Le grandi celebrazioni della Chiesa post-conciliare

14 maggio 2000

TERZA GIORNATA NAZIONALE DEI TRAPIANTI
 

(9/2000)




Con la complicità della solita Famiglia Cristiana domenica 14 maggio si è consumato un’ulteriore scempio della  S. Messa, sempre in nome di una generica e banale “carità cristiana” di cui tutti parlano e nessuno sa piú ormai cosa sia.
Alle copie di Famiglia Cristiana che vengono inviate settimanalmente nelle parrocchie, questa volta è stato accluso un invito a celebrare una nuova Messa in cui si parla di trapianti.

Vediamo di cosa si tratta.

Innanzi tutto la lettera di presentazione al Parroco. 

Questa è stata redatta dall’ANED e firmata dal suo Coordinatore Nazionale dr.ssa Franca Pellini Gabardini. Questa signora, con tono mielato  e retorico, certamente senza rendersene conto, ha accumulato un buon numero di spropositi: testimoniando inconsciamente il mediocre grado di serietà di simili iniziative.

“I sacerdoti ed i parroci in modo particolare rivestono un ruolo significativo nella comunità [parrocchiale]…”
Noi non conosciamo questa signora, ma ci viene il dubbio che non sia una cattolica, poiché non ha nozione del ruolo gerarchico svolto dai sacerdoti in seno alla S. Chiesa di Cristo. Essi, infatti, non “rivestono un ruolo significativo” “in modo particolare”, sono invece gli elementi determinanti, indispensabili, insostituibili e sacramentalmente designati a “realizzare” la comunità cristiana. Senza il prete non v’è alcuna comunità ecclesiale in grado di vivere realmente la fede: al massimo può rimanere un gruppo umano nominalmente cristiano permeato di buone intenzioni (come molte volte accade, purtroppo, in presenza di certi preti che ormai sono solo degli assistenti sociali).
 

Segue un invito a fare dell’animazione liturgica, per la quale si allega il copione: e cioè una serie di invocazioni (che esamineremo dopo) da dirsi nel corso della Messa, preparate ad hoc dagli amici di questa signora.
Tale animazione, che dovrebbe comportare “il coinvolgimento dei parrocchiani”, 

“può costituire un’occasione preziosa per essere promotori di sensibilizzazione tramite la cultura dell’informazione, di solidarietà tramite la cultura della donazione, di promozione della vita tramite la cultura della Speranza”.
Enfasi e retorica rivelano spesso il vuoto che tentano di nascondere, ma qui si esagera! 
“Promuovere la sensibilizzazione con l’informazione” è pura tautologia, ma soprattutto non significa niente; come è senza significato la “cultura della donazione”, che peraltro non corrisponde ad alcunché di reale; invitare poi a farsi “promotori di promozione” è il modo piú puerile per esprimere il proprio disprezzo per la lingua italiana.
In realtà, la signora non aveva niente da dire e si è quindi lasciata prendere dalle parole “ad effetto”, dimostrando cosí una totale disistima per l’intelligenza dei suoi interlocutori, i quali, secondo lei, non avrebbero potuto che rimanere affascinati da tanto “rumore di parole”.

Eppure, in mezzo a questo vortice di cose insignificanti, come spesso accade si insinua sottile e inavvertito un messaggio inumano e dispregiatore di Dio e della Sua Religione. “Promozione della vita”, si dice: ma di quale vita, se qui si tratta di trapianti! E cioè di cosa che attiene ai morti e ai moribondi! Per di piú “tramite la Speranza”, con la maiuscola: mentre invece si tratta della speranza vitalistica, titanica, miserevole, dell’uomo che pretende di sfuggire alla morte terrena avendo perso totalmente di vista la vera Speranza nella Vita Eterna.
Argomenti da sentimentalismo di bassa lega che cozzano in modo stridente con l’insegnamento di nostro Signore e con la giustizia divina.
 

Segue la segnalazione di una “traccia” per l’omelia e la fornitura di una “locandina” pubblicitaria: roba da “réclame” da supermercato.
 

