UN NUOVO DISASTROSO DOCUMENTO DELLA CHIESA
 

CHARTA  OECUMENICA 
LINEE GIUDA PER LA CRESCITA DELLA COLLABORAZIONE TRA LE CHIESE IN EUROPA

Strasburgo, 22 aprile 2001


Infatti: Chiunque invocherà il nome del Signore sarà salvato.
Ma come potranno invocarlo senza prima aver creduto in Lui?
Rm, 10, 13-14

 

Tra gli innumerevoli documenti che vengono continuamente proposti ai fedeli dalla frenetica attività di centinaia di commissioni, convegni, conferenze, ecc., càpita che alcuni, per lo specifico argomento trattato, si impongano all’attenzione in modo particolare. 
È questo il caso dell’ultimo parto di quella sezione della Gerarchia che si occupa di “ecumenismo”: la Charta Oecumenica del 22 aprile 2001.

Al di là delle tante implicazioni che essa comporta, e a cui accenneremo in séguito, la prima cosa che salta all’occhio è l’estrema difficoltà di considerare questa “Charta” come un documento firmato dalla Chiesa. 
Leggere questo documento e leggere una qualsiasi dichiarazione di un gruppo politico o di un qualsivoglia gruppo di opinione: è tutt’uno. Sembra di trovarsi in presenza di una serie di buoni propositi elaborati da uno delle migliaia di gruppi “progressisti e impegnati” che sono sorti, vissuti e morti nel corso dell’ultimo secolo e mezzo. 
La prima impressione fa venire in mente che ancora oggi, dopo quasi un quarantennio di nuove esperienze e di sperimentazioni politico-sociali, la Gerarchia si muova con un sostanziale “provincialismo”, inseguendo impostazioni mentali che appartengono al passato remoto della stessa società civile piú “illuminata”. 
Una sorta di “passatismo” impegnato in una moda “retrò” che certo non fa onore all’intelligenza dei credenti.

Non possiamo qui esaminare nei particolari tutto il documento, ci limiteremo quindi a toccarne i punti salienti: avendo cura di non impegnarci in discussioni teologiche, ma di misurarne il significato alla luce del buon senso del semplice fedele cattolico. 
Non bisogna tuttavia dimenticare che si tratta sempre di un documento ufficiale sottoscritto dalla Chiesa, e come tale ognuno ha il dovere di confrontarlo con gli insegnamenti che la stessa Chiesa ha sempre proposto ai fedeli in termini di dottrina e di morale.

Nell’introduzione si afferma che 

tutte le Chiese” si impegnano “con il Vangelo per la dignità della persona umana, creata ad immagine di Dio, a contribuire insieme come Chiese alla riconciliazione dei popoli e delle culture.”
Si badi che si tratterebbe di “tutte le Chiese”, cioè di tutte quelle strutture piú o meno interamente umane che nel corso dell’ultimo mezzo millennio si sono diffuse in Europa sulla base delle istanze piú diverse: dall’odio per l’Autorità Apostolica all’insofferenza per ogni disciplina divina, dal bisogno di anarchia individuale alla necessità di affermazione e di successo personale.
Che poi tutte queste “Chiese” abbiano sempre fatto riferimento al Vangelo solo nominalmente e secondo le piú diverse personalissime libere interpretazioni, è cosa che la Chiesa cattolica fa finta di ignorare. 
L’istanza primaria è “contribuire alla riconciliazione dei popoli e delle culture”.

Sarà il caso di ricordare che se in Europa le cose stanno come stanno, è perché, già dal 1300, si diede vita alla demolizione di quella sia pur fragile unità “di popoli e di culture” che fu la Cristianità. Addebitando a quest’ultima ogni sorta di responsabilità dei mali dovuti invece alla virulenza dell’individualismo che non si era mai arreso all’educazione cristiana. 
Assolutismo politico provinciale e nazionale, umanesimo, rinascimento, riforma, crepuscolarismo, imperialismo, illuminismo, rivoluzione, capitalismo, anarchia, comunismo, socialismo, edonismo, razzismo, nazismo, guerre, prevaricazioni, consumismo, lassismo, mondialismo, egemonismo: questi sono stati e sono i figli sorti dall’odio contro la Cristianità e la Religione di Dio. 
E la moderna cultura europea, che abbiamo esportato ed imposto a tutti i popoli del mondo, è la summa di tutto questo, ed è sulla base di essa che si vorrebbe ricucire oggi l’unità di popoli e culture.
Il fatto poi che le moderne “Chiese”, intendano “contribuire” a tale disegno: significa che tutte riconoscono ad ognuna di esse una autorità basata su sé stessa, ponendo la Chiesa sullo stesso piano di ogni qualsivoglia parto della volontà meramente umana.
Non una parola sul bisogno impellente di subordinare ogni aspetto della vita civile all’insegnamento divino, non una parola sulla primaria necessità di insegnare agli uomini moderni che senza lo sguardo rivolto a Dio non può viversi alcuna dignità umana, né può costruirsi niente di buono e di serio, ma solo ipocrisia, malvagità, dolore e morte.

