forme di abbandono e di perdita
della fede.
Fra i piú importanti vi è quello che conclude il Vangelo
di san Giovanni (XXI, 15-23), dove Nostro Signore, dopo la Resurrezione,
conferma la funzione di Pietro, profetizza il suo destino ultimo ed accenna
ad una funzione enigmatica di Giovanni.
Poniamo mente, innanzi tutto, ad alcuni elementi che riguardano la
figura di san Giovanni Evangelista.
Per prima cosa si può notare la particolare coincidenza tra
il nome del Precursore e quello del discepolo “che Gesú amava”:
nome che indica l’azione della Misericordia di Dio (Yohanan = Yahwe
hanan = Dio ha avuto misericordia). Questa coincidenza rimanda
ad alcuni elementi contenuti nel passo del Vangelo citato, ma ancor prima
fa pensare alla stessa posizione particolare che le compilazioni di san
Giovanni Evangelista hanno nel contesto del Libro sacro.
Il Vangelo di san Giovanni è il quarto dei Vangeli, quello che
li completa e, in qualche modo, li spiega. Non è possibile pensare
che esso sia stato posto a conclusione degli altri tre solo per caso. Vi
potrebbe anche essere una giustificazione “cronologica”, visto che tutti
concordano nel datarlo per ultimo, ma questa sola non basterebbe a spiegarne
né la collocazione né, soprattutto la particolare prospettiva
teologica che lo caratterizza; anzi, la sua stessa redazione “ultima” non
fa che confermare la sua valenza “conclusiva”, “definitiva”, qualcosa insomma
che lo indica come il Vangelo che sigilla gli altri tre.
D’altronde, lo stesso si può dire per l’altro scritto giovanneo
che chiude e quasi sigilla tutta la Bibbia: l’Apocalisse
o Rivelazione.
Questi indizi potrebbero anche bastare per permettere di considerare
la figura di san Giovanni Evangelista come il contraltare di quella di
san Giovanni Battista: questi il Precursore, preposto a preparare
la venuta del Cristo, quegli il Continuatore, preposto a mantenere
la memoria del Cristo fino alla fine. Il Battista che viene prima,
e l’Evangelista che resta dopo; e ancora: il Battista che
annuncia la prima venuta terrena, il Discepolo Prediletto che precede
la seconda venuta celeste; e in quest’ultimo senso il passo del Vangelo
in questione sembrerebbe non lasciare dubbi, poiché il Cristo dice
a Pietro: «Se voglio che egli rimanga finché io venga…».
Questo capitolo di san Giovanni è l’unico di questo Vangelo in
cui si parla della funzione di Pietro come “pastore delle pecore” («Pasci
i miei agnelli… Pasci le mie pecorelle… Pasci le mie pecorelle»),
e, al tempo stesso, è l’unico di tutti i Vangeli in cui si parla
di questa misteriosa funzione di Giovanni che deve rimanere fino alla nuova
venuta del Cristo.
La cosa non può non avere un particolare significato, soprattutto
ove si pensi che mentre la funzione di Pietro si presenta quasi esclusivamente
legata alla condizione delle “pecorelle”, e quindi all’evento terreno susseguente
la “prima venuta”, quella di Giovanni assume connotazioni escatologiche
legate principalmente all’evento trascendente della “seconda venuta”.
Ulteriormente significativo è il fatto che mentre la triplice
investitura di Pietro è espressa dal Cristo in maniera diretta e
dopo la conferma richiesta dell’amore di Pietro, la funzione di Giovanni
è data per scontata, come se tutto fosse stato predisposto fin da
prima, con Giovanni che dimostra di averne piena conoscenza, senza alcuna
esplicitazione da parte del Cristo, poiché il passo del Vangelo
ci dice che, non solo è tacitamente presente mentre Pietro riceve
l’investitura, ma segue ancora tacitamente il Cristo quando questi ingiunge
a Pietro di seguirlo.
Appare quindi indubbio che si tratti di due figure ben distinte, con
una funzione da svolgere altrettanto distinta.
Questi elementi vanno considerati insieme ad altri che sono sparsi in
altri passi dei Vangeli.
Il primo che si può prendere in considerazione è quello
riportato nei sinottici da san Marco (III, 16-19). Questi
ci dice che di tutti i discepoli solo Simone, Giovanni e Giacomo ricevono
un nuovo nome da Gesú. Simone viene chiamato Pietro,
Giovanni
e Giacomo, invece, Boanerghes, cioè “figli
del tuono”. Ora, mentre per Simone Pietro viene proposta una spiegazione
(Mt, XVI, 13-19; Mc VIII, 29), per Giovanni e Giacomo questo
non avviene; eppure non è pensabile che gli Apostoli non conoscessero
il senso di tale imposizione del nome nuovo, né lo stesso significato
del nome e il perché.
