VERSO IL GIUBILEO DEL 2000
Dalla restauratio ordinis al mea culpa
(10/99)
La ripetuta esortazione del Papa a fare del Giubileo del 2000 l’occasione
per un grande esame di coscienza dei cattolici su quanto operato dalla
Cristianità fino al 1300 e dal rimanente insieme dei fedeli
da allora fino ad oggi, continua a suscitare qualche discussione.
Con l’approssimarsi del nuovo anno, ognuno cerca di dire la sua su
questa esortazione, la quale, per ciò stesso, si rivela essere sempre
piú problematica soprattutto per la Chiesa, che dovrebbe farla sua.
Non può certo mettersi in dubbio la buona intenzione di S. S.
Giovanni Paolo II, ma, ai giorni nostri, ciò che conta soprattutto
in frangenti del genere non è la buona intenzione del Papa quanto
piuttosto la capacità e la possibilità di comprensione dei
fedeli, piú adusi ai messaggi del mondo che a quelli della Chiesa.
Potremmo subito considerare che l’auspicato esame di coscienza è,
di fatto, una contraddizione e una impossibilità, visto che gli
uomini, al massimo, possono esaminare le proprie coscienze, non certo quelle
dei loro nonni; e potremmo farne tante di considerazioni simili. Ci atterremo
invece a quello che è l’aspetto pratico della questione: soprattutto
se si tiene conto del fatto che lo stesso scopo del Papa è essenzialmente
“pratico”: esso cerca infatti di riaccendere l’interesse per la Chiesa
nel cuore dei fedeli e di interessare ad Essa i cuori degli infedeli.
Abbiamo letto ultimamente un commento di un infedele sull’argomento
(Quando il Papa chiede perdono , di Gad Lerner, in La Repubblica
del
23/9/99) e ci serviremo di esso per svolgere le nostre considerazioni,
precisando che la persona in questione non è minimamente in causa
come tale: avremmo potuto scegliere un qualsiasi altro “commentatore”;
né tampoco è in causa la sua preparazione in fatto di Religione
e di Chiesa, la cosa importa poco in questo nostro mondo in cui tutti discettano
di tutto. Il fatto è che lo scritto di costui è un esempio
ben fondato di come viene “ammaestrato il popolo” attraverso la “comunicazione
di massa”: soprattutto sulle cose che riguardano la Religione; oggigiorno,
infatti, i fedeli conoscono il Magistero della Chiesa soprattutto dai “giornali”,
e per fedeli intendiamo anche i preti, che leggono poco l’Avvenire e quasi
per niente l’Osservatore Romano, e a cui capita solo per caso di avere
in mano un “documento” pontificio.
Nell’articolo si dice che: «…se i milioni di uomini e donne
che fra breve si metteranno in cammino come pellegrini di fede verso Roma,
Gerusalemme e gli altri luoghi giubilari davvero si proponessero come portatori
di una nuova consapevolezza storica, ebbene ne deriverebbe un contributo
poderoso alla pace e alla comprensione reciproca.»
Il Papa avrà pure le sue buone ragioni per parlare come parla,
ma chi lo ascolta e suggerisce poi ai lettori cattolici dai diversi “mezzi
di informazione” ci spiega, forse anche in perfetta buona fede, che il
Papa sostiene che nel mondo: la pace e la comprensione difettano perché
i cattolici sono male informati sulla storia. Che si informino, i cattolici,
e capiranno come gran parte delle storture odierne sono il frutto delle
loro colpe!
Si dice anche: « …ma prima ancora va riconosciuto che l’atto
gratuito e unilaterale di Giovanni Paolo II, la sua richiesta di perdono
al mondo, contiene in sè la forza di parlare agli altri, di smuovere
l’animo dei non cristiani, ponendo le basi di un loro effettivo coinvolgimento
in un Giubileo che solo così potrà rivelarsi evento rilevante
anche per i laici.»
È ben evidente il compiacimento che si esprime con queste parole
per il fatto che il Papa chiederebbe “perdono al mondo”. Come se una cosa
del genere avesse anche solo un minimo di logica e di coerenza, per non
parlare del semplice buon senso.
Anche i bambini possono capire che, al massimo, Tizio potrebbe chiedere
scusa a Caio per una sua attuale o remota offesa, ma mai potrebbe chiedere
“perdono al mondo” si trattasse pure del Papa e della intera Chiesa orante:
il “mondo” infatti è una entità astratta che non potrebbe
concedere alcun perdono; ad una “persona” si può chiedere perdono
e massimamente a Dio per le offese arrecateGli.