All’inizio troviamo il richiamo ad un passo del Vangelo di San Giovanni, nel quale il Signore Gesú prega il Padre perché tutti i suoi discepoli siano una cosa sola, “come tu, Padre, sei in me ed io in te”. E la citazione è posta in riferimento a tutte le “Chiese” firmatarie del documento, dando per scontato che esse sarebbero l’equivalente dei discepoli di Cristo.
Noi siamo convinti che la “ricchezza pluralista” di tutte queste chiese non abbia niente a che vedere con il discepolato di nostro Signore, come peraltro si evince dalla lettura dello stesso documento.
Ma senza volerci addentrare in questioni di dottrina, secondo le quali moltissime di queste “Chiese” dovrebbero essere allontanate da un incontro che vede riuniti i discepoli di Cristo, vogliamo far notare la spettacolare contraddizione in base alla quale degli organismi religiosi si dovrebbero prefiggere di “annunciare insieme” il messaggio del Vangelo nella piena consapevolezza che non riescono ad “annunciarlo” neanche tra loro, poiché tra loro non v’è alcuna concordanza nell’apprenderlo e nel confessarlo.

Al primo punto viene ricordato che la Chiesa è “una” (come si recita nel Credo), ma viene subito spiegato che questa “unicità” non significa quello che si è ritenuto essere per duemila anni, ma significa “unità”. Ora, per quanto possa apparire a prima vista come un sofisma: è certo che il termine “unità” non è identico al termine “unicità”; e questo anche in base alla semplice logica. Senza contare che il termine “unità” ha una valenza essenzialmente quantitativa, mentre il termine “unicità” ha una valenza essenzialmente qualitativa.
In ciò si rivela chiaramente la perniciosa influenza che la concezione moderna del mondo e dell’uomo continua ad esercitare sugli uomini di chiesa, concezione secondo la quale ciò che piú conta è il numero e la quantità, ciò che piú conta è la semplice sommatoria delle individualità, che vanno salvaguardate singolarmente e collettivamente dopo aver assegnato loro un supposto valore proprio sulla base della loro mera esistenza.

È evidente a tutti che, in questo modo, non si confessa piú la Chiesa “una, santa, cattolica, apostolica”, come pretenderebbe lo stesso documento, ma semplicemente l’unità delle chiese, considerata come fattore primario anche in presenza di molteplici “individualità religiose” in palese e dichiarato disaccordo tra loro circa il vero fondamento del Cristianesimo.
San Paolo ricordava che: se Cristo non fosse risorto la nostra predicazione e la nostra fede sarebbero vane (Cf. Corinti, I, 15, 12-19). Orbene, non vi sono neanche due di queste “Chiese” ad essere d’accordo sulla resurrezione del Signore, ergo: la loro predicazione e la loro fede sono vane. Non lo diciamo noi, ma lo stesso documento: 
"Differenze essenziali sul piano della fede impediscono ancora l’unità visibile.  Sussistono concezioni differenti soprattutto a proposito della Chiesa e della sua unità, dei sacramenti e dei ministeri.”
Ciò nonostante, queste stesse “Chiese”, che in pratica non sono d’accordo su nulla, si impegnano a raggiungere “una comprensione comune del messaggio salvifico di Cristo”.
Cosa significa? 
Significa che non essendo d’accordo sul significato unico del vero insegnamento del Signore, decidono di trovarne un altro che scaturisca dalla “comprensione comune”, cioè dalla comprensione mediata dall’incontro di tutte le diversità. Il che, tradotto in parole povere, significa che non trovandosi d’accordo sull’unica verità, decidono di accordarsi sul compendio delle menzogne e degli errori, realizzando cosí l’istanza primaria di una mal compresa unità, anche a costo della negazione dell’insegnamento del Signore sull’unicità della sua venuta e del suo insegnamento.
Ne derivano due impegni, tra i quali la “condivisione eucaristica”: cioè l’accettazione reciproca dell’elemento fondante del culto cristiano esattamente per come ognuno lo intende, e indipendentemente da ciò che esso è realmente. Mettendo cosí da parte ogni considerazione circa la differenza abissale che separa un discepolo di Cristo che crede nel Santo Sacrificio della Messa, da un sedicente cristiano convinto che la Santa Messa sia una semplice ricorrenza inventata dagli Evangelisti per soddisfare l’esigenza “mitica” di quei retrogradi dei nostri padri.

Al secondo punto si precisa che 

Il compito più importante delle Chiese in Europa è quello di annunciare insieme il Vangelo attraverso la parola e l’azione, per la salvezza di tutti gli esseri umani.
Ecco qual è la cosa piú importante. È meno importante quindi che si annunci il vero e unico Vangelo di Cristo, poiché, dice il documento, il semplice fatto di annunciarlo “insieme”, e quindi indipendentemente da ciò che si “annuncia” veramente,  è già indice della fedeltà al Signore.
Se vivessimo in un mondo normale, ordinato secondo la Tradizione, a nessuno verrebbe in mente di affermare una simile sconsideratezza; e se la Chiesa postconciliare non avesse subíto la pesante e sconvolgente influenza del mondo e dei suggerimenti del Principe di questo mondo, non si sognerebbe neanche di affermare che la cosa piú importante è annunciare  il Vangelo insieme a gente che non ci crede e che di esso si è fatta un’idea tutta propria e solo umana, ad uso e consumo dei propri convincimenti filosofici e sociologici.

Tant’è vero questo che si prosegue dicendo: 

Al tempo stesso è importante che l’intero popolo di Dio si impegni a diffondere insieme l’Evangelo all’interno dello spazio pubblico della società, ed a conferirgli valore e credibilità anche attraverso l’impegno sociale e l’assunzione di responsabilità nel politico.
Certo che è una stoltezza, ma è ancor piú una bestemmia, una offesa a Dio, operata chiaramente in una condizione di oscuramento e indurimento delle menti e dei cuori.
Secondo questi moderni sedicenti discepoli di Cristo, se il “popolo di Dio” non è principalmente composto da assistenti sociali e soggetti politici, il Vangelo non ha alcun valore e nessuna credibilità.
Fino a qualche anno fa si insegnava che il Vangelo ha valore ed è credibile (anzi è obbligatorio crederci) solo perché è Parola di Dio; alla luce di questo documento apprendiamo invece che Dio e la sua Parola non valgono niente se il cristiano non è principalmente un sindacalista o un militante politico.

