I Beati Pio IX e Giovanni XXIII

Due conferenze dopo la beatificazione






Ultimamente si sono tenute a Torino, presso la sala ricreazione della chiesa parrocchiale di San Secondo, due conferenze aventi per oggetto la beatificazione dei Papi Pio IX e Giovanni XXIII.
La prima è stata tenuta dal Dott. Vittorio Messori, il 6 novembre, la seconda dal Rev.mo Mons. Renzo Savarino, il 13 novembre.

Vittorio Messori, che tutti conoscono per i suoi interessanti interventi giornalistici e, soprattutto, per le sue preziose pubblicazioni, entrambi riguardanti temi legati alla vita e all’insegnamento della S. Chiesa, ha svolto il suo tema facendo perno sulle polemiche sorte intorno alla canonizzazione dell’ultimo Papa-Re.
Data l’inevitabile ristrettezza di tempo, la sua esposizione è stata succinta, ancorché efficace. L’Autore ha saputo coniugare le risposte alle dette polemiche con la presentazione della figura di questo pio servo dei servi di Dio, la cui vita è stata prevalentemente segnata da una profonda devozione religiosa.

Gli episodii piú ricordati dalla critica anticattolica sono stati: il famoso caso Mortara, tanto discusso per quanto ignorato, l’eseguita condanna a morte di Monti e Tognetti e l’occupazione di Roma da parte delle truppe piemontesi, da poco divenute truppe del Regno d’Italia.
Il caso Mortara è stato utilizzato come un elemento chiave dalla propaganda anticattolica odierna, e Messori ha ricordato come fin dall’inizio, dal 1858, tutti gli interessi politici, italiani e stranieri, si concentrarono su questo caso per riuscire ad abbattere lo Stato Pontificio, per dipingere Pio IX come un antisemita e per attuare la solita manovra di “guerra psicologica” da condurre contro i fedeli cattolici e la Santa Chiesa.
(Riportiamo a parte un breve cenno su questo caso famoso)

Riguardo all’altra polemica inscenata a proposito del “Papa forcaiolo”, Messori ha fatto notare come la faziosità di chi si appella alla decapitazione di Monti e Tognetti ha davvero dell’incredibile, tenuto conto che ancora oggi, dopo piú di un secolo, si continua a presentare la vicenda in maniera del tutto falsa. I due, per loro stessa ammissione, erano stati pagati per fare esplodere due barili di polvere contro una caserma. Non erano affatto dei rivoluzionari romani, ma due poveri diavoli che i Piemontesi e gli Inglesi usarono con l’illusoria speranza che “Roma si sollevasse”. L’unica cosa che si sollevò fu il muro della caserma e la polvere da sparo dei due barili: che fecero 27 morti, tra i quali quattro civili romani, compresi una madre col suo bambino. Fu lo stesso popolo che avrebbe dovuto “sollevarsi”, a chiedere che i due malfattori fossero giustiziati. Condannati a morte, il Pontefice avrebbe voluto graziarli, ma il popolo romano chiedeva giustizia e, quindi, le loro teste: cosí che il beato Pio IX, dopo aver temporeggiato per quasi un anno, dovette cedere alla richiesta.
Abituato a documentare le sue affermazioni, Messori ha dato lettura di due citazioni “enciclopediche”,  cioè di due informazioni “obiettive” con le quali viene insegnata ai nostri figli la storia dei loro padri e dei loro nonni. Informazioni che hanno la pretesa di essere il risultato della “ricerca” di studiosi serii, e che in molti casi sono solo delle bufale propagandistiche ad uso e consumo, come in questo caso, dei nemici della Chiesa.
Alla voce Monti Giuseppe, “famose e ineccepibili” enciclopedie, cosí recitano:

Patriota, di Fermo. Insieme con il ventitreenne romano Gaetano Tognetti, come lui muratore, partecipò (22 ottobre 1867) a un tentativo d’insurrezione [sic!] in Roma ponendo una mina sotto la caserma Serristori, sede degli zuavi pontifici. Restarono feriti alcuni zuavi [23 morti piú i feriti] e altre persone [4 morti piú i feriti]. Arrestati, furono condannati a morte e decapitati il 24 novembre 1868.


Tutto qui? Già, e ce n’è anche troppo in quanto a pressapochismo e falsità.

La famosa “breccia di Porta Pia”, organizzata dai Piemontesi col beneplacito dei Francesi (Fatelo pure, ma fate presto!), non comportò alcuna contrapposizione armata. Il beato Pio IX aveva dato ordine al comandante le truppe pontificie di innalzare bandiera bianca dopo il primo colpo di cannone. Il comandante, pur dovendo forzare il suo onore e la sua indole di militare, ubbidí agli ordini, e i Piemontesi occuparono Roma senza colpo ferire. Contrariamente alle aspettative alimentate dalla pluriennale campagna propagandistica un po’ liberale e un po’ fantasiosa, come in tante altre occasioni della “liberazione d’Italia”, i Romani accolsero le truppe d’invasione in silenzio e a porte chiuse. 