La pretesa dell’articolista è tutta laica, quindi ignorante
le cose della Religione. Non sappiamo se l’attuale religione dell’articolista
preveda la possibilità di chiedere “perdono al mondo”, ma di certo
sappiamo che l’uomo “deve” chiedere perdono a Dio proprio per il suo trovarsi
nel mondo compiacendosene, vivendo del mondo e per il mondo. E uno dei
modi basilari per incominciare a chiedere perdono a Dio è quello
di rifiutare il mondo e darsi a Lui, perché la causa e lo scopo
dell’uomo non sono di questo mondo. Tutto questo l’articolista dimostra
di non saperlo, ma egli è un infedele e quindi ha delle scusanti,
al pari di tanti suoi colleghi che si dicono anche fedeli, ma sono solo
dei giornalisti laici.
Difficile dire se il Papa la pensi anche lui cosí, certo che,
se cosí fosse, si tratterebbe solo del pensiero del sig. Wojtyla,
non dell’esortazione del Pastore della Chiesa.
Non conformatevi
alla mentalità di questo secolo, ma trasformatevi rinnovando la
vostra mente, per poter discernere la volontà di Dio, ciò
che è buono, a lui gradito e perfetto.
Rm 12, 2
|
Si dice anche che: « Ai cristiani che non temono la verità
emergente da “ricostruzioni storiche serene e complete”, viene dunque proposto
di far propria l’esperienza ebraica della teshuvah, cioè
del pentimento e dell’espiazione.»
L’esperienza del pentimento e dell’espiazione, come sa un qualsiasi
credente dalla piú elementare informazione religiosa, non è
“ebraica”, o quanto meno, non è “esclusivamente ebraica”: come se
gli Ebrei fossero i detentori esclusivi di chissà quali profonde
pratiche “espiatorie”, difficilmente praticabili e mai praticate da altri.
Anche se non piú con la stessa frequenza, è da duemila anni
che i cattolici si pentono dei loro peccati ed espiano per i proprii e
per gli altrui; e lo fanno non per vivere una “esperienza” ma per osservare
la parola di Dio: con tanto di Sacramento.
Ma siamo sempre allo stesso problema di prima: si parla e si scrive
piú per preconcetti che per cognizione.
La teshuvah ebraica comportava il pentimento e l’espiazione
nei confronti del mondo o nei confronti di Dio?
Forse non tutti sanno che le sacre Scritture della Chiesa Cattolica
si compongono, oltre che dai Vangeli, dai libri che un tempo erano propri
degli Ebrei; e che ci sono stati trasmessi da dei veri Ebrei: Gesú
Cristo ed i suoi Apostoli; con la raccomandazione che nulla si cambiasse
di essi, perché il vecchio Israele continuasse a vivere nel nuovo
Israele, che è il popolo santo di Dio redento dal Sangue di Gesú
Cristo: la Chiesa Cattolica. E noi cattolici non abbiamo mai letto nelle
sacre Scritture che gli antichi Ebrei e i loro successori abbiano mai chiesto
“perdono al mondo”, né che abbiano mai espiato nei confronti del
mondo. Al massimo si chiede perdono al fratello per delle mancanze commesse
nei suoi riguardi, ma non tanto perché si sia offesa la sua suscettibilità,
per dirne una, quanto perché certi comportamenti offendono Dio,
prima ancora che gli uomini. Si chiede perdono al fratello, quindi, per
chiedere perdono a Dio, come recita l’orazione dominicale che ci ha insegnato
il vero Ebreo Gesú Cristo, Figlio di Dio, nostro Signore e Salvatore
nostro.
Si può comprendere che l’articolista non sappia nulla del veccchio
e del nuovo Israele, come capita alla maggior parte degli intellettuali
moderni, ma non si può ammettere che a fronte di tale ignoranza
si sollecitino i cattolici a comportarsi da infedeli.
Si dice anche: «Ma se l’invito papale al mea culpa suscita
tante inusitate resistenze nel mondo cattolico, ciò non dipende
solo dal fatto che rende necessaria una presa di distanze dall’operato
di tanti pontefici, santi e autorevoli Dottori della Chiesa su materie
scottanti come gli scismi, le crociate, l’inquisizione, l’antigiu-daismo,
la conversione degli indios, la tragedia degli schiavi africani. Più
grande ancora è la paura dei critici del papa. Essi vivono la Chiesa
come comunità assediata, non capiscono quest’ansia di auto-flagellazione
in un’epoca che già costringerebbe i cristiani sulla difensiva,
vittime dell’altrui invasione culturale sui propri territori se non addirittura
di vere e proprie persecuzioni.»