Ora, quando Pietro viene chiamato “fondamento” della Chiesa, Gesú
utilizza chiaramente un simbolo edificatorio, con un chiaro riferimento
alla costruzione del Tempio di Salomone, ove le pietre squadrate vengono
poste a “fondamento” del Tempio (I Re, V, 31). Questo richiamo è
particolarmente significativo ove si pensi che la costruzione del Tempio,
nell’economia complessiva della Bibbia, mentre indica qualcosa di stabile
e di definitivo in relazione agli uomini, lascia impregiudicata la giustizia
di Dio circa il destino del Tempio stesso: questo, infatti, viene edificato
e distrutto per tre volte. In questo senso vi è un passo di san
Matteo (XII, 6-8) in cui Gesú ricorda che «vi
è qualcosa piú grande del tempio», e lo collega
ad un richiamo di Osea (VI, 6) e di Samuele
(I Sam XV, 22): “Misericordia io voglio e non sacrificio”.
Inutile dire come salti all’occhio la coincidenza tra questo passo e i
due nomi di Pietro e Giovanni, con quello che essi possono sottintendere.
In ogni caso il perché della nuova denominazione di Boanerghes
per Giovanni e Giacomo resta non spiegato nel Vangelo. Da altri passi,
però, se ne può comprendere la spiegazione, anche se essa
rimarrà in certo modo sempre avvolta nel mistero.
Innanzi tutto non è poco significativo che del padre di Simone
Pietro non si sappia niente, mentre è piú volte ripetuta,
per Giovanni e Giacomo, la denominazione di “figli di Zebedeo”,
financo quando si parla della loro madre, che viene chiamata “madre dei
figli di Zebedeo” (Mt XX, 20; XXVII, 56). Ora, questo nome di Zebedeo
ha come iniziale la lettera ebraica zayn, che indica anche qualcosa
che fende l’aria, e il cui geroglifico è una freccia ondulata. Da
notare che in aramaico il geroglifico di zayn è assai simile
al segno greco e latino “Z” che è chiaramente il geroglifico
della “saetta”. L’accostamento tra questo riferimento e la
denominazione dei figli di Zebedeo come “figli del tuono” è sicuramente
di grande interesse e di particolare significato. Da notare, peraltro,
che anche il padre di Giovanni il Precursore porta un nome che inizia con
la stessa lettera “Z”: Zaccaria.
Ciò posto, se consideriamo quanto riportato da san Luca
(IX, 54) secondo il quale i figli di Zebedeo propongono a Gesú:
«Signore, vuoi che diciamo che scenda un fuoco dal cielo e
li consumi?», non possiamo esimerci dal ritenere che i figli
di Zebedeo avessero potere sul fuoco dal cielo, e cioè sul tuono
e sulla saetta, in perfetta concordanza con la denominazione da loro ricevuta
dal Cristo: figli del tuono.
In un altro passo dei Vangeli si fa riferimento alla folgore (Mt
XXIV, 27; Lc XVII, 24) che accompagnerà la seconda venuta
del Cristo, ed è impossibile evitare l’accostamento col “figlio
del tuono” che rimarrà fino alla seconda venuta.
Non v’è dubbio che tra la figura di Pietro, posto a fondamento
della Chiesa, e la figura di Giovanni, che ha potere sul “fuoco dal cielo”,
vi sia una certa differenza che potrebbe condurre a delle implicazioni
molto complesse, soprattutto in ordine alle valenze qualitative della “pietra
di fondamento”, da un lato, e del “fuoco dal cielo”, dall’altro, ma qui
basti ricordare che la “pietra” attiene alla terra e al contingente, mentre
il “fuoco dal cielo” attiene al cielo, appunto, e al trascendente.
Resta il fatto, però, che la funzione assegnata dal Cristo a
Giovanni rimane nell’oscurità, tanto piú per quanto invece
è chiara la funzione di Pietro. D’altronde, per esclusione, la funzione
di Giovanni non potrebbe essere accostabile a quella di Pietro, poiché
è evidente che la conduzione del gregge dei fedeli viene assegnata
a Pietro, fondamento della Chiesa, e tra questi fedeli vi è anche
lo stesso Giovanni, quindi la funzione di quest’ultimo dev’essere di natura
diversa da quella della conduzione dei fedeli. Peraltro, fin da quando
il Cristo chiama i primi discepoli (che sono proprio questi tre) si rivolge
a Simone Pietro dicendogli che lo farà “pescatore di uomini”, mentre
non lo dice nei confronti di Giovanni e Giacomo (Mt, IV, 18-22;
Mc
I, 16-20; Lc V, 9-11).
Di cosa si tratterà, allora?
