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Il bilancio negativo di trent'anni di postconcilio La Dominus Iesus
Il grido d'aiuto della gerarchia
Prima ancora che la Dichiarazione della Congregazione per la Dottrina
della Fede, Dominus Iesus, venisse pubblicata, i piú
diversi rumoreggiatori agnostici, ebrei, protestanti e cattolici hanno
imbastito l’usuale tambureggiamento anticattolico, cosí da sollecitare
il sòlito “stato d’animo” critico nella cosiddetta opinione pubblica
e da alimentare la ormai diffusa psicosi difensiva del mondo cattolico.
In realtà la Dominus Iesus non è un piccolo
saggio teologico proposto unilateralmente da un certo Card. Ratzinger,
ma molto semplicemente una Dichiarazione della Congregazione per la Dottrina
della Fede, e cioè un documento magisteriale vincolante per i cattolici;
documento che i non cattolici possono anche non accettare, per il loro
preciso e inviolabile diritto, ma che non sono tenuti a criticare “cattolicamente”
per la loro altrettanto precisa e indiscutibile incompetenza.
In realtà, però, le cose sono un poco piú complicate,
poiché la vera tendenza dominante, che fa scuola e che per molti
versi pretende di essere vincolante, consiste nel voler sottomettere tutto
alla cosiddetta mentalità del tempo, che nella pratica si traduce
nella richiesta di osservanza di quei supposti principi inviolabili che
sono i moderni diritti dell’uomo, la libertà di pensiero, la libertà
di religione, il diritto al benessere terreno, l’uguaglianza in quanto
individui, il bene supremo della pace del mondo, ecc. In questa ottica
gli agnostici pretendono che anche la Rivelazione Divina si sottoponga
al vaglio dei loro giudizi personali e meramente umani, i non cattolici
che ogni pronunciamento della Chiesa passi per la loro preventiva accettazione
e certi cattolici che la stessa Rivelazione Divina non possa essere in
contrasto con i principi umani moderni.
Ora, per quanto ci riguarda, l’indignazione e lo stupore degli acattolici e degli anticattolici, professanti una qualsiasi credenza o semplicemente miscredenti, non sono cose che possano interessarci: si tratta di problemi loro. Ma il rumore, i distinguo e lo stupore che la Dominus Iesusha suscitato in seno al mondo cattolico, questo sí che ci riguarda, e molto da vicino. Innanzi tutto occorre notare che dopo trent’anni di postconcilio l’organo preposto a difesa della ortodossia cattolica, direttamente dipendente dall’autorità pontificia, si è visto costretto ad emanare un documento in cui viene ribadita la piú elementare delle verità cattoliche: Gesú Cristo, nostro Signore e Salvatore nostro, è “la” via, “la” verità e “la” vita; senza di Lui non v’è salvezza. Senza questa elementare e semplicissima premessa non si potrebbe neanche parlare di religione cattolica; eppure sono proprio dei sedicenti cattolici che si inventano le piú improbabili questioni di lana caprina per sostenere che si può essere cattolici senza credere nell’unicità della missione salvifica del Figlio di Dio. Questo evento che a molti è sembrato potesse rientrare nell’ordinaria amministrazione del magistero della Chiesa, è invece di una gravità inaudita. Vero è che la Chiesa, nel corso dei secoli, ha sempre dovuto provvedere a delle messe a punto, a delle ulteriori precisazioni, alla puntualizzazione di questo o di quell’aspetto della dottrina, al fine di correggere gli errori di certi personaggi di Chiesa, ma quasi mai si era verificato che dovesse prendere posizione contro intere tendenze e scuole, contro complessi orientamenti riguardanti, non tanto dei pronunciamenti personali o di gruppo, quanto delle pratiche di insegnamento teologico e di esercizio pastorale relative ad interi settori del mondo cattolico. Nel corso degli ultimi cinque secoli si possono scorgere solo due momenti
simili a quello attuale: la Riforma protestante e il diffondersi del modernismo.
La Riforma protestante condusse milioni di cattolici al rifiuto della religione
dei loro padri, il modernismo condusse alle formulazioni equivoche del
Concilio Vaticano II e all’imperversare della confusione e dell’arbitrio
del postconcilio.
Certo, la nostra è forse una semplificazione, ma la realtà
dei fatti è tale che non si può mettere in dubbio che la
necessità di dover ribadire la piú elementare delle verità
cattoliche, sia rivelatrice del serpeggiare in seno alla Chiesa della piú
perniciosa delle eresie. Se le cose non stessero cosí, la Congregazione
per la Dottrina della Fede non avrebbe sentito il bisogno di riaffermare,
con toni decisi e con termini desueti da piú di trent’anni, che
il Signore Gesú Cristo è l’unica via di salvezza e che la
Santa Chiesa è l’unico vero strumento di questa salvezza, e che
ogni altra credenza debba passare al vaglio di questa verità.