Ovviamente tutto questo lo si dà per scontato, come se l’avesse
detto il Papa, il che non è vero: semmai è vero che il parlare
del Papa continua a creare equivoci che si diffondono tra i fedeli ad opera
di chiunque, e molte volte non per quello che dice, ma solo perché
lo dice.
Cosí si vorrebbe far credere, e si crede addirittura, che il
mea culpa a cui esorta il Papa implichi, in pratica, una “presa di distanze”
da buona parte dell’operato dei Pastori e dei Santi della Chiesa di questi
ultimi duemila anni.
Non ci soffermeremo certo sull’uso indiscriminato dei soliti luoghi
comuni branditi come spauracchi anticattolici, non sappiamo neanche se
l’articolista lo fa in buona o in mala fede, ma qualche precisazione di
certo va fatta.
Per brevità, ricordiamo che gli scismi (e cioè le separazioni,
le lacerazioni) sono il risultato dell’opera degli scismatici, cioè
dei settatori, dei laceratori, quindi è solo un problema loro e
non dei fedeli di Cristo.
Nelle sacre Scritture, il Vecchio Testamento, e cioè l’antico
e sempre attuale Libro di Israele, ricorda che Dio punisce severamente
coloro che non si attengono alla sua volontà: Saul, per esempio,
venne punito severamente da Dio perché non sterminò gli idolatri,
secondo il comandamento di Dio. Che poi ultimamente sia diventata una “colpa
della Chiesa” contrastare gli infedeli e reprimere i fomentatori di odio
e i denigratori di Dio: è cosa che lasciamo alla coscienza moderna
e alla Giustizia divina. Di certo noi cattolici non ci sentiamo minimamente
in obbligo di giudicare i nostri padri perché erano cattolici piú
seriamente di come lo siamo noi adesso.
Ovviamente non poteva mancare il solito spauracchio dell’antigiudaismo:
che i cristiani abbiano sempre e giustamente considerato gli Ebrei non
convertiti al nuovo Israele come dei reprobi, mi sembra il meno che si
possa ammettere e condividere in termini di coerenza e di serietà,
non diciamo religiosa, ma addirittura meramente umana. La verità
è che i cristiani hanno sempre considerato, e giustamente, come
dei reprobi e degli erranti e degli sviati da condurre sulla retta via
tutti coloro che non riconoscono la preminenza di Cristo, secondo il suo
stesso insegnamento, che non è altro che l’insegnamento che Israele
ha sempre ricevuto da Dio e ha continuato a mantenere nella Chiesa. E venivano
soprattutto riprovati coloro che pur avendo conosciuto Cristo e i suoi
Apostoli lo rigettavano. Non si capisce perché per gli Ebrei non
convertiti si sarebbe dovuto fare un’eccezione: forse per comportarsi ingiustamente
al cospetto di Dio? Che poi oggi, in giro per le chiese, anche in San Pietro,
si sentano degli strani discorsi, piú contorti che seri: questo
sí che è un argomento che dovrebbe suscitare pentimenti e
mea culpa.
Che poi gli indios del Sud America andassero convertiti, al pari di
tutti gli altri infedeli, è cosa piú che sacrosanta, solo
un pazzo potrebbe pensare il contrario; o un interessato, che avrebbe voluto
soppiantare lui i cattolici: è tutto qui il succo della sgangherata
leggenda nera delle supposte sopercherie cattoliche in Sud America, a suo
tempo appositamente inventata dai soliti Protestanti nordamericani per
il proprio inconfessabile tornaconto. Stupisce solo che ci siano ancora
degli ingenui che caschino in questa trappola propagandistica, senza discernimento
e senza alcun pudore: sia tra i pubblicisti di tutte le marche, sia addirittura
tra i preti.
Per quanto riguarda l’ “ansia di flagellazione” che dovrebbero sentire
tutti i cattolici, la cosa ci lascia veramente sconcertati: un infedele
che esorta i cattolici all’auto-flagellazione!
In una tale esortazione Freud ci troverebbe subito propensioni sadiche,
repressioni infantili, strupri casalinghi, e Freud non era un cattolico!