Lungo i Vangeli, ogni qual volta si presenta una particolare occasione,
ad accompagnare il Cristo vengono chiamati solo tre discepoli: proprio
quelli a cui il Cristo ha conferito dei nomi nuovi, Pietro, Giovanni
e Giacomo. Questo accade al momento della Trasfigurazione
(Mt XVII, 1-8; Mc IX, 2-8; Lc IX, 28-36), al momento
della preghiera di Gesú nel Getsèmani (Mt XXVI, 37-41;
Mc
XIV, 33-42; Lc XXII, 39-46), e san Marco riferisce
che in occasione della resurrezione della figlia di Giàiro, capo
della sinagoga, Gesú “non permise a nessuno di seguirlo”,
tranne che a Pietro, Giovanni e Giacomo (V, 37), cosa confermata da san
Luca (VIII, 51). Stranamente, in queste occasioni, è sempre
solo Pietro che parla, mentre gli altri due rimangono in silenzio, e in
questo suo parlare Pietro rivela sempre preoccupazioni terrene, cosí
che Gesú è costretto a riprenderlo, fino al punto che subito
dopo la professione di fede e la destinazione di Pietro (Mt XVI,
22-23; Mc VIII, 33; Lc XXII, 31-32) questi viene accusato
da Gesú di pensare secondo gli uomini e non secondo Dio (Lungi
da me, Satana!, dice Gesú.). Cosa ben strana, visto che
appena prima lo ha decretato fondamento della Chiesa.
La funzione di Pietro appare allora connotata da elementi problematici,
poiché al compito che ha, di guidare la Chiesa, sembra accompagnarsi
una continua tendenza a cedere alle debolezze umane e a contravvenire ai
comandamenti del Maestro.
Nel considerare questo aspetto della questione, si potrebbe pensare
che in fondo i possibili cedimenti di Pietro non sono altro che il segno
dell’inevitabile debolezza umana; ma trattandosi della sacra Scrittura,
il senso di quanto essa contiene non può limitarsi alla semplice
constatazione dell’ovvio. Non è azzardato allora ritenere che queste
debolezze petrine richiamate esplicitamente dai Vangeli attengano e alla
“persona” di Pietro e alla sua “funzione”. D’altronde, nei Vangeli non
si parla delle storie personali degli Apostoli, bensí della loro
figura emblematica ed esemplare in vista della Rivelazione di Nostro Signore.
Neanche del Cristo si raccontano le vicende umane, se non nella misura
in cui esse sono contemporaneamente insegnamento di verità.
Questo aspetto cosí particolare della funzione di Pietro viene
sottolineato nei Vangeli in diverse altre occasioni. San Matteo
(XVII, 24-27) ci dice che è Pietro che raccoglie l’esigenza dell’obolo
richiesto dagli esattori, e, venuto vicino a Gesú, questi lo incarica
di adempiere a tale obbligo, ma precisando che Pietro lo farà non
perché sia giusto, ma solo perché “non si scandalizzino”,
visto che l’obbligo è solo degli estranei e non dei figli; cosí
che si deve pensare ad un ossequio formale per le cose del mondo, che è
un errore, ma che va compiuto per non dare scandalo, e la funzione di compierlo
spetta a Pietro. In altri passi si ricorda la poca fede di Pietro, che
non riesce ad attraversare le acque senza affondare (Mt XIV, 26-31),
o il suo poco intelletto, a proposito della distinzione tra il puro e l’impuro
(Mt XV, 15-16), fino alla predizione del rinnegamento di Pietro
(Mt XXVI, 33-35; Mc XIV, 29-31; Gv XIII, 36-38) e
al rinnegamento stesso (Mt XXVI, 69-75; Mc XIV, 66-72; Lc
XXII, 33-34; Gv XVIII, 17-27).
Tutto questo aiuta a comprendere come il reggimento della Chiesa venga
assegnato dal Cristo in maniera tale che sarà condotto dai “chiamati”
tenendo conto di certi fattori propriamente terreni e temporali, anche
se questi fattori si allontanano dalla verità e dalla giustizia;
e questo soprattutto verso la fine dei tempi, quando Pietro sarà
vecchio; come vedremo dopo.
Beninteso, non vogliamo certo dire che la conduzione della Chiesa manchi
dell’assistenza dello Spirito Santo, che potrà sopperire laddove
mancheranno gli uomini; ma certo è che tale funzione petrina viene
assegnata in questa maniera cosí particolare dallo stesso Cristo,
e non ci si può esimere dal tenere presente che il tutto sia stato
predisposto nella maniera dovuta.
Ma resta da capire qual è la funzione del figlio di Zebedeo.
Occorre notare un primo elemento. Dei due figli di Zebedeo, solo a
Giovanni viene assegnata la funzione di cui abbiamo detto all’inizio, Giacomo,
invece, viene messo a morte abbastanza presto per ordine di Erode (At
XII, 1-2). Già questo particolare destino di Giacomo, il primo Apostolo
martirizzato, sembra essere un segno distintivo dei figli di Zebedeo: Giovanni
è il piú giovane degli Apostoli e l’ultimo a morire, di vecchiaia.
Ma ciò che aiuta a cogliere qualche elemento atto a chiarire la
diversità di funzione tra Pietro e Giovanni è quanto si racconta
di Giacomo dopo la sua morte.