Come si realizza tutto questo? Riconoscendo “che ogni essere umano può scegliere, liberamente e secondo coscienza, la propria appartenenza religiosa ed ecclesiale”. 
Cioè riconoscendo, innanzi tutto, che ognuno è libero di darsi la religione che vuole e di appartenere a qualsivoglia chiesa.
 

Al punto 3, conseguentemente e coerentemente, si dichiara che è necessario 

rielaborare insieme la storia delle Chiese cristiane”. 
Confessando che quanto è stato ritenuto vero per molti secoli non è piú idoneo alla moderna pratica dell’“intrapresa” religiosa. 
Oggi è necessario “rielaborare” tutto, in modo da poter giustificare tutto. 
Poco importa il rispetto della verità storica, ciò che piú conta è la funzionalità storica: se la storia non venisse rivista e riscritta in maniera funzionale, cioè in maniera che faccia comodo alle istanze ed ai convincimenti moderni, oggi non si potrebbe fare alcun discorso “ecumenico”. E siccome l’“ecumenismo” è cosa ben piú importante di qualunque verità, è chiaro per tutti che se si vuole centrare l’obiettivo è necessario riscrivere la storia.
Non a caso abbiamo parlato di passatismo. Questi strani contorcimenti mentali erano di moda piú di un secolo fa, e sono stati già abbandonati da molti pensatori financo sovversivi, proprio per la loro palese stupidità; ma le “Chiese” si compiacciono invece di riesumarli, stoltamente convinte cosí di potersi presentare agli occhi del mondo come dei diligenti discepoli, come i primi della classe.

E sono proprio convinte, queste chiese, perché proseguono affermando che la 

credibilità della testimonianza cristiana” ha subíto nocumento dalle “divisioni”, dalle “inimicizie” e “addirittura dagli scontri bellici”
Detto con altre parole, questo significa che quando la Chiesa ha condannato gli errori, le eresie e le bestemmie ha nuociuto alla “credibilità della testimonianza cristiana”, e quindi avrebbe dovuto se non condividere gli errori, quanto meno dichiararli compatibili con l’insegnamento di Cristo. E quando i propugnatori e i diffusori degli errori, delle eresie e delle bestemmie, si sono opposti a mano armata alle condanne della Chiesa, questa, in nome della “credibilità della testimonianza cristiana”, avrebbe dovuto lasciarsi vincere ed abbattere, avrebbe dovuto lasciarsi debellare, magari dichiarando allora, come adesso, di essere lei in errore: con grande profitto per l’edificazione dei fedeli, la trasmissione della fede e la fedeltà all’insegnamento del Signore.

E si continua dicendo che 

E’ importante riconoscere i doni spirituali delle diverse tradizioni cristiane, imparare gli uni dagli altri e accogliere i doni gli uni degli altri.” 
Esattamente come si parla in politica. 
Qual è il fine? L’“ecumenismo”. Quindi: bando alle ciance, bisogna perseguirlo e raggiungerlo, a tutti i costi, anche a costo della verità.
Quando poi si fa caso che la Chiesa cattolica è una di queste “Chiese”, e quindi una di quelle che deve riconoscere i “doni” spirituali degli altri, che deve “imparare” dagli altri, che deve “accogliere i doni” degli altri: viene subito da pensare che per duemila anni il magistero cattolico sia stato formulato invano, che esso abbia solo un valore relativo, subordinato ai doni e agli insegnamenti degli altri, cosí che risulti inutile, se non addirittura dannoso, continuare ad affidarsi ad esso, a quello passato e a quello presente. E soprattutto bisogna diffidare fortemente del magistero attuale, sia perché pretende di richiamarsi, “sbagliando”, all’insegnamento tradizionale della Chiesa, sia perché è dichiaratamente un “insegnamento di parte”, e come tale manchevole senza l’apporto dei doni altrui.
Se si voleva far perdere la fede ai cattolici, bisogna riconoscere che si è individuato il mezzo piú idoneo.

E per realizzare tutto questo, le 

Chiese” si impegnano a “superare l’autosufficienza e a mettere da parte i pregiudizi”, nonché a “promuovere l’apertura ecumenica e la collaborazione nel campo dell’educazione cristiana, nella formazione teologica iniziale e permanente, come pure nell’ambito della ricerca.
In altre parole, la Chiesa postconciliare si impegna a demolire il Magistero cattolico e a condividere la strana idea che ogni accusa di eresia è un volgare pregiudizio.
Cosí che ogni cattolico, prima di credere o meno alla Chiesa, sarà bene che si vada a leggere tutti i trattati di filosofia protestante! 
Che vada a scuola dagli eretici di Berlino e dai blasfemi d’Olanda, prima di arrogarsi il diritto di farsi chiamare discepolo di Cristo! 