Certo che non la comprendiamo, quest’ansia di auto-flagellazione! Perché
dovremmo comprenderla: noi non siamo dei masochisti, siamo semplicemente
cattolici.
E ci si vorrebbe addebitare come colpa anche l’assedio a cui siamo sottoposti
da parte di tutte le forze avverse alla salvezza dell’anima nostra: come
pretesa non c’è che dire!
Che il mondo vada al contrario rispetto a quanto predicato da Cristo
non significa affatto che dobbiamo accettarlo perché questo è
il dato di fatto. L’articolista, e gli altri come lui, non possono capirlo
perché sono degli infedeli: ma sta proprio in questo l’essere cattolici,
nell’andare contro alle forze del mondo, perché il nostro Principio
e il nostro Fine non sono in questo mondo, ma nell’altro. Che poi dal punto
di vista meramente umano ci possiamo sentire assediati e non riuscire a
godere di questo assedio e di questa minaccia, ma riuscire solo a dispiacerci
perché tutto è contro di noi: ci sembra quasi inevitabile.
Solo i santi sono stati in grado di vincere questa debolezza umana.
L’articolista continua poi incominciando a scoprire le sue carte. E
possiamo confessare adesso che abbiamo preso il suo articolo come riferimento
per queste nostre note, proprio perché da esso si comprendono meglio
le vere intenzioni dei laudatori del mea culpa proposto dal Papa.
E allora? Se non fosse permesso al cristiano
l’uso della spada, perché mai l’araldo del Salvatore avrebbe ingiunto
ai soldati di accontentarsi del loro soldo, anziché proibire loro
ogni servizio militare?…
Vengano, quindi, senza indugio disperse le nazioni che vogliono
la guerra e siano scacciati coloro che ci minacciano e siano sbaragliati
dalla città del Signore tutti gli operatori di iniquità che
tentano di rapinare le inestimabili ricchezze del popolo cristiano riposte
in Gerusalemme, di profanare le cose sante e di possedere per diritto di
eredità il santuario del Signore.
Vengano sguainate le due spade dei fedeli contro il capo dei nemici
affinché sia distrutto ogni orgoglio che si eriga contro la scienza
di Dio, che è poi la fede dei cristiani, «affinché
non esclamino i popoli: dov’è il loro Dio?».
(San Bernardo di Chiaravalle, Liber ad Milites templi de Laude novae
miliziae, trad. di F. Cardini, in F. CARDINI, I poveri cavalieri
del Cristo, ed. Il Cerchio, Rimini, 2a ed. 1994, pp. 136-7) |
A proposito delle reazioni contro l’iniziativa papale, reazioni che
hanno visto protagonisti scrittori e pensatori cattolici, ma anche alcuni
membri della Gerarchia, egli scrive: «Sembra emergere, in tali
argomentazioni, quella stessa nevrosi comparativa tipica del revisionismo
storico al quale riesce impossibile denunciare le malefatte nazifasciste
senza evocare in parallelo le colpe del comunismo. Una nevrosi comparativa
che in questo caso finisce per sminuire la portata della sfida di Wojtyla,
che trae la sua forza proprio dalla sua gratuità e dalla sua unilateralità:
riconoscere le proprie colpe, senza chiedere niente in cambio. Semmai,
rivolgendosi agli altri, ai non cristiani, e coinvolgendoli nel progetto
del Giubileo, la riflessione storica di Giovanni Paolo II sui peccati della
Chiesa dovrà infine giungere a delle conclusioni probabilmente dolorose,
come sempre doloroso è il pentimento autentico. A tutti infatti
è consentito relativizzare gli errori e contestualizzare gli eventi
del passato, a tutti ma non alla Chiesa che si pretende unica nel corso
dei secoli, portatrice di un messaggio evangelico eterno e immutabile di
generazione in generazione.»
Siamo alle solite: se il “revisionismo storico” porta alla condanna
e alla criminalizzazione della Chiesa, dei papi, dei santi, dei cattolici
tutti, ben venga: non c’era niente di meglio da fare! Finalmente la verità!
Se invece il “revisionismo storico” tocca le malefatte dei laici, degli
uomini non religiosi, dei denigratori della Religione: ecco che diventa
connivenza col nazifascismo!