Infine, manco a dirlo, il solito strafalcione teologico che, per mezzo dell’abuso del linguaggio, vorrebbe insegnare un nuovo Vangelo: non piú del Signore, ma dell’uomo tutto preso dal proprio interesse e dalle proprie passioni. Tale invito ai parroci, infatti, è presentato come un “…atto di carità verso gli ‘ultimi’…”. Chi sarebbero questi “ultimi”? A cercare nei Vangeli non riusciamo a trovare nulla che possa fare intendere, anche alla lontana, che gli “ultimi” di cui parla nostro Signore possano essere coloro che non vogliono morire, ad ogni costo. Insomma, essere disperatamente attaccati  alla vita costituirebbe, oggi, un titolo di merito per assicurarsi il Paradiso: cercare di ritardare la propria dipartita da “questo mondo” per allontanarsi di una manciata di anni o di qualche mese dalla “vitam venturi saeculi” corrisponderebbe a quanto raccomandato da nostro Signore (inaudito!), magari non tenendo in alcun conto il destino dell’anima per aver approfittato della disgrazia di qualcuno che sta per morire e a cui si toglie il fegato o il cuore per trapiantarselo ancora caldo e palpitante (tanto l’altro è ormai in fin di vita… mentre io…!).
L’elogio della manipolazione della vita altrui gabellata per “carità” verso gli “ultimi”, senza il minimo dubbio - terribile per un cristiano - che si possa bellamente violare il quinto Comandamento!
 

Veniamo adesso alla “traccia” proposta per l’omelia.

Poche righe, firmate dalla prof.ssa Maria Mazzei, che dice di voler 

“sottolineare gli aspetti spirituali ed umani che sottendono alla pratica del trapianto.”
Quali sono questi aspetti?
Innanzi tutto quello indicato dal parallelo tra la resurrezione di Lazzaro e il trapianto: come la prima, il secondo è un “dono gratuito che può restituire la vita”. Non avevamo mai letto un cosí subdolo suggerimento profferito con tanta sicumera, col quale si vorrebbe far credere che un uomo che sta per morire e a cui viene estirpato il cuore ancora caldo è alla pari con nostro Signore che dona la Vita per la Potenza della Sua Divinità. Esageriamo nel chiederci se si tratti di veri cristiani o di tipi di pagani dediti a pratiche negromantiche?

Subito dopo viene una lezione di etimologia latina, con la quale si pretenderebbe di spiegare che la “pietas” latina, che in italiano è la “pietà”, non sarebbe altro - nella sua vera accezione - che “ogni forma di relazione che unisce i famigliari: padri, figli, fratelli”. Quante disastrose conseguenze da quel fatidico ‘68!

Qualunque studente di latino, anche solo un po’ attento, sa bene che la prima accezione della pietas latina è relativa alla “devozione” nei confronti del divino, e quindi alla subordinazione dell’umano al divino, intesa come virtú praticata dall’uomo “pio”. Da questa accezione principale discendono poi le diverse applicazioni nella vita quotidiana, a cominciare dalla pietas filiale per giungere alla pietas familiare e alla pietas ad  patriam, che è la devozione e la sottomissione alla tradizione dei Padri.
Per la signora Mazzei, addottorata in una qualche disciplina moderna, si tratterebbe invece, addirittura in chiave di precisazione, di una “forma di relazione” interparentale.
Ma, anche a voler ammettere questa libera interpretazione, non si comprende bene in che modo questa “forma di relazione” abbia attinenza con i trapianti.

La dotta signora, invece, sembra che lo sappia bene: “Ed ecco che fra il donatore e colui che riceve l’organo si instaura un nuovo, misterioso, ma sicuramente luminoso legame, il legame della pietas che si svelerà in pienezza nella eternità e che sulla terra si esprime nella memoria della preghiera e nella riconoscenza.”
Chi ci legge avrà già compreso, riteniamo, che qui piú che di cristiani si tratta di spiritisti, quantomeno inconsci. È evidente che fra colui a cui è stato estirpato l’organo, e che quindi è morto, e colui a cui l’organo è stato trapiantato non può instaurarsi alcun tipo di rapporto, soprattutto se lo si pretende basato sulla pietas, la quale dovrebbe corrispondere ad una “forma di relazione che unisce i famigliari”. L’autrice confessa che si tratterebbe di un rapporto “misterioso”, di cui cioè non sa alcunché (bontà sua!), e ciò nonostante è sicura che si tratterebbe di un “luminoso legame, il legame della pietas”. Saremmo curiosi di sapere che cosa le dia tanta sicurezza!
Certo è che a leggere i testi sacri non ci siamo mai accorti che si parlasse di futuri rapporti interpersonali da intrattenere nella vitam venturi saeculi, mentre basta leggere un qualsiasi libercolo di propaganda spiritista per apprendere dell’altro mondo fatto a mo’ di fotocopia di questo mondo. E appare evidente che in tutto questo non v’è nulla che possa ricondurre ai Vangeli e agli insegnamenti di nostro Signore, nonostante i successivi richiami dell’autrice del pezzo.

