LA LUCE DEL PENSIERO ETERNO DELLA TRADIZIONE

NEL CAOS ATTUALE


LA CHIESA RIBALTATA

di Enrico Maria Radaelli – ed. Gondolin 2014

(parte seconda)

alla parte prima


di L. P.







D – Dopo le tre carrellate sugli aspetti di ampia e varia tematica, in questa estesa quarta parte l’autore si sofferma sui primi nove mesi – la gestazione (?!) – di magistero di papa Bergoglio, sullo stile mediatico con cui egli gestisce il rapporto pastorale col  mondo prima e poi con la cattolicità.
All’operazione “finestre aperte”, che tanto ricorda quelle analoghe di papa Roncalli attraverso cui doveva, col Concilio, entrare aria fresca nella Chiesa, egli affianca quella delle “finestre chiuse” – e sbatacchiate - collaudando un doppio magistero.
Da una parte: interviste private e pubbliche, telefonate, lettere, tweet con cui si svincola dai “canoni e dalle briglie dell’ufficialità” (168) delineando la fisionomia di una Chiesa populista, democratica; dall’altra: atti di governo, direttive, nomine strategiche con cui stringe lo spazio a quanti – come il cardinal prefetto G. Müller - possano configurarsi quali oppositori  al suo progetto rivoluzionario.
  
Tre sono i manifesti topici ed eminenti di questa pastorale manichea che Radaelli mette sotto lente d’osservazione: l’intervista a Civiltà Cattolica (169-196), l’intervista al “papa” E. Scalfari (197-218) e l’Esortazione apostolica Evangelii Gaudium (219-251).
Riuscire a dar conto dell’intera indagine teologica, semantica ed estetica che Radaelli compie con puntualità e ferrea logica, è “impresa da non pigliare a gabbo” (Inf. XXXII, 7) tanta è la difficoltà di riassumerla congruamente. D’altra parte se è da convenire col poeta che  “Non omnia possumus omnes” (Buc. 8, 63) - non possiamo far tutto - il lettore, pertanto, e l’autore soprattutto, ci concedano venia e comprensione perché, a dire il vero, sarebbe da riportate, di ogni commento, parola per parola. Impossibile.

1 -  Civiltà Cattolica: in questo documento Radaelli esamina quattro argomenti di tipica pastorale bergogliana che tanta pubblicità, clamore ed entusiasmo hanno destato sulla stampa specialmente laica, e cioè:
a -    Avere Cristo al centro
b -    La Chiesa come ospedale da campo
c -    La Chiesa e i feriti sociali
d -    La Chiesa e i “restaurazionisti”.
Una bella matassa da sbrogliare ché già, in siffatti titoli, si intravvede una nota eversiva e bugiarda: una Chiesa preconciliare statica, ferma ed esclusiva a cui è necessario opporre una Chiesa ribaltata in senso moderno, dinamica cioè, una Chiesa a passeggio col mondo, che porti Cristo al mondo diversa da una Chiesa che portò il mondo a Cristo.
 
a - Che vuol dire “avere Cristo al centro”? Forse, si domanda l’autore, il solo messaggio della misericordia tacendo della giustizia divina di cui Radaelli elenca una serie di esempî incontestabili?
Forse avere il Cristo antropologico-storico e non il Cristo-Dogma?
Forse che avere Cristo al centro vuol dire avere qualcos’altro in periferia? Domanda non oziosa perché siffatta pastorale del Cristo al centro, secondo Radaelli, tende a «venire incontro a quelle che vengono chiamate dai novatori “le esigenze dell’uomo moderno”, ossia come si disse, per semplice e umana, umanissima benignità, come si vedrà, verso le nuove frontiere tutte carnali della morale» (173). Osservazione profetica dacché risuona proprio in questi giorni, dal Sinodo Straordinario – ottobre 2014 – l’impegno ecclesiale a salvare l’uomo moderno e non l’uomo in quanto tale e di ogni tempo, adattando Cristo e la sua Legge alle frontiere umane, come detto sopra, tutte carnali.
 
