Non sopportiamo più la Croce



Editoriale di Radicati nella fede, foglio di collegamento della chiesa di Vocogno e della cappella dell’Ospedale di Domodossola (dove si celebra la S. Messa tradizionale)
anno IV - marzo 2011 n. 3

- impaginazione e neretti sono nostri -



Non c’è niente da fare, è evidente, non sopportiamo più la Croce, quella nostra e quindi nemmeno quella di Nostro Signore Gesù Cristo.

Entrare in Quaresima, vuol dire accettare di stare di fronte alla Croce.
Stare di fronte alla Croce di Nostro Signore Gesù Cristo innanzitutto, Croce di Salvezza, di Redenzione.
E di conseguenza abbracciare la nostra croce come partecipazione alla Passione redentrice del Signore.

Da tanto parliamo di protestantizzazione del Cattolicesimo, e ogni giorno constatiamo che il fenomeno è dilagante. Questo è evidente soprattutto nel rifiuto della Croce di Cristo.
Qualcuno dirà: siamo alle solite esagerazioni, non è vero, tra noi la Croce è sempre in onore. Sì, è in onore, ma come cosa di un passato ormai chiuso. Cosa  intendiamo dire? Vogliamo dire che siamo convinti che Cristo ci ha salvato
con la sua Passione e Morte di duemila anni fa ma che questo è un atto chiuso, finito, perché ora siamo nell'era della Resurrezione, della Vittoria.

Siamo convinti di essere nella fase successiva alla Croce, nell’era dei salvati, l’era dell’alleluia perenne, dove l’unica cosa da fare è essere sempre più coscienti della salvezza avvenuta.
Lutero fece la stessa cosa e, ahimè ce la insegnò: Cristo ci ha già salvati dalla Croce di duemila anni fa, e la Messa non è più sacrificio propiziatorio ma solo di lode.

È di fatto un nuovo cristianesimo, praticamente una nuova religione, che non ha più niente a che fare con il Cristianesimo di tutti i secoli passati. Il Cristianesimo della sola resurrezione, senza la Croce.

Carissimi, non si è solo tolto il Crocifisso dai nostri altari, riapparso timidamente con il Papa Benedetto XVI, lo si è voluto togliere dalla vita degli uomini, con risultati disastrosi.

Si è detto basta al “dolorismo” della Tradizione, basta parlare di rinunce, sacrificio, sofferenza: riavviciniamo la gente parlando della bellezza della vita cristiana, che dà gioia e felicità.
Si è continuato su questa linea, “camuffando” la Messa con continue riforme del rito, per evidenziare sempre di più che è il banchetto con Gesù risorto, dove mi nutro della sua Parola e del suo Corpo: del Sacrificio della Croce non si è parlato quasi più. Si è proseguito insegnando che la vita di quaggiù non è data per guadagnare il Paradiso, ma solo per prendere coscienza che Dio ti ha già salvato.

Anche la Chiesa la si vuole oggi solo così: deve dire che Dio ti ama, da perdonarti sempre, non deve più condannare il peccato, deve aggiornarsi in continuazione per adattarsi ai voleri della gente. Cosa direbbe San Pietro, che nel giorno di Pentecoste alla folla che domandava cosa fare, disse: “Pentitevi, cambiate vita e fatevi battezzare”?

Così la Croce, la sofferenza della Croce, è diventata un ingombro.

Non si dice più con chiarezza che dobbiamo portare la nostra croce in unione con quella di Nostro Signore, che dobbiamo completare in noi - come dice San Paolo - ciò che manca alla Passione di Cristo, e che così, certo, giungeremo alla Gloria del Paradiso. Morire con Cristo per risorgere con lui, lo vivi nella Messa, lo vivi
nella vita.

Tutto questo non lo si capisce più, non lo si vuole più: è in atto una ribellione di fatto. Si trasforma il cristianesimo in una religione “naturale”, fatta di qualche culto esterno, di qualche festa del paese, nella quale ci si limita ad atti esterni che difficilmente comportano un cambiamento della vita: di Sacramenti, di Confessione e Comunione, di vita in Grazia di Dio, di lotta al peccato si tace volentieri – una specie di “pro loco” della chiesa che organizza manifestazioni.
E guai a chi ti dà fastidio dicendo che bisogna ricorrere alla Grazia santificante
e conformare, con l’aiuto di Dio, la vita ai suoi comandamenti.

Un santo sacerdote, monaco e parroco di una piccola parrocchia rurale di Francia, diventata famosissima perché teatro di una delle più grandi opere di cristianizzazione degli ultimi secoli, il padre Emmanuel, così si esprimeva commosso ai suoi parrocchiani nell’ultima sua predica:
Lo spirito della Croce è una partecipazione allo spirito di Gesù Cristo che porta la Croce, vi è conficcato e vi muore. Che pensava Nostro Signore mentre trascinava la Croce e mentre spirava crocifisso? Sono dei grandi misteri: soltanto chi possiede lo spirito della Croce, comprende quei misteri.

Sono pochi i cristiani che hanno lo spirito della Croce, anzi sono rarissimi. Quando si possiede lo spirito della Croce, si vedono le cose altrimenti.

Quando si possiede lo spirito della Croce, si è pazienti, si ama la sofferenza, si compiono generosamente i sacrifici che Iddio ci chiede. Si vuole e si ama la divina volontà; si ritiene buono quanto essa esige.

I santi spesso si lagnavano con Dio perché non li faceva soffrire abbastanza; desideravano soffrire; perché? perché nel dolore assomigliavano di più a Nostro Signore.

Si racconta nella vita di santa Elisabetta, regina d'Ungheria, che, come si vide spogliata dei suoi beni, e scacciata di casa, bussò alla porta d’un convento di frati Minori per cantare un Te Deum di ringraziamento.

Quella santa possedeva lo spirito della Croce.

L'Imitazione di Cristo ci descrive lo spirito della Croce: Ama aver di meno che di più; ama meglio sottostare che dominare. Ama essere disprezzato e stimato nulla; ecco lo spirito della Croce: ma è rarissimo.

Voi non possedete abbastanza lo spirito della Croce. Ve lo posso dire perché da
molto tempo vi conosco... Ne avete meno che in passato. Appena accade qualche
cosa che vi contrista, subito dite: Mio Dio, liberatemene, liberatemene. E iniziate una novena.

Bisogna amare un po' di più la sofferenza e non implorare troppo presto Iddio, perché ce ne esima. Abbiate maggiore spirito della Croce.
Chiedetelo. Procurate di amare la Croce e la divina volontà”.

C'è da che meditare per questa Quaresima.




dicembre 2014

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