GIUBILEO 2000

15a Giornata Mondiale dei Giovani


Anche se il termine “Giubileo” contiene l’accezione di gioia e di esultanza, è indubbio che esso indica primariamente il tempo della espiazione, della richiesta di perdono e della remissione dei peccati.
Non mettiamo in dubbio che i pellegrini che si sono recati a Roma in questi mesi si siano mossi con queste intenzioni, e che moltissimi abbiano assolto alle prescrizioni previste per ottenere le Indulgenze; ma è altrettanto indubbio che, soprattutto nel corso del “Giubileo dei Giovani”, i fedeli di tutto il mondo hanno ricevuto l’impressione che si trattasse solo di una grande festa di massa, e nulla di piú. 

Certamente si è trattato di una imponente manifestazione, offerta al mondo intero dai credenti convenuti al cospetto del Papa da ogni parte del mondo: con tutto quello che di positivo questo può implicare per l’educazione dell’uomo moderno e per l’edificazione dei fedeli. Ma, non per questo, possono tacersi tutti quegli aspetti che hanno fatto di questa manifestazione qualcosa di banale, di scontato e a tratti (di non poco conto) di irriverente e di disordinato in termini religiosi.

Molti si sono compiaciuti per il “numero” dei convenuti: eppure le adunate oceaniche non dovrebbero stupire piú nessuno, semmai suscitare qualche preoccupazione. Il vociare, l’agitarsi, il ritmare ossessivamente slogan, costituiscono il pane periodico dei giovani di tutto il mondo: nelle discoteche, nei concerti, negli stadi, ecc.
Altri hanno parlato dell’importanza dello “stare insieme”, dimenticando che la comunicazione interpersonale non può realmente realizzarsi immergendosi nell’anonimato della massa vociante e fluttuante. Una illusione tutta moderna che scambia la comunicazione tra persone con l’ammucchiarsi degli individui. Una cosa è il raccogliersi personalmente accanto a milioni di altri fratelli che fanno altrettanto, altra cosa è ammassarsi insieme a milioni di individui in una confusione di gesti, di parole e di suoni, in cui l’unica cosa che abbia un senso è il boato periodico dell’urlo unisonante.

Il Pontefice, sommerso e trascinato dal fremito della folla, è incorso persino in un lapsus. Ha parlato di “chiasso”, con toni entusiastici, quasi a voler suggerire una nuova teologia della preghiera: piú chiasso c’è, piú bella è la manifestazione di devozione religiosa.

Ed è stato proprio il Pontefice ad offrire lo spettacolo piú sbalorditivo: un Papa fremente, che si agitava sulla seggiola, accompagnando con i gesti e con la voce i ritmi trascinanti della folla. Un Papa che si compiaceva nel lasciarsi risucchiare dall’entusiasmo incontrollato, nel diventare oggetto di urla e gridolini, nel lasciarsi abbracciare e sbaciucchiare, al pari di un qualsiasi divo della canzonetta.

Forse, tutto sta nella nostra incapacità di comprendere la moderna sensibilità dei giovani, forse. Ma certo è che i fedeli di tutto il mondo non hanno visto nulla che potesse loro ricordare che i giovani si trovavano al cospetto del Capo della Santa Chiesa Cattolica, del successore dell’Apostolo Pietro, del Vicario di Nostro Signore Gesú Cristo. 
Non abbiamo in mente la sedia gestatoria, l’atteggiamento ieratico, il comportamento dimesso e rispettoso fatto di occhi bassi e di genuflessioni; non pensiamo al silenzio timoroso di chi sente che dietro il Papa assiso sta la presenza invisibile di Dio. Ci ricordiamo solo che perfino nelle piú ridicole riunioni d’ufficio, ancora oggi si pretende un abbigliamento decoroso, un comportamento controllato e un atteggiamento rispettoso: pretese che sul lavoro rispettano rigorosamente quegli stessi giovani che erano a Roma a gridare e a far “chiasso”. 

Evidentemente per il Vicario di Cristo è rimasto solo il “chiasso”.

(9/2000)


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