b -  “La Chiesa come ospedale da campo”: come se la Chiesa – commenta Radaelli – non sia mai stata considerata, per la sua immensa misericordia amministrata nei milioni dei suoi confessionali, un immenso ospedale sui campi dell’evangelizzazione. Ma la scossa di questa affermazione bergogliana sta “nel dipingerla come un fragile, incerto, transeunte ospedale da campo, per giunta dopo una battaglia”, sta nel presentarla in un quadro di sconquasso e di disordine (174) ignorando, aggiungiamo noi, che ospedale da campo è il mondo già da quando Adamo peccò mentre la Chiesa si può affermare essere la farmacia ove trovare i rimedî alla malattia. 
Ma la Santa Chiesa è soprattutto “Madre e Maestra”, cittadella fortificata, custode della Verità seduta sul Trono di Pietro, “Vicario del Pantocratore che, seduto, invia e raccoglie, manda e riceve, vero Padre di vicini e lontani, nella fermezza seduta (perché pacifica e benevolente: se fosse alzata sarebbe irata e combattente) di quella Maestà seduta, vicaria della seduta Maestà divina dell’Essere” (175).
 
c -  “La Chiesa e i feriti sociali”? No, perché, come sottolinea Radaelli, essi, per via di una scelta scellerata sul versante del male, sono da definire “feriti individuali” e perciò “bisognerebbe dire che invece, piuttosto, essi più che feriti sociali, o povere vittime, sono in realtà “oppressori sociali”  e questa è la loro vera identità, perché la loro condotta peccaminosa lede con sempre maggiore virulenza, sfacciataggine e prepotenza la società e la famiglia che ne è il nucleo fondativo e inalienabile, addirittura pretendendo che le leggi civili, cioè promulgate per incivilire e dunque sempre più migliorare la società, siano piegate ai loro peccati” (180).
Ne son prova le tante attenzioni messe in atto per sodomiti, miscredenti, pagani e ne è prova la stolida sollecitudine della Gerarchìa che a costoro non chiede ravvedimento e penitenza ma, addirittura, come ci annunciano i bandi del Sinodo, offre libero salvacondotto col riconoscere, nel loro stato di peccato, un che di santificante e di positivo, smentendo volontariamente San Paolo (Rom. 1, 26/27 – I Cor. 5, 9/13 e 6, 8/10).
Fa, pertanto, bene Radaelli a riportare l’infelice e dannosa osservazione laddove il papa riporta l’esperienza di una donna “ con alle spalle un matrimonio fallito nel quale ha pure abortito, ma ora è risposata e serena con cinque figli. Cosa fa il confessore?”. A commento, l’autore rileva che il peccato di aborto può essere perdonato ma non lo stato permanente di adulterio in cui tale donna persiste. (187).

d – “La Chiesa e i restaurazionisti”. Riportiamo pochi cenni di questa lunga disamina con cui Radaelli svela l’ambiguità della pastorale bergogliana.
Primo: “La visione della dottrina della Chiesa come un monolite da difendere senza sfumature è errata”. Qui il pontefice entra in contrasto violento ed irridente con tutta la Tradizione e con tutto il Magistero dei suoi predecessori i quali, specialmente nei Concilî veri, con l’assistenza dello Spirito Santo, hanno dato compattezza, solidità ed immutabilità alla dottrina ecclesiale. Invece, “è proprio così: il monolite Chiesa è la pietra d’angolo”  fondata su Cristo-Dogma.
Secondo: Radaelli, nel seguito della sua ricognizione, osserva come proprio il Dogma-Cristo sia il bersaglio del modernismo papale che intende adeguare alle esigenze umane sicché, la pastorale che deve scaturire dalla dogmatica e ad essa obbedire, diventa, per eversione, principio primo della prassi sulla teologìa.
Ė la stessa condanna dei cosiddetti “profeti di sventura” di roncalliana memoria che, ora, papa Bergoglio commina ai cosiddetti “tradizionalisti” – che Radaelli, opportunamente definisce “Tradizionisti”-  prova esibendo l’accanimento inquisitoriale contro i Frati Francescani dell’Immacolata, e contro teologi e prelati di ortodossa fede.
  