È come se la nuova Chiesa cattolica, alla domanda: “Cosa debbo fare per essere un buon cattolico?”, rispondesse: 

prendi un pizzico di indissolubilità del matrimonio, aggiungilo a due etti di divorzio, impasta il tutto con un cucchiaino di castità sacerdotale e due manciate di preti sposati, forma un amàlgama di morbida consistenza bagnando ogni tanto l’impasto col liquido dell’esegesi testuale; a parte prepara una salsa con due etti di libero esame, un etto di magistero triturato finemente,  due cucchiaiate di aborto e una manciata di eutanasia, lascia rosolare il tutto in un tegame dove hai fatto scaldare prima dell’olio ecumenico, quanto basta. Riduci in dadini l’impasto preparato e fallo cuocere a fuoco lento in questa salsa per circa trentatré minuti, avendo cura di rimescolare ogni tanto perché non si bruci. Servi il tutto su un piatto di portata dai mille colori, per dare un tono alla presentazione, guarnisci con corpose fette di impegno sociale e di sacerdozio femminile, cospargendo il tutto con un delicato velo che dia la parvenza di insegnamento tradizionale. 
La prelibata pietanza va ingerita tutta d’un fiato, per evitare che invece di ingozzarsi e lasciarci le penne dell’anima, il fedele  finisca con l’assaporarla e col rigettarla per la repulsione che súscita.

Infine, i cattolici sono avvertiti: se non bastasse l’ibrido della collaborazione nel campo dell’educazione cristiana e della formazione teologica, c’è sempre lo sbocco della ricerca. Con la ricerca si salva tutto: tanto non è importante conoscere la verità che ci è stata rivelata e insegnata, ma è essenziale ricercarla, continuamente, instancabilmente, fino alla fine, non fidandosi della persuasione occulta di duemila anni di oppressione culturale della Chiesa, e avendo cura di non sapere minimamente che cosa essa sia in realtà.

Al punto 4, ovviamente, dopo quanto detto nei punti precedenti, si dice che bisogna operare insieme per 

difendere i diritti delle minoranze e ad aiutare a sgombrare il campo da equivoci e pregiudizi tra le chiese maggioritarie e minoritarie nei nostri paesi”.
Furbamente il documento non precisa il senso di queste supposte “chiese minoritarie”, poiché è tacito che, potendosi ognuno di noi fare una chiesa per conto suo, come è avvenuto per tutte quelle diverse dalla Chiesa cattolica, non è giusto che accada che un domani la chiesa che ho pensato di inventarmi venga criticata e rifiutata sulla base di equivoci e pregiudizi, solo perché è “minoritaria”.
Senza commento.

Il punto 5, in cui si parla di “Pregare insieme”, è logicamente (nella logica del documento) subordinato all’aver prima “operato insieme”. 
E come si deve pregare insieme? Lasciando 

che lo Spirito Santo operi in noi ed attraverso di noi. In forza della grazia in tal modo ricevuta…”.
Ma, di grazia, come si pensa di poter conciliare questo atteggiamento di abbandono all’influenza della Grazia divina con quanto detto fin qui, e cioè con l’attivismo a tutti i costi predicato prima? 
Se lo Spirito Santo agisse in noi indipendentemente dalla nostra disposizione a riceverne l’influenza, ogni discorso fatto fin qui sarebbe vano, poiché non si tratterebbe neanche di operare e di pregare, tanto sarebbe Lui a decidere e ad agire. Ma invece lo Spirito Santo opera in noi, in termini attuali, solo quando noi ci siamo sufficientemente aperti e predisposti a riceverlo e a viverne l’influenza; e anche a voler tralasciare per ipotesi lo stesso insegnamento del Signore che ci raccomanda di raccoglierci per pregare, anche il piú semplice buonsenso suggerisce che per far questo è necessario il distacco dalle distrazioni del mondo. 
Altro che impegno sociale e politico! 
In forza della grazia in tal modo ricevuta…”. 
Ma  da quanto in qua si può supporre che si possa ricevere la Grazia, per il semplice fatto di aver pregato con chiunque, fosse anche un sedicente cristiano, senza che ci sia il preventivo assenso alla vera fede? Sarebbe come dire che un miscredente, per il semplice fatto di pregare a modo suo, vedrebbe agire in sé lo Spirito Santo. 
Sostenere una simile possibilità significa non credere affatto nello Spirito Santo. 
Il Signore ha detto che il Padre esaudirà ogni preghiera che Gli rivolgeremo nel Suo Nome, non ogni preghiera tout court. 
Ed ha promesso lo Spirito Santo non a tutti, ma solo ai suoi discepoli, che comprenderanno allora chiaramente tutto ciò che Egli ha loro insegnato. 
Il che significa che lo Spirito Santo opera solo in coloro che sono veri discepoli di Cristo, non in maniera indiscriminata e automatica in tutti coloro che semplicemente pregano indipendentemente dal fatto che credano o no nell’insegnamento del Signore.
Che poi oggi, col Concilio Vaticano II, si sia tanto equivocato fino a sostenere che la Grazia di Dio sia presente ovunque, senza che la Chiesa possa comprendere la vera portata di questa possibilità, è cosa risaputa; come è risaputo che, di conseguenza, la crisi della fede assottiglia sempre piú il numero dei fedeli e amplia sempre piú il numero degli eretici tra i sacerdoti e i teologi.