Quando nella Dichiarazione si parla di teologi, è come se si
parlasse di esseri angelici casualmente legati alla giurisdizione del magistero,
di esseri di una natura diversa da quella dei fedeli ordinarii. A questi
teologi sarebbe inevitabile assicurare la libertà di elaborazione
intellettuale e di espressione verbale, salvo poi correre ai ripari, a
babbo morto, con una dichiarazione che ricordi certi limiti.
C’è da dire, però, che se tutto questo è accaduto,
la responsabilità va anche ricercata tra coloro che avrebbero dovuto
vigilare fin dall’inizio. Se le cose si sono spinte al punto che in seno
alla Chiesa c’è chi non crede piú che il Signore Gesú
Cristo e la Sua Santa Sposa costituiscano l’unica porta della salvezza,
la responsabilità non è solo di chi è divenuto miscredente,
ma anche di coloro che hanno permesso che tali miscredenti facessero “opinione”
in seno alla Chiesa. La Dichiarazione, infatti, non si rivolge a qualche
occasionale “parlatore di Dio”, affiorante qua o là in maniera episodica,
si rivolge invece a interi gruppi di persone che da anni fanno gli “insegnanti”
nei seminari; a gente che da anni semina la zizzania e alleva intere generazioni
di nuovi preti.
C’è poi l’altro problema del cosiddetto “ecumenismo”. La Dominus Iesus ricorda che non v’è paragone possibile fra la verità insegnata dal Figlio di Dio incarnato e gli spezzoni di verità disseminati qua e là nelle varie credenze presenti nel mondo. Una verità, anche questa elementare, che ogni cattolico dovrebbe aver succhiato col latte della madre. Si verifica invece che molti cattolici moderni abbiano finito col credere, alla luce della onnipotente ragione umana esercitata dall’uomo di oggi, che in gran parte la verità insegnata da Cristo è, in qualche modo, la stessa insegnata da Shiva. Si verifica che molti preti e teologi abbiano finito col convincersi che Gesú Cristo, pur avendo insegnato il cristianesimo agli Apostoli in quel di Palestina, non potrebbe non insegnare l’induismo ai Brahmani di Calcutta, poiché Egli vuole che tutti gli uomini siano salvati. Diciamo súbito che una simile opinione, riveduta e corretta però,
contiene anche una certa verità: il Figlio di Dio è venuto
per riscattare i peccati del mondo intero, e il Suo Sacrificio ha come
fine la salvezza di tutti gli uomini.
In verità, nonostante la Dominus Iesus, per presentare
i suoi richiami ortodossi, si rifaccia continuamente ai documenti del Concilio
Vaticano II, sono proprio questi stessi documenti che hanno permesso le
piú strane ed eterodosse prese di posizione di tanti teologi. Ed
anche quando si volesse sostenere che, nella loro sostanza, questi documenti
non permettono di uscire fuori dalla ortodossia, resta il fatto che questo
è accaduto, e certamente è accaduto perché almeno
nella forma i documenti del Concilio si prestano a molteplici interpretazioni.
Peraltro, se cosí non fosse, non si spiegherebbe come mai per trent’anni
si è continuato a parlare di “ecumenismo” in maniera tale da sfociare
nell’eterodossia, tenuto conto che il problema non è sorto solo
ieri, ma si è súbito posto col Concilio stesso, ed è
stato posto da tanti Padri conciliari, che per comodità vennero
súbito tacciati di “oscurantismo”. I fatti dimostrano che piú
che oscurati i Padri contrari erano preveggenti e illuminati.
Detto questo, non possiamo non esprimere i sentimenti che la pubblicazione
della Dominus Iesus e le polemiche da essa sollevate ci hanno procurato.
In secondo luogo, la presa d’atto che la Dichiarazione è come
un grido di aiuto, un appello che la Chiesa lancia a tutti gli uomini di
“buona volontà”, a tutti i suoi figli mossi dalla “retta intenzione”;
e noi, come fedeli figli di Santa Madre Chiesa, abbiamo il dovere di disporci
in maniera da aiutare la Gerarchia a venire fuori da questa grave contingenza.
Il mondo della Tradizione ha subíto ogni critica, ogni opposizione,
ogni incomprensione e ogni accanimento possibile, ma noi siamo rimasti
fermi e, con l’aiuto di Dio, siamo cresciuti, in numero e consapevolezza.
Se abbiamo avuto la forza di resistere ad ogni attacco, oggi dobbiamo attingere
da questa forza per porci al servizio dell’opera di purificazione necessaria
che si impone all’interno della Chiesa e che la stessa Gerarchia, o almeno
parte di essa, riconosce come ineludibile.
Cosa fare? Difficile dirlo nei particolari.
Noi abbiamo il dovere di fare ciò che va fatto, Iddio, nella sua imperscrutabile sapienza, disporrà poi secondo la Sua volontà CC ALLA PRIMA PAGINA (Home)
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