2 -  La non-intervista di papa Bergoglio a papa Scalfari: l’autore  compie la sua ricognizione su questa infelice intervista che, per le universali contestazioni e proteste suscitate, è stata cancellata dal sito vaticano.
Diamo brevemente la sequenza delle aberranti affermazioni che il papa, consapevolmente e con un tocco di reverenza – o rispetto umano? - per l’ospite, è riuscito – assente, ovviamente, lo Spirito Santo – a formulare come vero e proprio esercizio di magistero:
1) “Il più  grave problema che la Chiesa ha di fronte a sé è la disoccupazione giovanile e la solitudine dei vecchi” con l’evidente preminenza delle cose di quaggiù rispetto a quelle di lassù (201);
2) “Ciascuno ha una sua idea del bene e del male”, con il  palese accantonamento del divino Decalogo;
3) “Aprire alla cultura moderna” cioè, dice Radaelli, al flusso inquinato e maleodorante del moderno nichilismo; 
4) “Non esiste un Dio cattolico. Esiste Dio”  con inevitabile cancellazione della SS.ma Trinità annegata nel deliquescente pus  deista/giacobino, sincretista/massonico.
Distanza più abissale non si potrebbe. Ė la distanza tra la Realtà e il nulla.  Ma parrebbe quasi che invece qui il ‘diversamente Papa’ aneli  a trovare un punto di saldatura, una santa convergenza con il monolitico ateo, malgrado fino ad appena prima avesse rigettato ogni intenzione di proselitismo (una sciocchezza!), ma si può pensare che ciò sia dovuto all’irrefrenabile desiderio dei discepoli della ‘teologia dell’incontro’ di incontrarsi appunto invece con tutti, specie con quelli che con ogni evidenza la pensano tutto all’opposto. Ecco perché alla fine dell’intervista, il papa Scalfari, riferendosi vittorioso al suo augusto Interlocutore, come visto concluderà: ‘Se la Chiesa diventerà come lui pensa e la vuole sarà cambiata un’epoca’ ” (219).
Ma, come abbiamo detto, l’intervista sarà, dopo due mesi di visibilità mediatica, cancellata dal sito vaticano.

3 – Evangelii Gaudium: l’autore nota come il Papa, dopo aver parlato per 20 pagine di tensione, di annuncio, di evangelizzazione, di missione “l’onda d’urto perde tutta la sua forza e ci troviamo davanti a un’Esortazione di più di duecento pagine percorse dal linguaggio narrativo vaticansecondista di sempre, in cui concettualmente non succede nulla di decisivo…” (220).
Papa Bergoglio, come già si disse per la Lumen Fidei, replica l’uso del pronome io sottoscrivendo un documento di 5 capitoli frazionati in 288 punti per 252 pagine (Ed. San Paolo, 2013). Vi si nota la sua predilezione per la prassi a detrimento dell’affermazione del Dogma su cui la Chiesa, invece, deve investire.
Egli vuol essere un “papa in uscita” coerente all’idea della Chiesa quale ospedale da campo e perciò la esorta a “cambiare passo” (222) quasi che la Katholica sia stata, nel corso bimillenario della sua storia, ferma o torpida. Con questo suo voler essere diversamente papa egli si pone in contrapposizione con tutti i suoi predecessori fino a Pio XII incluso.
   