Da parte nostra ricordiamo che si racconta come a séguito delle truppe piemontesi vi fosse un certo Ciari Luigi, di professione “propagandista protestante”, che entrò a Roma accampagnato dal suo cane che aveva chiamato “pio nono” e a cui faceva trainare un carrettino pieno di bibbie. Un anéddoto che la dice lunga sulla nobiltà d’animo e sui veri scopi di coloro che vollero a tutti i costi la fine del “potere temporale” dei Papi.


Messori  ha anche ricordato come il beato Pio IX dovette intervenire, in un periodo particolarmente critico della storia d’Italia e d’Europa, per ribadire la dottrina della Chiesa, attaccata da ogni lato in vista dell’affermazione delle nuove insorgenti idee, dal liberalismo al socialismo. Da qui l’enciclica Quanta cura, il Sillabo, la definizione del dogma dell’Immacolata Concezione, il Concilio Vaticano I e la definizione del dogma dell’infallibilità papale ex cathedra.

Dopo l’intervento dell’oratore, si è svolto un dibattito al quale hanno súbito partecipato alcune persone che è sembrato fossero venute appositamente per ribadire alcuni luoghi comuni circa gli aspetti problematici e di inopportunità già sollevati da tanti cattolici moderni sulla beatificazione di Pio IX.
Tra i diversi interventi, ci ha particolarmente colpito quello di un noto personaggio cattolico di buona preparazione culturale. Egli ha sostenuto che pur potendo accettare le puntualizzazioni di Messori, restava il fatto, per lui grave, che il Pontefice Pio IX fu essenzialmente il Papa della “rottura” col mondo di allora.

L’interesse di tale intervento è dato dalla constatazione che nel mondo cattolico odierno, intriso di modernismo, ha trovato definitivamente dimora lo storicismo e l’idealismo ottocentesco, il quale ha soppiantato la visione universale, “cattolica”, della dottrina della Fede.

A seguito del Concilio Vaticano II, molti cattolici in buona fede, hanno acquisito la certezza che i principi e la dottrina della Chiesa debbano sottostare alle tendenze e ai convincimenti del mondo. Poco importa che nostro Signore abbia insegnato il contrario, i “fatti” e i “tempi” impongono che si possa e si debba giudicare l’operato di un Papa assumendo le categorie intellettuali di un mondo che rifiuta la Chiesa, i suoi insegnamenti, la Rivelazione e la Parola di Dio.

Con un minimo di coerenza, e senza assumere posizioni preconcette, si comprende facilmente come le condanne del beato Pio IX, di Leone XIII, di San Pio X, non furono altro che le necessarie condanne di idee, concetti e movimenti contrarii alla Chiesa, alla Religione e alla dottrina cattolica. Fu il mondo che, a partire dal secolo dei lumi, “ruppe” con la Chiesa, non il beato Pio IX a “rompere” col mondo. Il Papa sarebbevenuto meno al suo dovere di Pastore della Chiesa universale se non avesse condannato, al pari dei suoi predecessori e dei suoi successori, le perniciose eresie che allignavano nel mondo e già serpeggiavano abbondantemente nel seno stesso della Chiesa; il suo silenzio, la sua acquiescenza, sarebbero state una grave colpa: per aver contribuito alla perdizione delle anime dei fedeli. Che questo sia divenuto possibile in tempi piú recenti, non toglie nulla alla gravità e alla inaccettabilità della cosa.

* * *


 

Il 13 novembre, il Rev.mo Mons. Renzo Savarino, noto e insigne studioso, preside della Facoltà Teologica di Torino, incaricato da S. Em.za il Card. Giovanni Saldarini, Arcivescovo di Torino, della gestione dell’ufficio della S. Messa secondo il rito tradizionale presso la chiesa della Misericordia di Torino, ha svolto una rapida, ma esauriente esposizione sulla figura di Papa Giovanni XXIII, anche in relazione allo svolgimento del Concilio Vaticano II, da lui fortemente voluto.