Si narra che il corpo dell’Apostolo Giacomo sia stato traslato nell’estremo
Occidente, e qui conservato fino a quando una stella non né indicò
il luogo esatto, luogo che divenne il centro di pellegrinaggio piú
importante della Cristianità: Santiago di Compostela (San
Giacomo del Campo della Stella). Ora, questo Santiago è curiosamente
posto all’estremo Occidente di una linea che collega molti santuari dedicati
all’Arcangelo Michele con Gerusalemme, linea che si termina alla
“fine della terra” sull’Atlantico (Finisterre); e lungo le famose
“vie del pellegrino” che conducono a Santiago ci sono sempre dei luoghi
dedicati all’Arcangelo Michele. Fra gli appellativi di san Giacomo ve n’è
uno che lo assimila all’Arcangelo Michele, quello di matamoros
(uccisore di mori), che si riconduce all’apparizione del Santo nel corso
della battaglia contro i Mori a Clavijo (840÷850): qui il Santo,
in seguito alle suppliche di Ramiro I, si presentò su un cavallo
bianco con in mano una spada fiammeggiante, portando alla vittoria i Cristiani.
Non solo, ma le piú importanti apparizioni mariane, che non a caso
corrispondono a tempi di “perdita della fede”, sono anch’essi posti all’estremo
Occidente e in prossimità di Santiago: Fatima e Lourdes;
e per un curioso accostamento è proprio in questa zona dell’estremo
Occidente che si dice, da altri racconti, che il Santo abbia avuto piú
volte la visione della S. Vergine, anche quando ella era ancora su questa
terra.
Ora, si sa che il significato simbolico dell’Occidente è strettamente
connesso alla Parusia e al Giudizio Ultimo, e questo trova
ulteriore conferma nella simbologia dell’apparizione del Santo, che si
accosta a quanto descritto nell’Apocalisse (intervento dal
cielo, cavallo bianco, spada fiammeggiante, combattimento contro i nemici,
ecc.). Tutto ciò non può considerarsi casuale, poiché
bisognerebbe prima ammettere che esista il caso, e cioè che esista
un elemento autonomo fuori dal disegno della divina Provvidenza: il che
è assurdo. Semmai si potrà parlare di incomprensibilità
di certi eventi da parte dell’uomo, e cioè della sua ignoranza,
che egli per comodità chiama “caso”.
Queste considerazioni ci fanno intravedere un aspetto della vita della
Chiesa che non attiene alla funzione petrina, che esula dalla giurisdizione
pastorale e magisteriale di Pietro, aspetto che si trova invece legato
a certe forme di culto che impropriamente si usa chiamare “popolari” e
che lo stesso Soglio Pontificio è stato piú volte costretto
a “subire” (per tutte si possono fare gli esempi famosi dell’uso simbolico
del presepe e della recita del rosario, nonché del
pellegrinaggio simbolico al seguito della Passione di Nostro Signore: che
è la Via Crucis). Si delinea cosí qualcosa che “corre”
lungo la vita terrena della Chiesa in modo inavvertito e che provvede a
fornire alla Chiesa stessa certi elementi correttivi in vista del decadimento
verso cui la conduce il fluire del tempo, fino alla Parusia. E questo indipendentemente
dal magistero di Pietro, che resta anche invischiato nelle preoccupazioni
terrene e perde di vista la verità.
Questa specificità del magistero di Pietro, che è anche
basato su una limitata capacità e possibilità di comprendere
realmente le cose, la troviamo espressa nei Vangeli in modo abbastanza
chiaro, e in queste occasioni viene descritta una sorta di subordinazione,
in ordine all’accesso alla verità, di Pietro rispetto a Giovanni.
La cosa non può non avere un suo significato ben preciso, soprattutto
ove si pensi che i Vangeli ne parlano ovviamente a ragion veduta, poiché
anche e soprattutto qui non si potrà certo pensare che si tratti
di un “caso”.
La preparazione dell’Ultima Cena viene commissionata dal Cristo a Pietro
e a Giovanni (Lc XXII, 7-13; Mt XXVI, 17-19, che non lo specifica;
e Mc XIV, 12-16, che parla solo di due discepoli inviati), ma proprio
nel corso dell’Ultima Cena si precisa qualcosa che distingue Pietro da
Giovanni. Quando il Cristo rivela che uno dei dodici lo tradirà
(Mt XXVI, 23-25; Mc XIV, 17-20; Lc XXII, 21-23) nel
Vangelo
di san Giovanni (XIII, 21-28) è detto che Pietro chiede
al discepolo “che Gesú amava” di interrogare il Signore per sapere
chi sarà il traditore, e il Signore lo indica. Il racconto di Giovanni
è strutturato in modo tale da far comprendere che Pietro non può
chiedere una cosa cosí particolare direttamente a Gesú, e
si serve della mediazione di Giovanni, che può farlo e lo fa; non
solo, ma appare chiaro che l’episodio si svolge quasi all’insaputa degli
altri Apostoli, i quali seppur presenti non comprendono neanche la frase
che Gesú rivolge subito dopo a Giuda.