Ella paragona il Sacrificio di nostro Signore, e la Sua preparazione alla morte terrena, alla donazione di organi, introducendo capziosamente il concetto di “amore”, senza far minimamente caso all’abisso che separa l’Amore di Dio dall’amore dell’uomo.

Innanzi tutto è il caso di sottolineare che, in relazione al trapianto di organi, l’espressione “donazione”  è del tutto gratuita e fuori luogo. Dal punto di vista scientifico, il termine “donatore” viene continuamente usato in maniera indifferenziata: e in questo caso addirittura per indicare con una bella parola l’azione del chirurgo che estirpa l’organo di una persona viva e incosciente. È fuori da ogni dubbio che nel momento in cui l’organo viene estirpato, l’unico a non avere coscienza e possibilità di intervento è proprio colui a cui lo si estirpa. Se poi si volesse fare riferimento alla volontà espressa dall’interessato in un qualsiasi momento della propria vita: basta riandare con la mente al concetto di “silenzio-assenso” (ormai divenuto “legge”), alle tante polemiche che continuano a sussistere nel mondo “scientifico” circa lo stato di vita o di morte del “donatore”, e, soprattutto, alla cattiva informazione dei cittadini che credono sia cosa certa e indiscutibile che gli organi vengano estirpati dai morti e non dai vivi.
Con l’uso specioso del termine “amore” si vorrebbe far credere che lasciarsi portar via il cuore per far sopravvivere ancora un po’ un altro uomo corrisponda ad una novella imitatio Christi: dimostrando cosí quanto la religione, per molti, sia scaduta in religiosità, l’amore per il prossimo in sentimentalismo, la misericordia gratuita in autocompiacimento; per di piú alimentando l’equivoco blasfemo che il valore piú grande consista nella vita terrena, nella sopravvivenza ad ogni costo, nel delirio della ricerca spasmodica di allungare anche per un po’ la permanenza in questa valle di lacrime. 
Come impedire che venga subito alla mente, con chiarezza, che ci troviamo al cospetto di gente che coltiva l’“amore”, sí, ma non l’amore per Dio, quanto l’amore per sé stessi e per questo mondo: con un attaccamento ed un accanimento che sfociano nel culto del Príncipe di questo mondo?
 

Ma veniamo adesso al copione proposto per la S. Messa.

Introduzione
a) - Fratelli e sorelle carissimi, siamo riuniti intorno alla mensa Eucaristica per celebrare il dono della vita nuova ricevuta nel Battesimo e il dono di una vita riconquistata dai fratelli e sorelle che sono stati trapiantati.

Andiamo con ordine.

1° - Per quanto sia divenuto ormai “ufficiale”, resta il fatto che nei confronti dei semplici fedeli il termine “mensa” oggi può solo evocare il posto in cui si consumano frettolosamente i pasti nelle pause dell’orario di lavoro. I moderni liturgisti lo sanno bene e insistono su questo termine proprio perché esso riduce alla piú elementare delle dimensioni umane il mistero terribile dell’Eucarestia, che è il rinnovamento incruento del Sacrificio cruento di nostro Signore sulla Croce. L’intenzione è quella di far passare la divina Azione del Cristo per un qualsiasi atto meramente umano, seppure compiuto dal Figlio di Dio.

2° - Con la S. Messa non si celebra il dono del Battesimo, ma si rinnova il Sacrificio di nostro Signore sul Calvario, per la salvezza delle anime dei vivi e dei morti. La S. Messa non è un “anniversario” in cui celebriamo il ricordo di quando siamo stati battezzati. Qualunque prete che introduca la S. Messa con queste parole compie una grave mancanza liturgica: mettendo a repentaglio l’efficacia del Sacramento, anche solo perché non celebrerebbe piú “secondo le intenzioni della Santa Chiesa”.

