Elementi del Giubileo Veterotestamentario

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Vi è un certo nesso tra il Giubileo ebraico, prescritto nel cap. 25 del Levitico, e il Giubileo cristiano. Tale nesso lo si riscontra particolarmente nel significato piú profondo della ricorrenza giubilare. 

La legge mosaica prescriveva come anno giubilare quello successivo al settimo anno sabbatico, il quale ricorreva ogni sette anni. In tal modo il settimo anno sabbatico era il 49° e l’anno giubilare il 50°. Come si sa il simbolismo numerico è parte integrante di tutte le civiltà tradizionali, basti solo pensare alla coincidenza delle lettere dell’alfabeto con i numeri, ancora vigente in molte culture, già in uso nella Grecia antica e di cui è rimasta memoria nella notazione numerica romana.

Tale simbolismo numerico, di tipo ebraico, lo ritroviamo ovviamente in tanti passi dei Vangeli, e il numero 7 è il numero usato nella Genesi per presentare “temporalmen-te” la creazione. Il settimo giorno Iddio si riposò: e da questo richiamo originario nasce il sabato, settimo giorno della settimana ebraica. Per analogia, considerando che la settimana, il mese e l’anno sono rappresentazioni di “tempi ciclici” che corrispondono a gradi e a momenti diversi dell’esistenza del creato, il settimo anno assume anch’esso le connotazioni del settimo giorno: è l’anno del riposo. Se la settimana è analoga a tutto il tempo di lavoro di Dio per la creazione, compreso il tempo del riposo, essa esprime a suo modo una totalità di tempo: un tempo compiuto, dall’inizio alla fine, un ciclo completo. È dalla combinazione di questo ciclo con quello astronomico dell’anno, anch’esso espressione di inizio e fine, che nasce la “settimana di anni”, in cui il settimo è omologo del sabato: l’anno sabbatico. L’idea di continuità “perpetua” di questa combinazione, come espressione simbolica di “tutto il tempo”, viene resa dal computo settenario dell’anno sabbatico: cosí che la perpetuità del ciclo dell’esistenza del creato è espressa simbolicamente dal numero di 49 anni. Il ripetersi sette volte di sette anni sabbatici è simbolo di tutta la durata dell’esistenza del creato: di per sé indefinita, indefinibile in termini umani, ma intuibile per analogia con la durata del “tempo” della creazione.

È questo nesso intrinseco tra durata temporale e durata perpetua che permette di considerare l’anno successivo al settimo anno sabbatico come l’anno di un nuovo inizio: un analogo dell’anno iniziale. Compiutosi simbolicamente tutto il tempo col trascorrere dei sette anni sabbatici, il cinquantesimo anno diventa l’anno del nuovo inizio, l’anno in cui tutto si rinnova; col cinquantesimo anno prende corpo un nuovo computo del tempo.

È questa concezione simbolica che sta alla base delle prescrizioni del cap. 25 del Levitico; e da qui si può comprendere facilmente come il vero simbolismo non abbia niente a che vedere con le fantasie o le elaborazioni mentali degli uomini e sia piuttosto di diretta derivazione divina. 
Si comprende anche come trattandosi di un nuovo inizio ogni cosa dovesse ritornare alle stesse condizioni originarie: con l’annullamento di tutte le conseguenze della conduzione della vita sociale ordinaria. Un tempo umano finiva ed un altro aveva inizio: col ripristino dell’ordine primigenio. 

Conseguenza di tale concezione è la riduzione al minimo dell’idea della “storia”, intesa come perpetua progressione dove ad un inizio indefinito corrisponde un altrettanta indefinita fine, e nel corso della quale ogni evento umano passato è condizionante il presente, mentre il futuro viene lasciato allo storico affermarsi della volontà umana. Qui si tocca con mano la concezione profondamente religiosa della vita, in base alla quale nulla è proprio dell’uomo, ma tutto viene da Dio che ha predisposto ogni cosa ante omnia sæcula. La vicenda umana mantiene certo intatta tutta la sua specifica valenza, ma solo in relazione ad un tempo ben definito, in perfetta analogia con la durata della vita dell’uomo: l’indefinito, prima ancora che l’infinito, non appartiene alla storia umana, non attiene alla vicenda umana, né la storia né le decisioni dell’uomo potranno mai avere una valenza “perpetua”. Come l’uomo nasce e muore, cosí nascono e muoiono i rapporti sociali, i tempi e i modi dell’uomo. 
Ogni cinquant’anni si realizzava simbolicamente la fine di un tempo e l’inizio di un tempo nuovo, in cui tutto si rinnovava perché tutto tornava al suo stato originario.