Sulla base di questi presupposti, i firmatari si impegnano 

ad imparare a conoscere e ad apprezzare le celebrazioni e le altre forme di vita spirituale delle altre chiese”.
Tutto alla pari, dunque. 
Il Santo Sacrificio della Messa officiato da un sacerdote cattolico, ordinato da un legittimo successore degli Apostoli, sarebbe la stessa cosa di un incontro conviviale tra persone che si riuniscono sotto la presidenza di una qualsiasi tra loro, e questo per il semplice fatto che costoro recitano ancora il Padre Nostro, si dicono cristiani e chiamano “pastore” il loro predicatore e presidente laico. 
L’ordinazione episcopale di un Vescovo cattolico effettuata da altri Vescovi secondo il rituale insegnato dagli Apostoli, sarebbe la stessa cosa dell’investitura tutta umana di un tizio che ha studiato ed ha una buona parlantina, da parte di altri tizii che si sono inventati da soli tale investitura.
Roba da non credere; e da non credere piú veramente neanche all’insegnamento della Gerarchia. 
Per dire queste cose non era affatto necessaria l’Incarnazione del Figlio di Dio, l’insegnamento degli Apostoli, le migliaia di Martiri, di Santi e di Dottori e duemila anni di vita della Chiesa. Queste assurdità erano bellamente e convintamente praticate già prima della venuta del Signore, ed Egli è venuto proprio per vincerle con la Sua Parola e col Suo Sacrificio. 
Oggi sembra che siamo tornati al paganesimo!
Attenti però, perché il Signore non verrà piú ad insegnare, ma ultimamente verrà per giudicare! 
Guai ai miscredenti e agli apòstati!

Al punto 6, il documento ricorda che 

esistono anche contrasti sulla dottrina, sulle questioni etiche e sulle norme di diritto ecclesiastico”, ma súbito precisa che “Senza unità nella fede non esiste piena comunione ecclesiale.”, e afferma lapidariamente: 
Non c’è alcuna alternativa al dialogo.
Si ribadisce, quindi, che i contrasti sulla dottrina sono cosa secondaria, perché “non c’è alcuna alternativa al dialogo”. 
Come no?! L’alternativa c’è ed è il Vangelo, il Vangelo di nostro Signore, letto, interpretato e insegnato dalla Chiesa, per l’edificazione dei fedeli e per la salvezza delle loro ànime. 

Cosa diversa è la possibilità di mettere a punto certe “espressioni” della fede, date le inevitabili differenze tra gli uomini e i tempi in cui essi vivono, ma non per questo può parlarsi di ricerca del “dialogo sui temi controversi, in particolare su questioni di fede e di etica sulle quali incombe il rischio della divisione, e a dibattere insieme tali problemi alla luce del Vangelo.”, poiché questo significherebbe mettere in discussione la fede stessa; e a nulla valgono le giustificazioni circa la necessità dell’unità dei cristiani, poiché la fede di ogni fedele, di ogni peccatore per il quale Cristo si è immolato sulla Croce, non si fonda sull’unità dei cristiani, ma sull’adesione all’insegnamento di Cristo: chi crederà sarà salvato, chi non crederà sarà condannato.

L’errore che si commette ha la sua radice in un pregiudizio tutto moderno, praticato nel mondo laico perfino con una certa voluta strumentalità; quello stesso pregiudizio che nel documento viene indicato come fosse un valore accertato: “Esiste una pluralità che è dono e arricchimento”.
Pluralità di che cosa? Di niente. Ai giorni nostri è la pluralità in sé stessa ad essere considerata come un valore: è questo il pregiudizio moderno che fonda la supponenza dei filosofi, dei pensatori e dei politici. Una pluralità che addirittura viene ipocritamente esaltata solo in teoria, poiché in pratica essa è rispettata e tutelata alla sola condizione che si “uniformi” alla complessiva visione del mondo che vuole tutti uguali nel pensare e nel sentire. 
Una delle tante contraddizioni del mondo moderno.
Eppure, il documento non sembra far caso a questa contraddizione, e questa è cosa molto grave in un documento firmato dalla Chiesa. Non si può prescindere dal fatto concreto che tale pluralità che si pretende sia “dono e arricchimento”, in realtà è composta da errori, eresie, orgoglio, blasfemie, offese a Dio. 
E se non è questo il caso della Chiesa cattolica, lo è certamente per le altre cosiddette “Chiese”, che sono tali e tante proprio in forza del loro volersi diversificare sulla base della pretesa che ogni singolo individuo è legge a sé stesso, ed ha quindi tutto il diritto di interpretare le Sacre Scritture secondo il suo punto di vista.
Questo la Gerarchia lo sa, ma fa finta di niente, si schermisce, minimizza, perché, dopo il Concilio Vaticano II, il valore supremo è l’apparente “unità”, la pace del mondo, il benessere su questa terra, il piacere del vivere: mentre il peregrinare in questa valle di lacrime, il dolore per il peccato, il fuggire le occasioni prossime al peccato, lo sguardo vigile sulle insidie del mondo, la vita vissuta la salvezza dell’ànima, sono tutte cose che appartengono ad un passato morto e sepolto, sul quale si stende addirittura un velo pietoso in quanto legato alle “colpe del passato”.