Non è senza significato che questo episodio preceda immediatamente
l’altro della predizione del rinnegamento di Pietro (Mt XXVI, 33-35;
Mc
XIV, 29-31; Lc XXII, 31-34), e a questo proposito il Vangelo
di san Giovanni (XIII, 36-38) precisa che Gesú predice il
rinnegamento dopo aver detto a Pietro: «Dove io vado per ora
tu non puoi seguirmi, mi seguirai piú tardi». Ora,
oltre ai diversi significati che questa frase potrebbe avere, non v’è
dubbio che essa prepara e spiega ciò che avverrà subito dopo.
Innanzi tutto c’è da notare che i Vangeli dicono che, dopo l’arresto
di Gesú, tutti i discepoli fuggirono, ma Pietro lo seguí
fino al palazzo del sommo sacerdote (Mt XXVI, 58; Mc XIV,
54; Lc XXII, 54); il Vangelo di san Giovanni (XVIII,
15-18), però, precisa che oltre a Pietro vi era anche Giovanni,
ed è proprio Giovanni che introduce Pietro nel palazzo, per di piú
lasciando intendere che mentre Giovanni assiste all’interrogatorio di Gesú,
Pietro resta nel cortile, dove avrà modo di rinnegare il Cristo.
Ora, la cosa diviene ancor piú significativa allorché
si pone mente al fatto che, per il concatenarsi degli eventi, Pietro, allontanandosi
per piangere amaramente della sua condotta, si impedisce di accompagnare
Giovanni fino alla Croce, privandosi di partecipare all’evento chiave della
vera e propria nascita della Chiesa. L’effusione dell’acqua e del sangue
dal costato del Cristo viene raccolta da Giovanni, che si trova a fianco
della Vergine Maria ai piedi della Croce: in questa occasione cosí
significativa Pietro non c’è, poiché è intento a piangere
sulla sua grave mancanza.
Da quest’ultima considerazione potrebbe sembrare che la funzione di
Pietro resti sminuita, ma, dopo la morte di Nostro Signore vi è
un altro episodio che, mentre sottolinea ancora una volta la necessità
per Pietro di servirsi dell’aiuto di Giovanni, richiama contemporaneamente
il fatto che la primazía di Pietro non è venuta meno, anzi
sembra esserci un esplicito riconoscimento di essa da parte di Giovanni.
Quando le donne, dopo essere state al sepolcro, corrono dagli Apostoli
per comunicare loro ciò che avevano sentito dall’Angelo (Mt
XXVIII, 1-8; Mc XVI, 1-8; Lc XXIV, 1-8), solo san Luca ci
dice che Pietro corse a vedere e rimase stupito (XXIV, 12). Dal Vangelo
di san Giovanni (XX, 3-9), invece, sappiamo che le donne riferirono
a Pietro e a Giovanni che il corpo di Gesú era stato trafugato;
questi due corsero subito al sepolcro, e Giovanni vi arrivò per
primo, ma non entrò e attese che giungesse Pietro (segno che Giovanni
conosce e ossequia la primazía di Pietro), il quale entrò
nel sepolcro schiuso e osservò le bende e il sudario: non si dice
che comprese. Entrato quindi Giovanni: “vide e credette”.
Il che, accostato a quanto abbiamo detto fin qui, è particolarmente
significativo, poiché il racconto sembra confermare che la comprensione
di Pietro, nonostante la sua precedenza nel “vedere”, abbisogna della “vista”
di Giovanni, che subito “vede e crede”. L’episodio diviene ancora piú
esplicito allorché si pensi a quanto accadrà dopo con san
Tommaso, detto Dídimo, che crederà solo dopo che il Cristo
stesso gli avrà aperto gli occhi (Gv XX, 26-29).
Sempre dal Vangelo di san Giovanni (XXI, 1-12) apprendiamo
di un altro episodio in cui Gesú si manifesta agli Apostoli dopo
la Resurrezione, episodio che san Giovanni precisa essere il terzo. Dopo
la pesca infruttuosa, Gesú appare sulle rive del mare di Tiberíade,
parla con gli Apostoli, ed è Giovanni che dice a Pietro: «È
il Signore»; quindi Pietro si butta in acqua per raggiungerlo.
È cosí che i discepoli “sanno bene” che si tratta del Signore
(XXI, 12). È questo lo stesso episodio in cui avviene la triplice
investitura di Pietro e si parla della funzione enigmatica del “discepolo
che Gesú amava”, di cui abbiamo detto all’inizio.