Afferma quanto già detto a Civiltà Cattolica: la dottrina non è un monolite senza sfumature, vale a dire che il Dogma è evolutivo, variegato, adeguato allo spirito del tempo,  sicché il Cristo/Dogma, che è sempre stato, tra l’altro, adorato con l’ausilio di un’arte preziosa, naufraga nel  neopauperismo di questo diversamente papa, che noi – ci permetta l’autore – definiamo di  linfa catara. Egli si lascia confondere “dalle suggestioni falsificatorie insinuate dal liberalismo: dottrine, consuetudini, norme, rigidità e poi concetti riferiti a esse quali Chiesa dogana. . .” (223).
L’autore, allora, da pag. 225 a pag 233, si sofferma con ricchezza di riferimenti oggettivi e di riflessioni acute e con ammirazione, sulla cosiddetta RIZA, lo splendore dell’oro e dell’argento che campisce e decora le icone ortodosse nell’aura di mistica adorazione di Colui che è Dogma, quasi stabilendo un’analogia Dogma/Icona.
E vien, per contro, da pensare alla rivoluzione liturgica conciliare che ha, ad esempio, dislocato il Santissimo Sacramento a latere collocando al centro del tempio il celebrante.
Severa si fa, quindi, la disamina di Radaelli sulle conseguenze di questa rivoluzione che induce papa Bergoglio a smentire gli stessi santi Padri, Ambrogio e Cirillo. Alla penitenza e purificazione proclamata dai due santi, quale passaggio per accedere alla Comunione, fa da contraltare la caramellosa misericordia di Bergoglio che sembra avallare una autogiustificazione di tipo luterano con cui il “ferito”, tale essendo, non necessita del confessore. (238).
E contro un ecumenismo a prescindere che sospinge il Papa a scrivere nel suo E. G., a proposito della valenza soteriologica dei due monoteismi «secchi», come li definisce l’autore (246), Ebraismo talmudico e Islam, che : “ «Non possiamo considerare l’Ebraismo come una religione estranea» (n. 247), Radaelli lo ritiene atto adulatorio: “per compiacenza confondendo come sempre il santo Ebraismo Mosaico precorritore di nostro Signore con l’errante Ebraismo talmudico figlio di coloro che riuscirono ad accusare nostro Signore  di millanteria e poi a  inchiodarlo  sulla Croce” (248) così come ancora a proposito degli islamici (n. 252): “che professano  di avere la fede di Abramo, adorano con noi un Dio unico, misericordioso, che giudicherà gli uomini nel giorno finale” (248). Raccordo perfetto con Assisi ‘86/2011.
  
Ecco, la conclusione di questo documento: ribadire il concilio e i suoi Nostra Aetate, Dignitatis humanae, Lumen Gentium e Gaudium et Spes inserendo la Chiesa di Cristo, la vera ed unica, nel minestrone della massonica “chiesa universale dell’uomo” di cui è testimonianza - ricordiamolo – l’atto di omaggio reso dal “beato” (!) Paolo VI quando,  il 4 ottobre del 1965 (festa di san Francesco), in visita all’ONU, sostò in preghiera nella troncopiramidale “meditation room”  - l’accolta del più smaccato simbolismo  gnostico/sincretista - davanti a un parallelepipedo monolitico di magnetite blu.

E – in questa parte ultima l’autore, quasi operando un riepilogo delle precedenti riflessioni, svolge una seria ed inquietante analisi del famoso passo paolino riferito al “Katechon” (II Tess. 2, 6/7), l’argine che impedisce lo scatenamento dell’anticristo nel mondo.
Radaelli ritiene che l’abbandono del rigore giudiziale del magistero papale, la concessa legittimità del dubbio applicato alla fede, la riduzione della liturgìa a una sequenza di atti e di gesti depauperati del sacro e, soprattutto, la retrocessione della fede al traino della carità, tutto ciò ed altro, siano i segni che il Katechon sta crollando. L’apertura improvvida, totale e senza condizioni agli atei e miscredenti e il loro incistamento in scuole, seminarî e università ecclesiali  è ulteriore dimostrazione assai espressiva del progressivo e inarrestabile scivolamento del magistero verso un liberalismo massonico e borghese nato dai Lumi (261).
  
L’analisi dei precedenti documenti, –  Lumen Fidei, Civiltà Cattolica, Scalfari, E. G. – ha fornito al lettore le coordinate e gli strumenti per valutare il discorso di Radaelli credibile per ortodossìa e lucidità. Sicché non stupisce quando l’autore scrive: “Se la Chiesa (se il Papa, se il Katechon ‘che trattiene’ le forze del male), nella sua configurazione storica, si fa essa stessa partecipe, compagna, alleata del proprio nemico, partecipe dell’antico Avversario, che dire, che pensare, che figura immaginare?” (271).
Come non pensare alla parole di Cristo “Quando il Figlio dell’Uomo tornerà, troverà ancora la fede sulla terra? (271)
   
La radice, l’abisso e da cui nasce questa polverosa dottrina, stando anche agli autorevoli studî di Livi e di Gherardini (273), è l’adogmatismo, lo pseudo “linguaggio di legno” (273) -  tipico dell’iniziazione gnostico/liberista che si serve di concetti vacui, di richiami rituali privi di contorni, fumosi ma espressi come se fossero densi e di cui si serve oggi la pastorale bergogliana : accoglienza, periferie, ospedali da campo, solidarietà, cammino, incontro, popolo di Dio - che ha sostituito il “linguaggio di fuoco” proprio degli apostoli, degli evangelizzatori, degli apologeti e delle sentinelle (273).
  