3° - Ancor meno la S. Messa è una celebrazione umana qualsiasi: in questo caso per “celebrare il dono di una vita riconquistata…”. Chi ha concepito affermazioni come queste è decisamente convinto che la S. Messa sia una faccenda che riguarda gli uomini: voluta e realizzata dagli uomini a proprio piacimento e per la propria soddisfazione. 
Era inevitabile: avendo introdotto nella liturgia le concezioni “omocentriche” dei Protestanti, si doveva necessariamente finire col condurre le cose alle estreme conseguenze; cosí questi nuovi cattolici vanno ancora piú in là dei Protestanti e fanno diventare la S. Messa una festicciola tra amici lieti di poter godere dello scampato pericolo. 
 

b) - Rivolgiamo il nostro pensiero grato a Dio che ha dato all’intelligenza umana la capacità di aprire nuove strade alla medicina, ed a coloro che hanno donato gli organi dei loro cari perché altri fratelli vivessero.

Andiamo con ordine.

1° - Secondo l’estensore del pezzo, e quindi dei preti che lo pronunceranno per introdurre la S. Messa, è cosa del tutto paritetica volgere il pensiero a Dio e agli uomini. Un tempo (ma anche adesso, secondo il Canone del Novus Ordo) si diceva: Gratias agamus Domino Deo nostro. Oggi fa piú fine trasformare la Eucarestia (il rendimento di grazie) in un grazie di cuore ai gentili amici che sono stati cosí buoni da donarci il cuore del loro congiunto in fin di vita. Che bontà! Che amore!
Qui nostro Signore e il nostro Padre celeste occupano un posto di secondo piano, per di piú del tutto paragonabile a quello di chiunque altro: non siamo piú in presenza della liturgia della S. Chiesa, qui c’è dell’altro… che puzza fin troppo di zolfo!

2° - Per quanto la frase possa apparire innocua, il grazie rivolto a Dio per i frutti dell’intelligenza umana è quanto di piú equivoco si possa immaginare. Diciamo subito che non pensiamo necessariamente alla cattiva volontà, ma, anche a voler concedere l’inavvertenza, resta il fatto che il concetto espresso è tremendamente pericoloso. Qui si vuol dare per scontato che il frutto dell’intelligenza umana sia, di per sé, una cosa buona. Sta proprio qui il pericolo.
Quando Eva contravvenne al comandamento divino, coinvolgendo nel suo errore l’intera umanità, fece proprio intervenire la sua intelligenza ; e l’argomentare del Serpente era proprio basato sulla capacità di “intelligere” di Eva. E quando Adamo accondiscese all’invito di Eva, esercitò le sue facoltà intellettive e scelse deliberatamente di peccare, in ossequio alla sua capacità intellettiva di “aprire nuove strade” per l’uomo. E l’aprí la strada: quella dell’allontanamento da Dio, quella del dolore e della morte, quella della perdizione eterna.
Oggi ci si dimentica troppo facilmente che pur essendo l’intelligenza umana un dono di Dio, non per questo qualunque suo prodotto debba essere buono.

3° - Per quanto possa sembrare una forzatura da parte nostra, è evidente che qui è presente un grosso lapsus: “Rivolgiamo il nostro pensiero grato… a coloro che hanno donato gli organi dei loro cari…”. Come se si trattasse di un pacchetto di dolci comprati in pasticceria! 
Prima ci si sbraccia tanto con la “donazione” e poi si viene a scoprire che la cosa lodevole e degna di grazie consiste nel disporre a proprio piacimento e per il proprio appagamento psicologico del cuore altrui, foss’anche un figlio o un fratello, per “donarlo”… per compiere un atto di “generosità”, insomma per fare “bella figura”: tanto è il cuore di un altro, di un altro che sta per morire, a lui non serve piú!
Fino a prova contraria il concetto di “dono” corrisponde all’atto di offrire gratuitamente ad un altro ciò che è proprio, non ciò che è altrui. E poi si vorrebbe sostenere che l’uso del termine “donazione” non sia un espediente psicologico per convincere le persone semplici e approfittare della loro sensibilità!

4° - “Rivolgiamo il nostro pensiero grato… a coloro che hanno donato gli organi dei loro cari perché altri fratelli vivessero.” Ma davvero siamo giunti al punto che si possa credere che la fine o la continuazione della vita dipenda da un nostro atto? Davvero ci siamo dimenticati che ogni capello del nostro capo è stato contato da Dio? Davvero non ci rendiamo conto che se una persona è arrivata alla fine della sua vita, per volontà di Dio, non c’è “donazione” che tenga?