Mons. Savarino ha innanzi tutto presentato la figura umana del sacerdote e del Pastore, evidenziando le doti di intelligenza e di intuizione che hanno caratterizzato la vita di questo Pontefice. Appoggiandosi alle stesse dichiarazioni di Papa Giovanni XXIII, ha messo in risalto la sua magnanimità e la sua apertura nei confronti dell’uomo di oggi, sottolineando la dimensione religiosa che informava l’animo di questo semplice Pastore. Sulla base degli stessi documenti, Mons. Savarino ha messo in luce il profondo attaccamento che Giovanni XXIII sentiva e dichiarava per la tradizione immutabile della S. Chiesa, con particolare riferimento alla liturgia, alla lingua latina e al canto gregoriano. Questo aspetto della figura di Giovanni XXIII, a piú di trent’anni dalla sua morte, è il meno conosciuto dall’opinione pubblica cattolica, anche perché è stata orchestrata una esemplare strumentalizzazione di questo Papa, al fine di presentarlo solo come il “Papa buono”, il “Papa del Concilio”, e, quindi, il mallevadore del postconcilio e del cosiddetto “spirito del Concilio”.

In realtà, ha spiegato Mons. Savarino, Giovanni XXIII non ha mai voluto il Concilio Vaticano II cosí come poi si è svolto e si è concluso, con tutte le conseguenze successive
Nelle sue intenzioni il Concilio, che non a caso volle chiamare Vaticano II, doveva portare a compimento il Concilio Vaticano I, assumendo tutte le iniziative di ordine “pastorale” che l’interruzione di quest’ultimo non aveva permesso di realizzare.
A tal fine, il Papa aveva fatto preparare tutti i documenti necessarii dalla Curia romana (70 schemi di decreto), ed aveva aperto il Concilio l’11 ottobre 1962 convinto di poterlo chiudere nel Natale dello stesso anno. Sfortunatamente per lui, le cose andarono diversamente. I Padri conciliari, sollecitati dall’ala progressista, chiesero ed ottennero che si formassero delle commissioni deputate ad elaborare dei nuovi schemi. Il lavoro preparatorio, che era stato condotto dopo aver sentito tutti i Vescovi del mondo, andò in fumo, e il Concilio prese una nuova piega. 
Il Papa Giovanni XXIII non si oppose al nuovo andazzo, chiuse la prima sessione il successivo 8 dicembre, e convocò la seconda sessione per il 19 settembre 1963, ancora convinto di poter chiudere il Concilio per il Natale successivo. Giovanni XXIII morí il 3 giugno 1963, senza che il Concilio avesse definito alcun decreto, neanche in forma di schema, cosí che egli non fu il Papa del Concilio Vaticano II, ma solo il Papa che volle un Concilio Vaticano II come séguito del Concilio Vaticano I.

Da parte nostra, facciamo notare che l’equivoco, ancora oggi artificialmente alimentato, che il “Papa buono” sia anche il “Papa del Concilio”, rivela il nuovo tipo di mentalità pragmatica e politico-speculativa che si è andata affermando dal 1963 in seno alla Chiesa. Il capo scuola italiano di questa nuova tendenza piú polico-sociale che religiosa, fu il Card. Lercaro, Arcivescovo di Bologna, città in cui ancora oggi opera una piccola e influentissima congrega di studiosi cattolici (la scuola di Alberigo) che usano ed abusano del Concilio in nome di un supposto “spirito del Concilio”.

Giustamente Mons. Savarino, in risposta ad una osservazione sollevata circa l’importanza dello Spirito che anima la Santa Chiesa, ha fatto notare come sia del tutto inesatto e fuorviante confondere lo Spirito Santo con lo “spirito del Concilio”, che è poi lo spirito di Alberigo e soci.
Vi è un aspetto, però, del carattere del beato Giovanni XXIII che ha potuto aiutare il diffondersi della leggenda del Papa padrino del Concilio e del post concilio. Si tratta del suo noto ottimismo. Giovanni XXIII coltivava un grande ottimismo nei confronti del mondo moderno e delle cose di questo mondo, convinto che, in fondo, tutto finisse col volgersi al meglio e al bene. 