E queste cose le sostiene lo stesso documento, nel successivo punto 7

Sul fondamento della nostra fede cristiana ci impegniamo per un’Europa umana e sociale, in cui si facciano valere i diritti umani ed i valori basilari della pace, della giustizia, della libertà, della tolleranza, della partecipazione e della solidarietà. Insistiamo sul rispetto per la vita, sul valore del matrimonio e della famiglia, sull’opzione prioritaria per i poveri, sulla disponibilità al perdono ed in ogni caso sulla misericordia.
Un “ecumenismo”, quindi, finalizzato alla realizzazione delle medesime aspettative di un qualunque gruppo impegnato socialmente e politicamente.
Certo, non v’è nulla di male nel perseguire degli obiettivi come quelli qui enunciati, ma se la Chiesa e le sue pretese “ecumeniche” si fondano su questi elementi: a che serve la Chiesa? Non ne abbiamo già troppi di “organismi internazionali” che si occupano di tutto e provvedono a tutto per il bene di tutti, con i risultati che sono sotto gli occhi di tutti?
È da tre secoli che si raccontano queste leggende ai piccoli e ai grandi, e, a memoria storica, mai il mondo ha vissuto secoli di cosí totale brutalità, di cosí pesanti prevaricazioni, di cosí diffusa ingiustizia, di cosí incontrastata intolleranza, di cosí schiacciante schiavitú materiale e morale. Poco importa che la maggior parte degli uomini del mondo moderno creda che tutto vada bene, anzi, è proprio questa diffusa sensazione che recita a favore dell’esistenza della schiavitú piú insidiosa e subdola, perché la piú inavvertita e la meglio camuffata. E i primi a doversi accorgere che è in atto il piú insidioso inganno escogitato dal Principe di questo mondo, dovrebbero essere proprio gli uomini di chiesa. Ma purtroppo questi, ormai da piú di trent’anni, sono troppo indaffarati a convocare congressi, a promuovere la distruzione di tutto il patrimonio della Cristianità, a rincorrere il mondo nella sua folle corsa verso il nulla, a fare i primi della classe tra i laici e i miscredenti: per accorgersi che nostro Signore, già duemila anni fa, ci aveva avvisato della futilità e del pericolo di tutto questo.
Chi sono i falsi cristi e i falsi profeti, se non coloro che predicano il bene del mondo gabellandolo per il bene delle ànime?


E si impegnano, queste “chiese”, a far valere il loro punto di vista in forza di quella che chiamano la loro “responsabilità sociale”. Ora, se la cura delle ànime oggi è divenuta “responsabilità sociale” lasciamo ai lettori le facili conclusioni.

Al punto 8, il documento dichiara che 

Noi consideriamo come una ricchezza dell’Europa la molteplicità delle tradizioni regionali, nazionali, culturali e religiose.
Ora, che l’Europa non conosca piú alcun tipo di unità culturale e religiosa, ormai da cinque secoli, è certamente un fatto, ma affermare che oggi ci troviamo di fronte a molteplici “tradizioni” ci sembra quantomeno improprio. 
È evidente che in molte parti d’Europa si vivono delle “dissociazioni” e non delle “tradizioni”, poiché solo cinque secoli fa certuni hanno preferito abbandonare la religione dei padri per darsi a forme differenziate di culto in palese e voluta rottura con la Tradizione.
La molteplicità delle tradizioni “culturali”, poi, non è altro che una sommatoria di residui folklorostici. 
Piuttosto si dovrebbe dire che da cinque secoli una parte dell’Europa ha abbandonato la Tradizione cristiana e si è inventata una concezione della vita e del mondo che guarda al cristianesimo come ad un fattore di impedimento, e a Dio come ad un illustre sconosciuto. E si è fatto di tutto, guerre e distruzioni comprese, per affermare questa concezione del mondo nell’Europa intera, e in tutto il pianeta. Cosí che, in maniera piú appropriata, si può dire che oggi in Europa vive una “tradizione dell’antitradizione”, che il documento dichiara essere una ricchezza.

In forza di questa sua analisi del tutto inesatta, il documento dichiara che: 

I nostri sforzi comuni sono diretti alla valutazione ed alla risoluzione dei problemi politici e sociali nello spirito del Vangelo.”, 
confermando che l’impegno di queste “Chiese” non ha in vista la salvezza delle ànime, quanto il benessere materiale degli individui. Benessere che peraltro è visto in chiave tutta moderna, con la prevalente preoccupazione per l’uguaglianza, la democrazia, la giustizia sociale, la disoccupazione, l’immigrazione.

Tra le tante curiosità impregnate di luoghi comuni, salta poi all’occhio il fatto che il documento sposa convintamente la moda ormai obsoleta del femminismo: 

Ci impegniamo a migliorare e a rafforzare la condizione e la parità di diritti delle donne in tutte le sfere della vita e a promuovere la giusta comunione tra donne e uomini in seno alla Chiesa e alla società.
Condizione della donna, parità di diritti, giusta comunione. 
Tutte espressioni che per molti versi sono prive di contenuto e che sono state utilizzate da anni a scopo sovversivo da tutto il mondo cosiddetto “laico”. Gli uomini di chiesa non sembrano accorgersi del grande inganno col quale sono stati conficcati nella mentalità corrente i presupposti per la distruzione della famiglia e della Religione. 
Peraltro, oggi che ormai quest’opera di distruzione è stata portata quasi a compimento, sono gli stessi laici ad avere accantonato espressioni del genere. 
Ma dal documento traspare l’intenzione di voler portare anche nel seno della Chiesa questa distruzione: poiché non si comprende bene che cosa possa significare l’espressione “promuovere la giusta comunione tra donne e uomini in seno alla Chiesa”. 
Vero è che essa può significare tutto oppure niente, ma come non paventare il rischio che nella pratica essa significhi solo “di tutto”?

Con un crescendo di declamazioni socio-politiche, al punto 9 l’ecologismo diviene “salvaguardia del creato”, cosí che gli uomini di chiesa sembrano reinventarsi quella “cura del creato” a cui purtroppo aveva già rinunciato Adamo col suo peccato originale. Vero è che molti ormai non credono piú al peccato originale, ma avere la pretesa di prendersi cura del “Giardino” come dei novelli adami appena creati ci sembra eccessivo perfino per dei modernisti.
La verità è che si continuano ad inseguire le opinioni correnti del mondo, con l’affanno di mostrarsi i primi della classe e con la speranza, peraltro spesso delusa, di raccogliere qualche plauso dal mondo.
L’abuso delle risorse naturali è sicuramente un problema serio, ma esso è solo un effetto di cause ben piú complesse, e solo la loro rimozione, se possibile, potrebbe annullare tale effetto. E queste cause non stanno dalla parte della irresponsabilità nei confronti del creato, che certo l’uomo moderno considera solo come una dispensa da cui attingere in maniera indiscriminata, ma sono strettamente connesse alla precisa e determinata volontà di disconoscere ogni primazia e ogni paternità di Dio, a favore della primazia dell’uomo.
Sono molti ad aver dimenticato che l’ecologismo moderno è il figlio primogenito del naturalismo, e a non accorgersi che l’aver inventato le “organizzazioni ambientali delle chiese”, come le chiama il documento, equivale a portare acqua al mulino degli adoratori della natura.