Ma tante persone sopravvivono dopo il trapianto! e morirebbero senza di esso! 
È vero! Solo che ci si dimentica che dal punto di vista della morte, che si muoia oggi o dopodomani non cambia niente per il nostro essere. L’uomo è venuto su questa terra per morire, non per sopravvivere indefinitamente, e ogni suo tentativo per allontanare il momento della morte fisica può avere valore solo per lui, un valore di mero appagamento terreno e umano, ma in relazione alla sua morte e alla vita futura dell’anima quel leggero spostamento temporale della dipartita non cambia assolutamente nulla.
Nessuno nega che anche il desiderio della sopravvivenza abbia una sua legittimità relativa, ma in questo caso dovrebbe essere ben presente nella mente e nel cuore che si tratta di un inevitabile manifestazione della debolezza umana, legittima di per sé, ma che è impossibile trasformare in un “valore”: tanto da essere addirittura inserita nel corso della S. Messa.
Semmai la S. Messa è l’occasione per avere in vista il timore della “seconda morte”, della morte dell’anima, e l’occasione per aver presente che se in tutto occorre affidarsi alla volontà e alla misericordia di Dio, ancor piú nel momento della nascita e della morte. Da qui la raccomandazione continua della Chiesa di ben prepararsi a morire. Con questa pratica dei trapianti, invece, e con le illusioni che essa suscita, molti cristiani sono indotti a prepararsi a ricevere un cuore nuovo tolto ad un altro cristiano moribondo, e, soprattutto, sono indotti ad arrabbiarsi e ad indignarsi se quel tale moribondo o i suoi parenti non permettono la tanto auspicata “operazione”. 
Altro che preparazione alla “buona morte”!
 

Preghiera dei fedeli
a) Per ciascuno di noi, perché ci lasciamo educare da Gesú, che ha dato la vita per i suoi e ha vinto la morte, nell’accogliere la logica di amore che sta alla base della donazione di organi, preghiamo.

1° - Ecco ancora l’equivoco che scaturisce dal parallelo tra il Sacrificio di nostro Signore che ha dato la Sua vita terrena per la salvezza delle anime e ha vinto le morte per la potenza della Sua Divinità, e l’amore terreno che si pretenderebbe espresso con la donazione di organi.
L’amore di Gesú per l’umanità è l’Amore di Dio per la creatura, che Egli vuole libera nella Verità e redenta dal peccato originale: peccato che è lo stesso che induce l’uomo a rimanere attaccato a questa valle di lacrime come se fosse il vero Paradiso terrestre. 
L’amore dell’uomo per il suo prossimo si esprime massimamente nel volere il bene dell’anima del suo fratello, per amore di Dio e secondo la volontà di Dio.
I trapianti entrano in tutto questo come i famosi “cavoli a merenda”. 
A fronte del mistero terribile della dannazione e della salvezza dell’anima nostra, appare come un sacrilegio celebrare la S. Messa enfatizzando il misero attaccamento dell’uomo a questa vita.

2° - Ma insomma… se la “logica di amore” “sta alla base della donazione di organi”, ne deriva che il sentimento umano dell’amore è il motore che muove ogni buona azione dell’uomo. Seguendo questa logica perché condannare l’aborto terapeutico? Perché condannare l’eutanasia? Perché condannare le deviazioni amorose? Perché non celebrare una Messa per esaltare il divorzio che rinnovella l’amore di coppia?
 

b) Per coloro che hanno donato i loro organi per altri fratelli, perché il Signore della vita conceda loro la gioia di contemplare in eterno il volto di Dio, preghiamo.

1° - Innanzi tutto, pur essendo vero che Iddio è il Signore della vita (con la “v” minuscola), poiché Egli è il Signore e il Creatore di tutto, sarebbe il caso di ricordare che innanzi tutto Iddio è il Signore della Vita (con la “V” maiuscola), della Vita vera, la Vita eterna, quella che è il vero fine della vita dell’uomo. E quando la dottrina cattolica insegna che i figli di Dio, quelli nati non da sangue, né da volere di carne, né da volere di uomo, sed ex Deo nati sunt, risorgeranno in corpo e anima, ricorda che non si tratta del “corpo corruttibile”, ma del “corpo glorioso”: il corpo dell’uomo che ha perduto i limiti e le deficienze derivate dal peccato originale ed ha acquisito, per Grazia di Dio e per il Sacrificio del Signore nostro Gesú Cristo, Suo Figlio, la potestatem filios Dei fieri.