Il Katechon ha principiato a cedere rovinosamente quando, nel 1969, ad opera dell’attuale “beato” Paolo VI, alla Santa Messa del Vetus Ordo, Messa di “adorazione, armonìa e  splendore” – e di silenzio, aggiungiamo noi -  è subentrata quella di “partecipazione” chiassosa che ricalca il modulo protestante dell’assemblea (280), frutto di un rapporto con gli scismatici che l’autore definisce “petting” ma che noi definiamo “prostituzione”.
Cede quando, giudicando il Signore degli eserciti e oscurando la Sua eterna Legge, esclama: “Chi sono io per giudicare un gay?” (275).
Cede quando rinuncia al suo primato, il munus che gli permette di sciogliere e legare in terra e in cielo (Mt. 16, 19/20) affidandolo a una collegialità  democratica, orizzontale.
Cede quando pone l’accento sulla “persona umana”, che l’autore definisce falso scopo (282), scalzando la centralità della Persona/Logos.
  
Il sinodo straordinario dell’ottobre 2014 – anticipa Radaelli – ha già messo in catalogo temi che, collidendo con il Vangelo e la Tradizione, sta, prima ancora di iniziare, lacerando il velo del Tempio (300).
   
Solo fortificandola con muri e torri di guardia, la vigna del Signore riprenderà a dare frutti perché non saranno porte e finestre aperte e sbatacchiate a dare vigore a una Chiesa in fase di assottigliamento.
  
Un Vaticano III? Sì, ma solo se dogmatico, con un ritorno allo stile Nicea, dove si definì l’identità di Dio a Lui sottoponendo l’uomo, quello che Paolo VI aveva invece, nel discorso all’ONU del 1965, eletto “centro dell’universo”.

ooooooooooooooooooooooooooooo

Ė stato per noi un impegno non da poco, ma istruttivo e gratificante, rendere più che distesamente al lettore lo schema e i forti contenuti del libro di Radaelli. Un lavoro, il suo, di alta, appassionata e decisa apologìa della Sposa di Cristo, la Chiesa Cattolica, di cui ha messo in evidenza gli aspetti collegati alla sua natura di divina istituzione ed anche i rischi e i pericoli che Essa vive e sperimenta ogni volta che i suoi ministri si torcono dalla retta via per inoltrarsi nel guazzabuglio umano di una selva oscura, nell’intrico di relazioni meramente contingenti, intriganti e vischiose.
La Chiesa ha sempre vissuto momenti di crisi, ab externo e ab interno come  già il Poeta aveva sottolineato quando così si esprimeva “O navicella mia, com’ mal se’ carca!” (Purg. XXXII, 129), ci sono stati papi indegni per dissolutezze e perversioni ma nessuno di questi si è mai permesso di cancellare uno iota, che fosse uno, dalla legge di Cristo. E quando è stato necessario arginare l’assalto del nemico – vedi Lutero - Essa ha provveduto con il magnifico e potente Concilio di Trento.
  
I pontefici postconciliari, figure socialmente integre ed ammirate, hanno invece osato, come tarli, corrodere dall’interno le strutture e dell’istituzione e del Dogma, i cui esempî Radaelli ha più che sufficientemente lumeggiato.
Nel momento di concludere questo nostro commento non possiamo non avvertire un senso di freddo al pensiero che, a ridosso degli esiti dell’inquietante ed inutile Sinodo – 5/19 ottobre – tanto il pontefice che taluni prelati hanno dichiarato che, seppure la maggioranza dei padri abbia respinto alcune proposte “indecenti” in tema di omosessualità e di divorzio, resta intatta la certezza che il prossimo sinodo  varerà gli adeguamenti della Dottrina Eterna alle esigenze del mondo, perché lo vuole il mondo e soprattutto perché, come papa Bergoglio ha affermato, “Dio non ha paura delle novità”.
Certamente, ma Dio non ha paura nemmeno di lui. Figuriamoci!
   
Ed allora, al piccolo gregge, a noi, non resta che mettere in atto una resistenza santa e giusta.


ottobre 2014

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