Due raccomandazioni sono particolarmente significative: in quell’anno non v’era bisogno di lavorare per procurarsi il cibo, la terra avrebbe prodotto spontaneamente il necessario (Levitico 25, 11-12; Genesi 1,29); in quell’anno ogni acquisto di terreni veniva annullato: perché la terra è mia, dice il Signore (Levitico 25, 23; Genesi 2, 15). È evidente il ritorno simbolico allo stato originario, allo stato edenico: uno stato senza tempo e senza finitezza, lo stato anteriore al peccato originale.
Tutte le considerazioni di ordine piú sensibile e pratico, comprese le preoccupazioni relative alla morale e alla giustizia terrena, scaturivano da questo elemento primario della restauratio ordinis:  non venivano annullate, ma solo cosí ricevevano la loro corretta giustificazione, perché fondate sul loro principio. Morale e giustizia terrena non sono elementi che poggiano sull’uomo e che dall’uomo dipendono e con l’uomo si evolvono, ma sono elementi per l’uomo che, al pari di lui, hanno fondamento nella volontà e nel disegno divini. Si commetterebbe un grosso errore se si pensasse che le prescrizioni ebraiche per l’anno giubilare fossero fondate sulla preoccupazione di “assicurare la stabilità di una società fondata sulla famiglia e sui beni familiari”, come accade di leggere in nota a qualche testo scritturale. Non sono preoccupazioni di questo tipo che fondano la legge mosaica, piuttosto si può dire correttamente che questo genere di prescrizioni e di applicazioni scaturiscono, in termini immediati e pratici, da un medesimo fondamento di ordine metafisico e meta-storico: l’unico che giustifichi correttamente le une e le altre.
Quale che sia la causa e quale l’effetto, è indubbio che la lettura della Bibbia in chiave sociologica è strettamente legata all’idea che essa sia opera dell’uomo: cosí che si rende vana ogni predicazione della Santa Chiesa.

Vi è anche un altro elemento degno di nota. Il nome “giubileo” (iubilæum) deriva dal greco iobelaios, derivato dall’ebraico yobel, che significa capro. Per riduzione lo stesso termine yobel è usato per indicare il corno del capro, e per estensione viene applicato all’evento annunciato col suono del corno del capro. In tal modo il termine “giubileo” indica contemporaneamente il capro, il suono che annuncia l’evento e la letizia che questo annuncio procura. Si viene cosí a stabilire un nesso tra il capro, che è l’animale “espiatorio” abbandonato nel deserto, e il suono del corno che annuncia il lieto evento. Ma questo nesso è particolarmente significativo ove si pensi che di tutto il capro, il cui destino è reso simile al luogo della desolazione, ciò che rimane è il suono del suo corno, simbolo ancora una volta della vibrazione originaria del Fiat lux, del proferire del Verbo, per quem omnia facta sunt. Cosí che il capro, caricato di tutti i peccati dell’uomo, è simbolo della vita terrena informata dalla colpa, e viene condotto e abbandonato nel mondo arido dell’esistenza senza vita, mentre ciò che in esso vi è di essenziale torna a ricreare la vita nuova: col vibrare del suo suono. Si tratta come di una prefigura-zione del sacrificio espiatorio dell’Uomo-Dio, nostro Signore Gesú Cristo, che, sacerdote e vittima, carica da sé stesso su di sé i peccati del mondo, sacrifica la propria umana natura ed effonde nel mondo il suo Spirito per mezzo del suono prodotto dall’annuncio del suo Vangelo, che è la Lieta Novella apportatrice di Giubilo e di letizia: il Giubileo del Signore che rinnova il mondo.

Questi elementi aiutano a comprendere il senso profondo del rinnovamento personale che si deve cercare di realizzare col Giubileo cristiano: rinnovamento che, a suo modo, è una sorta di imitatio Christi. Lo scopo è di attuare una trasformazione, e piú esattamente una metamorfosi, un superamento della forma attuale: la realizzazione di un nuovo essere trans-formato, attuata per mezzo della conversione ad Dominum, centro e principio di tutta l’esistenza. Questo percorso di conversione usa del potere della Chiesa di rimettere le colpe con la Confessione e le pene con le Indulgenze e comporta anch’esso delle ripercussioni sul piano sociale: il cristiano rinnovato può bene operare nei confronti dei propri fratelli.

CC



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