2° - “Donare” i propri organi per altri fratelli è davvero un cosí grande atto di Carità cristiana, tanto da meritare una apposita S. Messa? Siamo davvero sicuri che permettere l’estirpazione dei nostri organi quando stiamo per morire, non corrisponda ad una sorta di suicidio, visto che non siamo ancora morti del tutto?
E se “donassimo” in vita? Se il nostro “amore” fosse cosí grande da giungere alla “libera scelta”, consapevole e totalmente gratuita, di rinunciare alla nostra vita per far sopravvivere un altro? Non sarebbe questo un “gesto d’amore” di incomparabile valore (meramente umano)? Perché non lo si propone: apriamo un dibattito! facciamo un referendum! Vediamo che accadrà di tante amorevoli premure!
Si badi, questo accadeva molte volte, un tempo, quando la madre, dovendo decidere tra la propria sopravvivenza e quella del nascituro, sceglieva il suo sacrificio e la vita per suo figlio!
Ma mentre in questo caso la madre, dando alla luce un figlio, si rendeva partecipe del piano della divina provvidenza, anche a costo della propria vita, possiamo forse dire lo stesso per il trapianto di organi?

3° - Dovremmo pregare in una apposita S. Messa perché coloro a cui è stato asportato un organo ancora palpitante possano godere della visione beatifica di Dio: cosí, senza altra preoccupazione! 
E se il “donatore” fosse stato un peccatore? Forse che il suo gesto di “donazione” (ammesso che sia cosí) lo avrebbe liberato da ogni peccato? Si tratterebbe forse di una nuova forma di penitenza e di assoluzione? 
Non dobbiamo piú pregare perché Iddio misericordioso abbia pietà dei nostri peccati e dei peccati del nostro prossimo? Basterà forse farsi “donatori” di organi?
Come sempre l’eccessiva semplificazione  oscura la mente ed è maestra di menzogna!
 

Offerta dei doni

Qui occorre ricordare che l’Offertorio, nella S. Messa, non ha niente a che vedere con le offerte dei fedeli. Con la recita del Credo ha inizio la vera e propria S. Messa, cioè il rinnovamento della Passione e Morte di nostro Signore Gesú Cristo, da Lui stesso riattua-lizzate, per la Sua Potenza, tramite l’opera docile e impersonale del ministro appositamente consacrato. Non è il sacerdote che officia, ma il Cristo stesso: non è il popolo che attua il rito, ma il Cristo stesso: non siamo noi che realizziamo alcunché, ma il Cristo stesso: perché senza di Lui non possiamo fare niente!
L’Offertorio è la parte della S. Messa che corrisponde alla preparazione del Cristo al grande Sacrificio della Croce: nostro Signore che si prepara ad offrire al Padre celeste la Sua umanità, per la Redenzione di tutta l’umanità. È l’azione di nostro Signore Gesú Cristo che “offre” sé stesso al Padre, secondo la Volontà e il Disegno del Padre, riconducendo al Padre ciò che è del Padre e riconciliando col Padre ciò che da Lui si era discostato: l’umanità e l’intero creato afflitti dal peccato di disubbidienza a Dio.
Che nel corso di questo momento della S. Messa si possano introdurre degli elementi che simbolicamente accostino al supremo atto sacrificale di nostro Signore le nostre offerte umane e terrene, a cominciare dalle nostre afflizioni che accettiamo di vivere secondo la Volontà di Dio e a imitazione della Passione di nostro Signore: è cosa possibile e sempre praticata dalla S. Madre Chiesa; ma che si trasformi questa imitatio Christi in autocompiacimento umano per qualcosa che non ha niente a che vedere con la S. Messa, è cosa che rasenta la blasfemia e pone delle grosse ipoteche sulla stessa efficacia del rito: anche ammettendo le buone intenzioni del celebrante.


- … attraverso queste offerte ti chiediamo di accogliere l’impegno del lavoro quotidiano dei medici… il dolore della malattia, la generosità della donazione di tante famiglie. Accettali, Signore e benedici.

1° - Non abbiamo nessuna intenzione di ridicolizzare il lavoro dei medici, sappiamo bene che vi sono molti medici che assolvono il loro impegno con un profondo senso cristiano, ma è inevitabile notare come questo richiamo sia del tutto strumentale. Una cosa è il lavoro serio e appassionato del medico che vive la sua professione come una missione, in soccorso delle sofferenze dei fratelli (e sfidiamo chiunque a elaborare una statistica in cui questo elemento sia presente con una tasso superiore a una cifra), altra cosa è il progresso scientifico e tecnologico in base al quale gli uomini sono ormai ridotti a mere “cavie” al servizio del moloch della medicina e della genetica. È troppo facile confondere le idee e suscitare pesanti delusioni.