Per completare questi riferimenti neotestamentari, facciamo notare che
negli Atti, san Luca, che come abbiamo visto è povero
di richiami del tipo da noi segnalati, nel descrivere la prima attività
apostolica, menziona spesso la contemporanea presenza esclusiva di Pietro
e Giovanni: insieme e soli a pregare nel Tempio, insieme e soli a guarire
(III, 1-11), insieme e soli al giudizio dei sacerdoti nella sinagoga (IV,
1-23) e insieme e soli perfino alla prima uscita dalla Galilea, per la
conversione della Samaria (VIII, 14-17). Ci sembra di trovare in questi
passi una sorta di conferma dell’aiuto continuo che Giovanni offre a Pietro
in forma riservata per l’avvio della missione assegnata loro dal Cristo,
soprattutto ove si pensi che Giovanni è sempre muto a fianco di
Pietro, quasi a sottolineare una sorta di attività silenziosa che
fa da sostegno all’attività evidente di Pietro. È lecito
chiedersi quanta coscienza e conoscenza avesse Pietro di tutto questo,
ma, e soprattutto, quanta ne sarà rimasta nei tempi della “vecchiaia
petrina”.
Questi richiami scritturali, come sono stati da noi esaminati, si completano
con altri due episodi che riteniamo siano di una importanza capitale.
Il primo aiuta a comprendere quella che abbiamo chiamato la funzione
di Giovanni, pur lasciando persistere una buona parte del mistero. Il secondo
spiega il modo in cui Pietro assolverà alla sua funzione.
Il Vangelo di san Giovanni (XIX, 26-27) è l’unico
che riporti l’episodio che vede la Vergine Maria e il “discepolo che Egli
amava” ai piedi della Croce. In questa occasione, Gesú morente «disse
alla madre: “Donna, ecco il tuo figlio!”. Poi disse al discepolo: “Ecco
la tua madre!”. E da quel momento il discepolo la prese nella sua casa».
Il fatto che Gesú chiami sua madre “Donna” è alquanto
significativo, poiché è evidente che, in questo contesto,
non si tratta piú di Maria madre di Gesú, bensí della
Vergine, madre terrena del Figlio di Dio, designata qui come “prototipo”
della donna: nuova Eva che sarà la madre dei credenti. Si sa come
la Chiesa attribuisca a questa designazione di Gesú il senso della
maternità mariale della Ecclesia Dei. L’indicazione di Giovanni
come “il tuo figlio” assume allora diversi significati: che Giovanni rappresenti
qui l’intera famiglia dei credenti è fuori dubbio, ma è altrettanto
indubbio che egli qui rappresenti la Chiesa, quella stessa Chiesa il cui
fondamento è Pietro, e la rappresenta da solo, in stretto rapporto
con la Vergine; cosí che diventa importante la sottolineatura lessicale
de “il tuo figlio”, la quale assomiglia troppo al concetto di “unigenitura”
che è dell’Unigenito Figlio di Dio, soprattutto ove si pensi al
fatto che le parole del Cristo sono il sigillo del suo testamento: una
sorta di investitura unica nei confronti di Giovanni, realizzata nel momento
che precede immediatamente la scomparsa terrena de “il Figlio dell’Uomo”.
Ci sarebbe anche molto da dire circa l’accostamento tra l’unigenito “Figlio
dell’Uomo”, venuto dal cielo a salvare il mondo, e l’unigenito “figlio
della donna”, designato erede della missione salvifica: ma la cosa ci porterebbe
fuori tema.
Ciò che invece è importante notare è il fatto
che la spiegazione, appena esaminata, delle parole del Cristo non può
considerarsi sufficiente se non prima si esamini l’altra coeva parola del
Signore: “Ecco la tua madre!”, con la relativa delucidazione
che segue immediatamente: “E da quel momento il discepolo la prese
nella sua casa.”
Ora, se ci si dovesse limitare a considerare Giovanni come il rappresentante
di tutti i credenti, e quindi della Chiesa, ci si troverebbe di fronte
ad un rapporto incomprensibile: la Chiesa e i credenti sarebbero i custodi
della Vergine, i protettori della Vergine, cosí che la Vergine sarebbe
“compresa” nella “casa dei credenti”. Inutile dire che una tale possibilità
non si può neanche ipotizzare, poiché è manifesto,
da sempre, che è la Vergine la protettrice della Chiesa, la mediatrice
e l’avvocata dei credenti nei confronti del Cristo suo figlio.
Ma allora, cosa vorrà mai dire che Giovanni è il custode
della Vergine?
Accenniamo brevemente al fatto che nelle litanie di san Giuseppe questi
viene invocato dalla Chiesa come cústos púdice Vírginis,
da cui si evince che per la nascita terrena di Nostro Signore la Vergine
ebbe come custode san Giuseppe, ed è significativo che per la nascita
del Corpo Mistico di Nostro Signore ci si trovi ancora in presenza della
stessa Vergine e di un nuovo custode, san Giovanni. Da notare che mentre
Yohanan
(Giovanni) è relativo alla Misericordia di Dio,
Yehoseph
(Giuseppe) corrisponde alla Elargizione di Dio, che è quasi
sempre identificata con la Misericordia elargita da Dio in sovrabbondanza.