Dal naturalismo, si passa poi, al punto 10, all’amore per l’archeologia: 

Una speciale comunione ci lega al popolo d’Israele, con il quale Dio ha stipulato una eterna alleanza.
Ma non si dice chi è questo popolo di Israele, lasciando intendere che per il semplice fatto che ci sia della gente che ancora oggi si fa chiamare ebraica, debba scattare per essa una speciale considerazione: lo stesso rispetto dovuto al popolo di Dio che esce dall’Egitto e va incontro alla Terra Promessa in ossequio ai comandi divini.
Forse siamo tornati indietro di tremila anni? No. È solo che ancora imperversa gioioso quel nefasto archeologismo che, con la scusa del ritorno all’antico, ha inteso giustificare tutte le piú discutibili e assurde innovazioni dettate dalle tendenze del mondo moderno.
Non si era detto, e non ci è stato insegnato per millenni, che dopo la venuta del Signore Gesú il vero popolo di Israele è il popolo cristiano? 
Vuoi vedere che nel frattempo sia sopraggiunto un qualche novello profeta sfuggito alla nostra attenzione?
Ma il documento cita San Paolo, ove dice che: gli ebrei “sono amati (da Dio), a causa dei Padri, perché i doni e la chiamata di Dio sono irrevocabili!” (Rm 11, 28-29); e posseggono “l’adozione a figli, la gloria, le alleanze, la legislazione, il culto, le promesse, i patriarchi; da essi proviene Cristo secondo la carne…” (Rm 9, 4-5).
Non è certo questa la sede per presentare tutte le considerazioni relative agli Ebrei espresse da San Paolo in questa Lettera ai Romani e nelle altre lettere apostoliche, 
ma non possiamo evitare di citare  l’inizio dello stesso versetto 28 richiamato dal documento: “Quanto al Vangelo essi [gli ebrei] sono nemici, per vostro vantaggio, ma quanto alla elezione, essi sono amati…”.
Citare San Paolo in maniera volutamente monca è quanto meno scorretto, e per degli uomini di chiesa è cosa avvilente e deplorevole. San Paolo ha semplicemente insegnato che il vero popolo di Israele, il popolo che verrà salvato, è il popolo che ha riconosciuto il Signore Gesú come Figlio di Dio e ha creduto nella sua Resurrezione. Tutti gli altri Ebrei sono dei rami recisi da Dio per la loro infedeltà, e la promessa di Dio che è irrevocabile è solo relativa a quei rami recisi che, non perseverando nella disubbidienza, potranno essere reinnestati dall’Onnipotenza divina.
 
Lo stesso dícasi per la seconda citazione, ci si dimentica di dire che San Paolo scrive intere pagine di condanna per gli Ebrei che si rifiutano di riconoscere Gesú come il loro Signore e Salvatore; e nel seguente versetto 6 dello stesso capitolo 9, dice: “Tuttavia… non tutti i discendenti di Israele sono Israele, né per il fatto di essere discendenza di Abramo, sono tutti suoi figli.”.
E potremmo continuare per un intero libro. Ma quello che piú interessa è far notare il deplorevole uso delle citazioni scritturali a beneficio di tesi preconcette lontane dall’insegnamento della Chiesa, per di piú offerte ai fedeli come insegnamento divino. Lo stesso metodo usato dai protestanti per giustificare il loro rifiuto dell’Autorità Apostolica e degli insegnamenti della Tradizione cristiana.
Non v’è alcun dubbio che siano da deplorare le manifestazioni di antisemitismo e le persecuzioni, come dice il documento, ma da qui a chiedere perdono a Dio e il “dono” della riconciliazione  con gli uomini e le donne ebree, c’è un abisso. 
E si commette una gravissima colpa quando si sostiene che 
E’ urgente e necessario far prendere coscienza, nell’annuncio e nell’insegnamento, nella dottrina e nella vita delle nostre Chiese, del profondo legame esistente tra la fede cristiana e l’ebraismo e sostenere la collaborazione tra cristiani ed ebrei.”
Non vi è alcun “profondo legame” tra la fede cristiana e l’ebraismo (ammesso che esista ancora), poiché non v’è alcuna comune misura tra chi crede in Gesú Cristo e chi non vi crede, tant’è che sta scritto: Chi crede sarà salvato, chi non crede sarà condannato. Ed è questo che in una miriade di pagine insegna San Paolo, non quello che vorrebbe farci credere l’equivoco documento in questione.
Che poi, come dice sempre il documento, si possa collaborare tra cristiani ed ebrei, si tratta di tutt’altra faccenda, di tipo esclusivamente umano, cosí da essere esclusa a priori ogni possibile confusione sul piano religioso; in relazione al quale gli ebrei rimasti tali fino ad oggi sono sempre coloro che rifiutano la nuova Alleanza sancita dal Sacrificio e dalla Resurrezione del Signore Gesú, e, come dice San Paolo, oggetti di attenzione da parte della Chiesa solo per la cura della loro conversione. 
Ogni altro discorso, non solo è di per sé equivoco e fautore di confusione e disorientamento per i fedeli, ma è soprattutto una manifesta dimostrazione di orgoglio e di disubbidienza nei confronti degli insegnamenti di nostro Signore Gesú Cristo.