2° - Mettere assieme il “lavoro dei medici”, il “dolore della malattia” e la “generosità della donazione”, significa confondere ogni cosa in un afflato sentimentale che non ha niente a che vedere con la preghiera di lode a Dio, soprattutto nel corso della celebrazione eucaristica e nel corso dell’Offertorio. Ancora una volta il pensiero non è rivolto a Dio, ma agli uomini: a quei bravi ragazzi dei medici che si fanno in quattro negli ospedali (i “serial” americani insegnano piú del catechismo!), a quei poveretti che soffrono per le loro malattie, ingiustamente e inspiegabilmente (ah!, se non ci fosse la medicina!), a quelle amorevoli famiglie che donano generosamente ai bisognosi tutto quello che possono, pasta, zucchero, olio, reni, cuore e frattaglie varie.
La S. Messa trasformata in un miscuglio di sentimentalismo e di egoismo in cui primeggia la miserevole aspettativa terrena dell’uomo amante di sé stesso, che osa perfino rivolgersi a Dio compiaciuto di sé e dimentico della sua anima e del suo destino eterno. Gli ammonimenti di nostro Signore non contano piú nulla nella nuova messa: Chi vorrà salvare la propria vita, la perderà, ma chi perderà la propria vita per me, la salverà (Lc, 9, 23-26 - Mt, 16, 24-26 - Mc, 8, 34-37); Chi ama la sua vita la perde e chi odia la sua vita in questo mondo la conserverà per la vita eterna (Gv, 12, 25).
 

- In questa ampolla d’acqua, Padre, vogliamo mettere la sofferenza della sete dei dializzati, il dolore innocente dei bambini in attesa di un trapianto, l’offerta di quanti si consacrano al tuo servizio. Accettala, Signore e benedici.

Chi legge queste note si sarà subito accorto che gli estensori di questo “copione” non hanno nessun senso della misura e nessun ritegno; e anche a voler ammettere che siano in buona fede è inevitabile concluderne che si tratta di gente dalle buone intenzioni, ma non di seguaci del Signore Gesú.

1° - È decisamente blasfemo l’accostamento tra l’acqua che si transustanzierà nel Sangue di Cristo e il sangue trasfuso ai dializzati. Per di piú si parla di questi come degli “assetati”… degli assetati di sangue umano! Inaudito, e perfino offensivo per i poveri ammalati di malattie renali!
Qui si giuoca volutamente con  le parole, per suscitare forti emozioni: quelle stesse emozioni incontrollabili che portarono Eva a mangiare la mela, e, per dirne solo una, Sodoma e Gomorra alla punizione divina per mezzo del fuoco.
Secondo questa nuova messa non sarebbero piú beati gli assetati di giustizia, ma gli assetati di sangue: con l’aggravante dell’invenzione tutta gratuita di un concetto che non ha alcun riscontro nella realtà. Non possiamo minimamente  supporre che coloro che si sottopongono a dialisi siano mai stati sfiorati anche solo dall’idea di doversi dissetare col sangue umano.

2° - Ancora demagogia e sentimentalismo: il “dolore innocente dei bambini in attesa di trapianto”! E giú lacrime di commozione per questi poveri bambini! Come si fa a lasciare i bimbi senza trapianti! Che crudeltà! Fare l’apologia dei trapianti sfruttando sottilmente la tenerezza che suscitano i bambini, non solo è deplorevole, ma è sommamente vile: proprio perché i bambini sono gli ultimi a poter avere la coscienza del dolore della malattia e la consapevolezza dell’ipotetica soluzione “trapiantista”.

3° - Dulcis in fundo… la confusione di ogni cosa, com’è prassi comune ormai. I dializzati, le trasfusioni, i trapianti, le vocazioni e il servizio a Dio: tutto in una melensa insalata di dabbenaggine e di “persuasione occulta”; anche qui il tentativo diabolico di fare apparire come “interscambiabili” la donazione di sangue, la “donazione” di organi e la vita consacrata al Signore. Farsi preti o chiudersi in convento è cosa del tutto simile ed equivalente al “donare” gli organi. 
Decisamente questi nuovi cattolici non sanno proprio nulla del cattolicesimo, e se continuano a leggere i Vangeli lo fanno con gli occhi accecati dalla passione per la vita terrena: come sta scritto: guardano e non vedono, odono e non sentono.
 