La custodia silenziosa di Giovanni assomiglia molto alla custodia silenziosa
di Giuseppe, ed entrambi fanno pensare alla custodia della Vergine (e della
Chiesa) in vista della venuta del Figlio: per la prima il custode è
Giuseppe, per la seconda Giovanni.
Ritornando al passo del Vangelo si deve constatare che molti aspetti
derivanti da questo episodio restano oscuri, e nondimeno si può
dire che la enigmatica funzione di Giovanni, da Cristo designato come custode
e protettore della Chiesa, deve avere ed ha una sua reale consistenza:
crediamo di poter sostenere che verosimilmente essa si risolve nella sottile
conservazione dell’essenza dell’insegnamento di Nostro Signore, proprio
in vista della possibilità prevista che la funzione di Pietro possa
venire meno a questa consegna o possa, comunque, essere perduta di vista
in maniera piú o meno completa.
Quando si guardi alle meditazioni di molti santi che hanno cercato
di approfondire gli elementi essenziali della dottrina, colpisce il fatto
che la loro attenzione sia stata sempre richiamata da tre particolari testi
della sacra Scrittura: Génesi, Quarto Vangelo e Apocalisse.
Si tratta, in fondo, dell’inizio e della fine della sacra Scrittura stessa,
ma con in mezzo il Quarto Vangelo che, per il suo prologo, è
un chiaro richiamo all’inizio e, per la sua conclusione, come abbiamo visto,
è un chiaro richiamo alla fine. Non può trattarsi anche qui
di un caso, o di una predilezione personale di questo o di quel santo.
Veniamo adesso al secondo episodio, quello relativo a Pietro.
Dice il Signore rivolto a Pietro (Gv XXI, 18-19): «In
verità, in verità ti dico: quando eri piú giovane
ti cingevi la veste da solo, e andavi dove volevi; ma quando sarai vecchio
tenderai le tue mani, e un altro ti cingerà la veste e ti porterà
dove tu non vuoi».
Per quanto lo stesso testo evangelico spieghi che qui bisogna intendere
“con quale morte egli avrebbe glorificato Dio”, non ci sembra
esauriente il semplice richiamo al martirio di san Pietro a Roma. Non che
la cosa sia improponibile, tutt’altro, ma una profezia siffatta non può
riguardare solamente e alla lettera il destino umano del designato alla
conduzione della Chiesa. Al versetto 23 dello stesso capitolo, quando si
parla del destino di san Giovanni, si precisa proprio questo: che non deve
intendersi alla lettera, né in modo restrittivo; e questa precisazione
aiuta a comprendere come tutto il capitolo: terza ed ultima apparizione
del Signore, conclusione del Vangelo di san Giovanni, chiusura di tutta
la Buona Novella, abbia un significato ben piú profondo che attiene
al destino escatologico della Chiesa.
Intendiamoci, non si pretende, qui, di condurre una sorta di nuova esegesi
dei Vangeli, sarebbe pura vanità, né si pensa di poter forzare
la sacra Scrittura ad uso e consumo dei preconcetti di qualcuno, cosí
da far collimare ogni cosa a beneficio di opinioni che, per sé stesse,
sarebbero insignificanti, tuttavia nulla impedisce, pur rimanendo nella
perfetta ortodossia, di soffermarsi su alcuni elementi “insoliti” e “poco
esplorati” che i Vangeli stessi ci presentano, al fine di cogliere degli
spunti di riflessione.
Pietro che si cinge da solo e va dove vuole, nella giovinezza, è
simbolo della Chiesa giovane retta dalla funzione petrina nel pieno vigore
della sua consapevolezza. Pietro che da vecchio tende le mani è
simbolo della sopraggiunta cecità di chi conduce i destini terreni
della Chiesa. Altri lo cingeranno: nel duplice senso che Pietro indosserà
abiti sbagliati e, al tempo stesso, che qualcun altro provvederà
a conservare per la Chiesa quelli giusti, nonostante Pietro. E qui ci sembra
proprio che intervenga il significato della funzione di Giovanni. Questi
altri lo porteranno dove Pietro non vuole: anche qui nel duplice senso
che c’è chi lo condurrà lontano dalla sua funzione e, nel
contempo, c’è chi sosterrà la Chiesa a tenere nei limiti
del possibile la retta direzione, malgrado l’impotenza di Pietro.