Come poi ci si muova su un piano prevalentemente intriso di ipocrisia, lo dimostra il successivo richiamo alle relazioni con l’Islam, oggetto del punto 11
Da sempre sono esistiti e continueranno ad esistere le “relazioni” con l’Islam, cosí come è avvenuto con l’Ebraismo, ma questo non ha mai significato e non potrà mai significare che si tratti di “relazioni” religiose. 
Rifugiarsi dietro la scusa della fede nel Dio unico, significa insegnare ai fedeli cattolici che, in fondo, farsi musulmani non è poi cosí male. Forse che non si continua a ripetere che ognuno dev’essere libero di abbracciare la religione che vuole? 
Sembra proprio che il compito di questi uomini di chiesa consista innanzi tutto nella demolizione della Chiesa cattolica. 
Il Signore renderà loro secondo i loro meriti.

Ma vi è una espressione che colpisce, in questa parte del documento: 

Raccomandiamo in particolare di riflettere insieme sul tema della fede nel Dio unico e di chiarire la comprensione dei diritti umani.
Quel “chiarire la comprensione dei diritti umani” è rivelatrice di una riserva mentale che, d’un sol colpo, demolisce tutto il buonismo di cui è intriso il documento.
Nei fatti, il discorso che si fa è il seguente: Cari musulmani, ricordatevi che alla fin fine crediamo tutti nel Dio unico, quindi non vi è poi molta differenza tra noi e voi, basta riflettere insieme. Però sarà bene che abbandoniate tutte le vostre pretese particolari circa i costumi, la morale e la concezione del mondo, che pretendete addirittura fondati sulla parola di Dio. Suvvia, queste sono cose da medioevo, ingenuità che noi stessi abbiamo ormai superato, oggi quello che conta è la carta dei diritti umani, che noi Europei, insieme agli illuminati fratelli Americani, abbiamo elaborato dopo secoli di maturazione e di sforzi di comprensione della vera parola di Dio. Fidatevi, questo è il meglio per voi: che non siate piú musulmani e diveniate uomini moderni, come noi, che tanto bene abbiamo fatto per il mondo e per voi, noi che non siamo piú cristiani e siamo diventati uomini moderni.

Dopo essersi pacificato con gli ebrei e con i musulmani, il documento, al conclusivo punto 12, si apre a tutte le altre “religioni” del mondo.
Ora, pur nella insignificanza della genericità delle dichiarazioni presentate, vi è un punto che lascia allibiti. 

Vogliamo prendere sul serio le questioni critiche che ci vengono rivolte, e sforzarci di instaurare un confronto leale.”, dice il documento. 
Caspita! dopo 2000 anni, finalmente, la Chiesa cattolica ha trovato la soluzione di tutti i suoi problemi! 
Porsi all’ascolto delle critiche dei miscredenti, prenderle sul serio e instaurare un confronto leale; magari per mettere a punto, una volta per tutte, il vero insegnamento di nostro Signore Gesú Cristo, liberandolo dai fronzoli e dagli errori degli Apostoli, dei Martiri, dei Padri, dei Santi e dei Dottori, i quali, poverini, non sapevano niente del mondo moderno e delle sue esigenze “ecumeniche”, e credevano ingenuamente che bastasse mettersi all’ascolto della Parola di Dio, sottomettersi ai suoi comandamenti e seguire gli insegnamenti dei Padri.

In cambio, queste “Chiese”, si impegnano a riconoscere la trita e ritrita libertà religiosa a tutti, dovunque e comunque, 

nel rispetto del diritto vigente”.
Quale diritto? 
Forse quello sancito dal Codice di Diritto Canonico? 
Dio ce ne scansi e líberi! 
Non sia mai! 
È roba da medioevo! 
Il diritto sancito dalle “Chiese” firmatarie?
Impossibile, perché non esiste neanche.
Quale diritto, allora? 
Ma quello laico, ovviamente; quello stabilito dal mondo senza religione e senza Dio; quello stesso che, tra molte altre cose deplorevoli, incoraggia l’aborto, il divorzio, l’eutanasia, che tutela ogni forma di libera espressione dei propri vizii, che protegge e incoraggia ogni propaganda atea e ogni concezione antireligiosa.

Chiunque può rendersi conto dell’estremo pericolo rappresentato da documenti come questo. 
Crediamo di non sbagliarci di tanto nel prevedere che, continuando cosí, tra qualche tempo si passerà “gioiosamente” ed “ecumenicamente”, dalla Chiesa una, santa, cattolica, apostolica, al “parlamento delle religioni”, e senza neppure doversi inventare un nuovo “pantheon”: abbiamo già l’ONU, che súbito riconoscerà questo nuovo ONG (organismo non governativo) come benemerito e salutare, lo sosterrà, lo finanzierà, e lo renderà obbligatorio “urbi et orbi”, pena il deferimento a qualche “corte internazionale di giustizia”. E cosí sarà la fine di tutto.

Quanto diventa sempre piú difficile continuare a sopportare le stranezze e le deviazioni dell’attuale  Gerarchia della Chiesa cattolica!

Che il Signore ascolti le nostre preghiere, e per intercessione della beata sempre Vergine Maria, Madre di Dio, illumini le menti dei nostri Pastori e preservi la sua Santa Chiesa e i suoi fedeli dagli errori degli uomini di chiesa.

Belvecchio

 

(aprile 2002)


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