Ringraziamento dopo la Comunione
(un trapiantato all’altare)
- Grazie, per la voglia di vivere che … metti nel cuore di chi ancora attende, dal trapianto, vita e salute.

Ed ecco che le cose si fanno piú chiare, a dimostrazione che fin qui non abbiamo esagerato affatto.  Oggi è cosí che si prega nella messa moderna: non per la vita eterna, ma per questa vita miserevole in questo mondo, non per la salute dell’anima, ma per la salute del corpo.
Forse che questa vita e la salute del corpo andrebbero disprezzate? Certo che no! Soprattutto ove si pensi che sono doni del Signore. Ma porle al primo piano, esaltarle nel corso della S. Messa, tendere prevalentemente, se non esclusivamente, ad esse è quanto di piú anticristiano si possa fare; e osiamo dire che è quanto di piú inumano si possa fare: poiché la vera vita dell’uomo è la vita eterna, nella visione beatifica di Dio, e questa vita terrena ci è solo donata perché conseguiamo l’altra; e non viceversa. 
Chi può dirsi veramente uomo, e cioè veramente degno del dono divino della vita terrena, se non colui che vive in questo mondo con ogni fibra del proprio corpo, con ogni spinta del proprio cuore e con ogni energia della propria mente volte al conseguimento del ricongiungimento con Dio?
 

- Grazie, Signore, per la vita, dono Tuo, che ci dai la possibilità di riconquistare con un trapianto.

Bando alla logica, in questo mondo dispregiatore di Dio. 
La vita è un dono di Dio, e come tale ogni uomo può riconquistarsela come e quando vuole: con un trapianto, per esempio!
Non è necessario andare a scuola di logica per cogliere la patente contraddizione di simili affermazioni. E d’altronde, oggigiorno, non è neanche necessario andare a scuola di retorica e di demagogia per affermare contraddizioni siffatte senza neanche farci caso: basta seguire la nuova teologia e, soprattutto, la nuova pastorale.
 

- Grazie, Signore, per il pensiero di amore che hai messo nel cuore di una famiglia che … non si è opposta al prelievo degli organi. Grazie a lei la nostra famiglia può oggi cantare l’inno alla vita.

Di quali organi? Di quelli della famiglia? Degli organi del famigliare a cui, in stato di incoscienza, ancora vivo, sono stati estirpati gli organi? Grazie al Signore di tutto questo?
Oppure grazie perché “la nostra famiglia può oggi cantare l’inno alla vita”? La famiglia? L’inno alla vita? Ma qui si spande a piene mani illusione e miscredenza!

1° - Innanzi tutto, tenere in nessun conto “l’opposizione” della famiglia e le relative motivazioni è cosa che contraddice la tanto decantata “carità” moderna. Qui si tratta di coercizione: della compiacente accettazione della pratica del “prelievo” attuata per meri scopi egoistici: l’egoismo e l’egocentrismo della scienza e dello scienziato, da un lato, e l’egoismo e l’edonismo del singolo, dall’altro. 
Presentare tutto questo come un “pensiero d’amore”, per di piú “messo nel cuore” dal Signore, è blasfemo per il Signore e offensivo per l’intelligenza umana.

2° - Che qualcuno possa “cantare l’inno alla vita” per aver avuto la possibilità di sopravvivere ancora qualche po’ di tempo grazie alla disgrazia di un altro a cui sono stati “prelevati” gli organi ancora palpitanti: ci sembra cosa attinente piú alla stregoneria che alla vita cristiana.
Da quanto ci risulta, gli inni alla vita sono materia corrente presso i pagani e gli atei, i dispregiatori di Dio e gli adoratori del Demonio; non abbiamo trovato nulla di simile nei Vangeli.
 

E noi? Cosa possiamo fare noi?
A noi non resta che pregare la Beata Vergine, affinché interceda presso nostro Signore, perché apra gli occhi degli uomini di Chiesa, perché preservi la Sua Santa Sposa dai loro errori, perché abbia misericordia di noi peccatori e ci dia la forza di tenerci lontani dalle trappole del demonio.
 

Belvecchio

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