Chi si è permesso di ricordare che a fronte degli errori degli
uomini di Chiesa (e non “della Chiesa”, che per sua natura non può
errare, perché Santa), stanno anche gli errori dei nemici della
Chiesa; chi si è permesso di ricordare, per esempio, che di fronte
a certi abusi dell’Inquisizione sta la fanatica e indiscriminata caccia
alle streghe dei Protestanti, o che di fronte a certi abusi operati dai
Cattolici nel Sud America del XVI secolo sta lo sterminio metodico e godereccio
operato dai Protestanti del Nord America nel XIX secolo; ebbene, costui
è paragonabile a quelli che hanno ricordato che a fronte delle bestialità
naziste ci sono anche le bestialità comuniste. E siccome le bestialità
pare non siano tali se non portano il marchio nazista, è criminale
parlare di quelle comuniste e compararle ad altre.
Questo è il pulpito dal quale viene tutta la predica!
Pensi che, come storico, puoi spiegare le vicende europee degli ultimi
duemila anni in modo diverso dalla pubblicistica ufficiale? Sei un nazista!
Pensi che, come giornalista, puoi scrivere che le cose non stanno come
si è lasciato credere fino ad oggi?
Sei un nazista e un razzista!
Pensi che, come credente, puoi comprendere certi momenti della storia
della Cristianità senza considerarli minimamente come riprovevoli?
Sei un nazista, un razzista e un pericolo per la democrazia!
Questa la tecnica: questi gli epígoni!
E fra questi il Papa crede di diffondere messaggi di carità!
Meglio star zitti!
Legga, Santo Padre, cosa ne fanno dei suoi messaggi! E come imbeccano
il popolo dei fedeli!
A tutti, dice l’articolista, è permesso fare della storia: alla
Chiesa no! La Chiesa può fare solo della meta-storia, la quale,
è evidente (!?), non può che essere totalmente soggetta alla
storia!
Dice proprio cosí, Santo Padre, legga… legga attentamente!
Dice proprio cosí, che la Chiesa come entità al di sopra
della storia deve soggiacere alla storia. Certo è una assurdità,
ma l’articolista dice proprio cosí!
No, Santo Padre, non è un errore: le cose stanno proprio cosí.
L’errore piuttosto sta nel dar credito a posizioni, a stati d’animo e a
visioni del mondo come queste e, nell’ansia di evangelizzare tutto modernamente,
rincorrerle, imitarle, talvolta perfino superarle.
L’articolista però, furbamente, non afferma egli stesso che
la Chiesa sta al di sopra della storia, ma si appella ad Essa ricordandoLe
che Essa stessa “si pretende” tale. Come dire: se dici di essere al di
sopra della storia, dimostralo, sottomettiti alla storia!
No, non è un pazzo l’articolista, è solo un povero uomo
moderno, per di piú un infedele e un intellettuale, e come tale
non si accorge nemmeno delle contraddizioni entro le quali si muove: se
ne compiace solamente. Cosí va il mondo!
Dicevamo all’inizio che, con queste note, avevamo solo in vista l’aspetto
pratico della questione: adesso è piú chiaro il punto di
vista dal quale ci siamo posti.
Il Papa lancia i suoi messaggi: i mezzi di comunicazione li raccolgono:
i fedeli ne apprendono il contenuto e ne traggono convincimenti e tendenze,
certi che siano i convincimenti e le tendenze del Papa e della Chiesa.
Il Papa porge un dito: i mezzi di comunicazione si appropriano di tutta
la mano: i fedeli trascinano nel fango della loro piccolezza umana tutto
il corpo della santa Chiesa.
E questo articolo ce ne dà la prova.
Quale sarà la conclusione di tutta questa vicenda?
L’articolista ci dice che bisognerà rimettere in discussione
san Bernardo, san Giovanni di Capestrano, san Giovanni Crisostomo, e solo
per fare degli esempi - dice lui -; perché in verità bisognerà
rimettere in discussione “innumerevoli” papi e santi, cosí che i
cattolici prendano coscienza che costoro, in vita, non hanno agito secondo
il Vangelo; e - diciamo noi - contenti e gabbati, i cattolici potranno
finalmente sputare su due millenni di Cristianesimo, sulla vita e sulla
Fede dei loro antenati, sulle illusioni del Vangelo; e darsi, “storicamente
rivisti” e “consapevolmente edotti” alla nuova verità del mondo
moderno ed alle ingenuità e malaccortezze della gerarchia post-conciliare,
cosí ebbra del mondo e cosí paga delle lodi degli uomini.
Ci siamo permessi di dirlo altre volte, ma siamo costretti a ripeterlo:
il Papa continua a perdere tante occasioni per starsene zitto!
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