In memoriam del 
Rev. Don Giuseppe Maria Pace



 
 
 
 

Euge, serve bone et fidelis, intra in gaudium Domini tui
(Bravo, servo buono e fedele, entra nel gàudio del tuo Signore)

Siamo rimasti soli.
Nella emblematica notte fra il giorno di Ognissanti ed il giorno dei Defunti, verso le due del mattino, è andato in Paradiso Don Giuseppe Maria Pace, l’ultimo campione intrepido della vecchia guardia, serenamente e fermissimamente sempre fedele alla Santa Messa della Tradizione.
Per 35 difficili anni postconciliari ci è stato donato da Dio come modello di sacerdote dalla vita santa, di teologo senza asprezza dalla dottrina vasta e ortodossa, di confessore misericordioso col peccatore e intransigente col peccato, di anima innamorata della Santa Messa e di Dio.
È giusto che, pur nel nostro dolore, ci rallegriamo con lui nel momento in cui è stato chiamato a ricevere il meritato premio della buona battaglia.
È doveroso che adesso, dopo esserci tante volte appoggiati a lui, siamo noi a continuarla, consapevoli della nostra inadeguatezza al suo confronto, ma confidenti nella sua intercessione e nel suo aiuto dal cielo.
Che da là tenga una mano su Inter Multiplices Una Vox.

GLG



È noto a tutti che don Pace non celebrò mai la S. Messa col nuovo rito, ma si attenne sempre, con santa tenacia, alla plurisecolare S. Messa Tridentina.
Per questa sua esemplare fedeltà subì persecuzioni, ostracismo, isolamento, esilio.

Riflettendo su ciò, al doloroso annuncio del suo decesso mi parve che sarebbe stato un gesto di rispetto, di delicatezza che le sue esequie fossero celebrate con quel rito che tanto amò e per il quale tanto sofferse.
Telefonai, dunque, al Superiore Provinciale dei Salesiani, tal don Testa,  proponendogli che la S. Messa esequiale fosse celebrata in latino col rito tridentino.
Non so se sia stata maggiore la mia ingenuità o la mia dabbenaggine.
Ne ebbi un diniego brusco e sbrigativo, che, a posteriori, non mi sorprende affatto: sarebbe stato troppo attendersi, in tale sede, un gesto di affetto, di delicatezza,  di autentica Carità.

Impegni di lavoro mi impedirono di partecipare al rito,  ma ho partecipato alla S. Messa di trigesima,  celebrata il 3 dicembre nella chiesa parrocchiale di Caselette.
Con gli alpini.  Non ho nulla contro gli alpini,  anzi! Ma, forse, si sarebbe potuto celebrare la S. Messa per gli alpini disgiuntamente da quella in suffragio di don Pace.
Di tale Messa c’è poco da dire.  Malgrado le buone parole di elogio e di commemorazione del defunto, dette dal Parroco, la Messa è stata celebrata sul solito banchetto del mercato (che ha sostituito ovunque il vero altare con tabernacolo), con lí indigesto condimento delle consuete canzonette (“il Signore porterà la giustizia su una nuova terra”, diceva più o meno un ritornello: non la verità o la salvezza, la giustizia!). 
Meno male che nessuno,  dico nessuno,  dei fedeli le cantava, salvo il coretto dei collaborazionisti. Gente semplice, a Caselette,  ma ancora attenta al decoro e al buon gusto.
Di rigore la Comunione in mano,  che con spietato lavaggio del cervello i preti inculcano agli adolescenti (se chiedi loro perché il Papa non dia mai la Comunione in mano, si imbestialiscono e ti danno del lefebvriano! Soltanto un Parroco, qualche mese fa, mi ha confessato che lui vorrebbe insegnare ai bambini a non riceverla in mano, ma non lo fa… per paura! Nella Chiesa postconciliare la Carità risplende! Anche don Pace ne fece esperienza diretta).
Povero don Pace!  Speriamo che dal Paradiso non abbia visto le celebrazioni in suo suffragio. Quella Messa che mai accettò da vivo,  gli è stata imposta da morto.

Lisandro


(12/2000)


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