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Il parroco che ha abolito il Concilio
Articolo tratto da Il Giornale, 17 gennaio 2001, p. 19
La porta si apre su quella che ha tutta l’aria di essere una legnaia,
un deposito oppure una vecchia cantina. E invece è la casa, anzi
la canonica della chiesa parrocchiale di Fontanaradina, frazione di
Sessa Aurunca, 170 abitanti e un pugno di vecchie abitazioni abbarbicate
sui monti del casertano.
Questo prete che vive davvero in povertà («non ho nulla, l’unica mia ricchezza è dentro al Tabernacolo»), dal 1° febbraio 2000, di punto in bianco, ha iniziato a celebrare le Messe domenicali nelle sue tre parrocchie secondo l’antico rito tridentino rimasto in vigore fino al Concilio Vaticano II. Messale di San Pio V, preghiere rigorosamente in latino, spalle ai fedeli, canti gregoriani. Padre Louis ha scritto tre lettere ai suoi fedeli, per chiarire la sua decisione. Ha spiegato che all’origine c’è la mancanza di rispetto verso l’Eucarestia che caratterizza, a suo dire, il nuovo rito: «Oggi i frammenti consacrati vengono profanati, le briciole cadono per terra e sono calpestate. E poi il sacerdote non si purifica più le mani, oppure se le lava, ma butta l’acqua… Tutto ciò fa pensare a una donna che butta il suo concepimento nelle immondizie. Chi fa così, o non crede più che ogni frammento sia Gesù Cristo intero, ed è quindi eretico. Oppure ci crede, e allora è sacrilego». Don Demornex ha preso la sua clamorosa decisione anche per una questione «caratteriale»: «Non ce la faccio a dire Messa rivolto al popolo - dice - mi distraggo, non riesco a mantenere il raccoglimento. E poi il rito tridentino non è stato mai abolito: Giovanni Paolo II ha concesso un indulto, permettendolo. Nei giorni feriali, quando i fedeli si contano sulle dita di una mano, io lo usavo già da tempo. Ora ho cominciato a celebrare così anche la domenica». Per tre mesi non accade nulla. Anche se nelle chiese di Fontanaradina,
Corigliano e Aulpi l’orologio sembra essere tornato indietro di trent’anni,
la frequenza alla Messa domenicale rimane alta. Qualche parrocchiano protesta,
qualche altro va a Messa altrove. Alcuni, però, cominciano ad arrivare
dai comuni limitrofi. Poi, lo scorso 6 maggio, un sabato, il vescovo di
Sessa Aurunca, Antonio Napolitano, interviene. Com’era prevedibile. Fa
scendere il corpulento sacerdote dalla montagna per consegnargli una lettera,
nella quale lo accusa di svolgere la sua azione pastorale in «modo
arretrato e arcaico». «Ho saputo - scrive il vescovo - che
lei si discosta palesemente dalle disposizioni liturgiche vigenti»
e celebra «l’Eucarestia voltando le spalle al popolo di Dio, contravvenendo
alla Costituzione apostolica di Paolo VI con la quale si promulga il messale
riformato a norma del Concilio». Conclusione: «La invito a
rivedere il suo comportamento e magari anche l’inserimento nella diocesi
di Sessa Aurunca… Altrimenti è libero di scegliere altre diocesi
che meglio soddisfino le sue idee». Un chiaro invito a cambiare strada,
oppure a fare le valigie. Nonostante la carenza di preti, la disciplina
è disciplina.
Nonostante l’affetto dei fedeli, l’«antiquato» padre Demornex è deciso a lasciare le sue tre parrocchie. Le manifestazioni del popolo lo sorprendono, ma non gli fanno cambiare idea: «Io ho sempre cercato di fare la volontà di Dio, non quella della gente. E il Vangelo insegna: la folla che oggi ti acclama con le palme domani può gridare “crocifiggilo”». Se ne va a Napoli, in casa di amici, e scrive il suo congedo al vescovo: «Ho commesso l’errore imperdonabile di farmi amare e stimare per motivi pre-conciliari». Ma i fedeli insistono, organizzano proteste davanti alla curia di Sessa Aurunca, chiedono udienza al vescovo. Monsignor Napolitano dice loro: «Io non l’ho mandato via». Così, dopo appena otto giorni di «esilio» e tante suppliche dei parrocchiani, il sacerdote ritorna. E continua, da allora, a celebrare indisturbato la Messa tridentina. «Ho educato i giovani a seguirla e lo fanno volentieri - spiega don Louis -. Per me l’importante non è il rito antico, ma il suo contenuto. Con la Messa di San Pio V era la Chiesa che celebrava in te. La nuova Messa, invece, non è mai esistita, perché ognuno la celebra a modo suo, con creatività, introducendo variazioni». Negli occhi chiari del gigante con la tonaca c’è una grande serenità, nonostante la polmonite che lo affligge. Si commuove mentre fa il cicerone nella piccola chiesa, mostrando le reliquie di Santa Teresina del Bambin Gesù e di San Pio X che ornano l’altare. Ha lo sguardo di un bambino a cui hanno appena regalato tutti i giocattoli del mondo. «Da quando ho ricominciato a dire la vecchia Messa sono ringiovanito. Ora sono in attesa delle decisioni del mio vescovo. In marzo ci sarà la visita pastorale, poi vedremo. Forse dovrò lasciare la parrocchia… Ma, per favore, non dica che sono un seguace di monsignor Lefébvre, perché non è vero. Io non appartengo a un partito. Sono e voglio essere, per grazia di Dio, soltanto un cattolico». Tra le carte che don Louis ha appoggiato sul tavolo della piccola cucina
dai muri scrostati, c’è una missiva di solidarietà che arriva
dal Vaticano. È del cardinale Joseph Ratzinger, il Prefetto della
Congregazione per la Dottrina della Fede, che nella sua autobiografia (La
mia vita, San Paolo editore, 1997) afferma: «Sono convinto
che la crisi ecclesiale in cui oggi ci troviamo dipende in gran parte dal
crollo della liturgia… La riforma liturgica ha prodotto danni estremamente
gravi per la fede». Il parroco, che ora è seduto davanti
a un piatto fumante di minestra di lenticchie appena scodellata per l’ospite
e per sé, non vuol parlare di questa lettera. Poi, dopo aver resistito
a lungo all’insistenza del cronista, ammette: «Sì, ho scritto
al cardinale per raccontargli la mia storia e i motivi che mi hanno spinto
a celebrare col vecchio messale. E lui mi ha risposto».
Andrea Tornielli
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