In questo senso, vi è un passo dei Vangeli (Mt XXVI, 51-54;
Mc
XIV, 47-49; Lc XXII, 49-51; Gv XVIII, 10-11), riguardante
Pietro, da cui si coglie un importante elemento che conferma quanto abbiamo
detto prima. All’arresto di Gesú, vi è un discepolo che reagisce
molto umanamente e, tratta la spada, recide un orecchio al servo del sommo
sacerdote. Dal Vangelo di san Giovanni sappiamo che si è trattato
di Pietro. In questa occasione Gesú rimprovera a Pietro che, cosí
facendo, egli si pone contro il disegno divino della Redenzione. Nel Vangelo
di san Giovanni (Gv XVIII, 36-37) questo stesso episodio trova un
parallelo in ciò che Gesú risponde a Pilato: «Il
mio regno non è di questo mondo; se il mio regno fosse di questo
mondo, i miei servitori avrebbero combattuto perché non fossi consegnato
ai Giudei; ma il mio regno non è di quaggiú.»
Da cui si evince che il comportamento di Pietro è strettamente
connesso al convincimento che il Regno dei Cieli si identifichi col regno
di questo mondo: una tendenzialità caratteristica di Pietro e della
sua funzione, che assumerà connotazioni eclatanti nella “vecchiaia”
di Pietro.
Per concludere possiamo dire che tutto quello che precede dev’essere
inteso in termini di predisposizione provvidenziale, senza che da esso
si possa evincere, semmai nascesse il dubbio, una qualche responsabilità
personale, e soprattutto voluta e cosciente, dei successori dell’Apostolo
Pietro.
Se le cose vanno in un certo modo, e tanti se ne lamentano, non bisogna
perdere di vista tre elementi importanti: la santità della Chiesa
è fuori discussione in qualunque tempo e per qualsivoglia vicenda
contingente, e questa sua santità, che le viene direttamente da
Nostro Signore, è inviolabile da parte di chiunque fino alla fine
dei tempi (anche perché “chiunque” appartiene al mondo, mentre la
santità appartiene al cielo); la funzione di Pietro rimane valida,
fin negli stessi Vangeli, nonostante le deviazioni dell'uomo che la impersona;
la persistenza della Chiesa non può essere scambiata con l’avvento
della nuova era, di diabolica matrice, ma, al contrario, va considerata
avendo in vista quanto Nostro Signore ci insegna con la parabola della
zizzania (Mt XIII, 24-30, spiegata in 36-43): fino a quando non
verrà il tempo della mietitura, la zizzania non verrà estirpata,
e non dev’essere estirpata, perché con essa si estirperebbe anche
il buon seme.
Ma la zizzania c’è, e l’ha seminata il demonio, e l’ha seminata
dovunque, anche nella Chiesa, ecco perché vi è qualcosa che
sfugge alla giurisdizione della gerarchia ecclesiastica (simboleggiata
da Pietro) e che ha la funzione di conservare il buon seme (funzione simboleggiata
da Giovanni). D’altronde, se cosí non fosse, non si comprenderebbero
le parole di Nostro Signore (Mt XXIV, 21-25; Mc XIII, 20-23):
chi sono gli eletti a causa dei quali verranno abbreviati i giorni della
tribolazione? Chi sono costoro che corrono il rischio di essere ingannati
dai grandi portenti e miracoli operati dai falsi cristi e dai falsi profeti?
Certo non si può pensare di identificare con questi il popolo dei
credenti o il clero o i Vescovi, né tampoco il Papa; resta allora
una sola possibilità: che questi eletti rappresentino qualcosa di
particolare in seno alla Chiesa, di tanto particolare da non potersi confondere
con l’ufficialità della Chiesa. L’aspetto misterioso di questa possibilità
è il medesimo che abbiamo notato nella funzione di Giovanni, della
quale Pietro ha coscienza senza conoscenza:
«Pietro dunque, vedutolo, disse a Gesú: “Signore,
e lui?”. Gesú gli rispose: “Se voglio che egli rimanga finché
io venga, che importa a te? Tu seguimi”».
L’ultima considerazione da fare è quella relativa all’assistenza
dello Spirito Santo, di cui, tra l’altro, oggi si tende ad usare ed abusare
senza ritegno. Non v’è dubbio che l’assistenza dello Spirito Santo
non potrà venire mai meno (come peraltro la stessa presenza mistica
di Nostro Signore laddove “due o tre si riuniranno nel Suo Nome”),
ma come ci dimostrano le vicende di questi ultimi tempi, diventa difficile
comprendere quali siano i segni che possano servire da “sicuro riferimento”.
Sembra che i Vangeli non dicano niente in proposito, ma questi nostri
appunti potranno forse aiutare a far capire che uno di questi segni potrebbe
ricercarsi nella concordanza tra ciò che si dice essere l’azione
dello Spirito Santo e l’impianto dottrinale e profetico della Scrittura
giovannea. Ove tale concordanza non fosse riscontrata c’è da sospettare
che non dell’azione dello Spirito Santo si tratti, bensí dell’azione
di qualcosa d’altro: dalla presunzione umana alla suggestione del demonio.
Chissà che significato potrebbe assumere, dopo attenta riflessione,
l’eliminazione del prologo del Vangelo di san Giovanni dal
Novus
Ordo Missæ.
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