A questo proposito non possiamo impedirci di ricordare che questo ottimismo del Papa non ha certo prodotto grandi frutti, e soprattutto non ha prodotto i frutti “buoni” da lui supposti come inevitabili. 
Peraltro, non è possibile scambiare l’ottimismo di Papa Giovanni XXIII per bonomia, poiché è risaputo che fosse un Pastore attento e intelligente; il suo ottimismo non si limitava ad una sorta di semplice stato d’animo, ma scaturiva dalle sue profonde convinzioni. 
Da questo punto di vista, considerate le gravi conseguenze pastorali e dottrinali che si sono prodotte nel postconcilio sulla base della controversa impostazione del Concilio, non si può negare che Papa Giovanni non abbia fatto nulla per prevenirle. 
Tutti i Padri conciliari sapevano della piega che si intendeva dare al Concilio, e il Papa conosceva bene gli scopi del modernisti. Per tutti valga l’esempio della lingua liturgica e del canto gregoriano: Giovanni XXIII aveva voluto la Veterum Sapientia per ribadire l’importanza e l’obbligo dell’uso della lingua latina; e l’aveva voluta proprio per contrastare l’intendimento di quegli stessi Vescovi che all’apertura del Concilio rifiutarono gli schemi preparati dalla Curia romana e vollero che si rivedesse tutto da cima a fondo. 
Quando questi Vescovi dimostrarono in che direzione volessero condurre il Concilio, Giovanni XXIII non li contrastò, e in questo caso non si può certo parlare dell’ottimismo del Papa, né della sua bontà o arrendevolezza, quanto piuttosto della sua disponibilità in favore di quello stesso modernismo che era già stato condannato dai suoi predecessori.
Peraltro, è risaputo che Giovanni XXIII sposava felicemente e consapevolmente il suo ottimismo con l’ottimismo laico e progressista, tanto che dai suoi discorsi traspare chiaramente una sorta di identità tra le due cose. 
Piú volte ebbe modo di riprovare quella che lui chiamava “visione catastrofica”, e cioè quella visione secondo la quale il mondo corre veloce verso la perdizione, e di esaltare quella visione del mondo, tutta moderna, che vede nel progresso umano e nell’avvenire terreno ogni sorta di cosa buona e bella.

CC

 
 
 

Breve appunto sul caso Mortara

Edgardo Mortara, nato nel 1851 da famiglia ebrea, a Bologna, nello Stato Pontificio, venne battezzato in punto morte dalla domestica di casa, cattolica, che serviva la famiglia ebrea in contrasto con la legge dello Stato che la ospitava, legge che proibiva agli Ebrei di tenere a servizio dei cattolici. 
In effetti una tale legge, mentre ribadiva la bimillenaria separazione tra ebrei e cristiani, proprio a partire dal rifiuto che gli Ebrei continuano a manifestare nei confronti del Figlio di Dio, nostro Signore Gesú Cristo, preservava le stesse famiglie ebraiche dalla inevitabile influenza cristiana che i domestici avrebbero potuto esercitare sia nei confronti degli adulti, sia, e soprattutto, nei confronti dei bambini.
Nel caso Mortara si verificò proprio una eventualità del genere. 
Il piccolo Edgardo stava per morire, i medici lo avevano licenziato, la domestica si fece scrupolo di farlo morire in grazia di Dio: e lo battezzò nascostamente. Convinta di aver agito per il bene dell’anima del piccolo innocente. Ma il piccolo Edgardo sopravvisse, senza che si possa affermare con certezza che questo sia accaduto in forza del battesimo cristiano ricevuto. Quando si profilò una situazione simile per un altro dei figli dei Mortara, la stessa domestica non volle dare séguito alle sollecitazioni di un’amica che la sollecitava a battezzare anche lui. L’amica si rivolse alla Curia Arcivescovile e il battesimo di Edgardo Mortara, finora tenuto nascosto, divenne di dominio pubblico.
I nemici della Chiesa, a incominciare dal mefitico conte di Cavour, diedero vita ad una colossale speculazione mondiale, riuscendo a mobilitare molte altolocate famiglie ebree, soprattutto inglesi e americane, notoriamente al servizio degli interessi dell’imperialismo inglese.
Il Pontefice Pio IX si venne a trovare in una situazione difficile: nonostante i problemi sollevati dal caso, non poteva permettere, da supremo Pastore della Chiesa, che un essere entrato a far parte della Chiesa col battesimo di Cristo venisse ancora cresciuto ed educato come un ebreo.
Dopo aver valutato i rischi e l’opportunità, il beato Pio IX scelse di tenere fermi i principi cristiani e di affrontare le critiche e le conseguenze politiche. 
Edgardo Mortara venne trasferito a Roma e affidato ai Canonici del Laterano, ove venne educato e crebbe sotto la protezione del beato Pio IX, che provvide in tutto al suo mantenimento.
Edgardo Mortara, a 17 anni, avrebbe potuto scegliere di ritornare in famiglia e di rifiutare la protezione della Santa Chiesa, decise invece di diventare un ministro di Cristo. 
Quando Roma venne invasa dalle truppe piemontesi, che avevano ordine di recuperarlo per offrirlo al mondo come simbolo delle loro guerre di “liberazione”, egli preferí fuggire e, in Francia, venne ordinato sacerdote nel 1893. Assunse allora il nome di Pio, in onore del beato Pio IX che lo aveva aiutato a rimanere un fedele discepolo del Signore Gesú. 
Da allora spese tutta la sua vita a predicare il Vangelo di Cristo, rivolgendosi soprattutto agli Ebrei, e morí cristianamente in Belgio nel 1940.

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(12/2000)


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