Il mistero di Betlemme



Pubblicato da Corrispondenza Romana con la seguente introduzione:
Proponiamo ai nostri lettori una meditazione sul mistero del Natale tratta da “Betlemme” (SEI, Torino 1950) una delle più note opere dell’autore spirituale inglese Frederick William Faber (1814-1863).



Il Centro di tutti i mondi

La santa Grotta illumina vaste regioni nella mente di Dio e ce le rivela con un misto di simboli e di realtà, che ci offre. Cosa ci rivela infatti la rossastra lanterna, che il vento fa oscillare tra le mani di S. Giuseppe? Il centro della santa Grotta è ancora ascoso al nostro sguardo.
Attorno al Verbo incarnato, ma non ancora comparso alla luce, si concentrano tutte le altre cose. Egli è il centro di tutti i mondi nella maggior parte invisibili. Le stesse sue creature, perfino la sua divina Mamma, in quell’istante costituiscono attorno a Lui un ostacolo, che impedisce di vederlo. Tuttavia, di tanto in tanto, Egli si manifesta come farà ora a mezzanotte, per restar questa volta visibile, benché oscuramente, per trentatré anni.
Ma anche quando il Verbo resta nascosto Egli è tuttavia l’attrattiva, l’unità, la vita, il significato, la riuscita e il sublime riposo di tutti i mondi, di cui è il centro.

D’intorno a Lui, come chiostro del santuario nel quale abita, vi sono la bellezza e la forza della santità creata, che preservano la sua ineffabile purezza dal contatto e dalla vicinanza delle comuni creature. Maria è in preghiera in mezzo alla santa Grotta.
A prima vista, non v’è nulla d’imponente e di persuasivo nella sua spirituale bellezza. Molte donne betlemite L’avevano vista passare presso le loro soglie, al pomeriggio, senz’avere notato su di Lei alcuna caratteristica, che potesse eccitare la loro ammirazione o ridestare almeno il loro interessamento.
Forse esse avevano conosciuto, da qualche caratteristica del suo atteggiamento o dal linguaggio di S. Giuseppe, ch’Ella era di Nazareth. Forse l’avevano giudicata troppo giovane per uno sposo così attempato e guardata con momentanea benevolenza per la sua condizione di prossima maternità. Ma, prescindendo da queste impressioni, non venne loro in mente di pensare alla sua ineffabile dignità; che non si accorsero di una luce, di un’estasi quasi abituale, che brillava nel suo sguardo.
Non si effondeva da Lei alcun profumo, che le avvolgesse di una celeste atmosfera. Nulla c’era in quelle donne, su cui potessero agire le attrattive dell’imponente santità di Maria.
Così avviene sempre delle cose di Dio, le quali non manifestano clamorosamente i loro diritti. Anzi, la loro eloquenza consiste nel silenzio e la bellezza nella loro misteriosa discrezione.
Le cose di Dio non brillano dinanzi agli occhi per convincere forzatamente; esse toccano il cuore, lo stemperano, lo dilatano, lo trasformano e quando l’hanno reso, in certa misura, simile a se stesse, entrano in esso e ne prendono possesso.
Esse esigono studio e questa è una loro caratteristica. La santità è la scienza, il cui studio dev’essere diretto e accompagnato dalle sue regole, dalla luce delle sue scoperte e dalla delicatezza dei suoi processi.
Quanto più una cosa è vicina a Dio, tanto maggiormente la luce che la pervade è radiosa e per conseguenza tanto più dev’essere studiata con paziente assiduità. Ne consegue che non v’è nulla, che richieda tanto studio come la sacra Umanità di Gesù e, dopo di lui, come l’eletta Madre della sua Umanità. A Gesù e a Maria si avvicina di molto la tranquilla magnificenza e grandezza della santità di S. Giuseppe.

Ecco dunque ciò che occupa il centro della santa Grotta. La Santità increata e quella creata in una sola Persona e in due nature, il Verbo incarnato; il Creatore bambino è là, ma ancora invisibile; tale è l’oggetto della nostra ammirazione, del nostro amore, della nostra riconoscenza e della nostra più assoluta adorazione. Attorno a Lui e quasi compresi nella sua luce e bellezza, vi sono due mondi di santità creata, ambedue vasti, gloriosi e impareggiabili. In uno di quei mondi Gesù stesso abitò per nove mesi e si degnò di prendere dai relativi materiali gli elementi per formare il proprio corpo e sangue creato. Egli collocò al suo fianco l’altro di quei due mondi, appena al di fuori dell’attuale mistero dell’Incarnazione, come un avamposto per propria difesa, come un satellite destinato al servizio di Se stesso e di sua Madre, come un’ombra sotto la cui protezione e salvaguardia il mistero potesse operarsi nel modo più conveniente alle divine perfezioni, come l’ombra dell’eterno Padre, che lo seguiva dall’alto dei cieli.
           
La gerarchia dell’incarnazione

Questi tre mondi formano un sistema, che si può chiamare la gerarchia dell’Incarnazione nel senso più stretto di questa parola; oppure il nucleo di questa gerarchia, se si vuoi parlar meno strettamente benché con perfetta esattezza. In questo ultimo caso, gli Apostoli, S. Giovanni Battista, gli Evangelisti e altri ancora entrano nel sistema e vi partecipano. I teologi sono abbastanza arditi nel chiamare questi tre mondi di santità con il nome di trinità terrestre; ma l’uso dei Santi e dei pii scrittori ha ormai consacrato questo linguaggio riverentemente arrischiato. Così la Grotta di Betlemme è un’imponente immagine della triplice Maestà del Cielo. Ivi le ombre divine risultano più chiaramente definite e stampate. Là sono riunite e concentrate tutte le somiglianze tra il Creatore e la creatura. Cosi la Grotta di Betlemme è il sacro coro della creazione, essendovi presente il Creatore in una natura creata.

Visione beatifica terrestre

Essa ci rappresenta una specie di visione beatifica terrestre, nella quale l’unità, le distinzioni, le relazioni e le processioni dell’Altissimo sono così meravigliosamente riprodotte, da pervadere di rapimento e di trepido amore l’anima degli spettatori. Che sono mai, in confronto, i misteri dell’armonia e della poesia, le meraviglie del firmamento, l’interessante scienza delle creazioni trascorse ed esumate dalle profonde caverne, che nascondono pietre mute e secolari; che cosa è l’interessante studio della materia così mutevole e varia dal ridursi con indefinite e sempre nuove analisi nei suoi ultimi elementi, dopo i quali il genio scopritore del chimico deluso sospetta ulteriori decomposizioni e più reconditi rifugi attualmente irraggiungibili?
Che è mai, al paragone, il gioioso stupore dell’entusiasta fisiologo il quale, con il microscopio alla mano, segue pazientemente e in silenzio il principio della vita attraverso il labirinto delle sue numerose cellule; che sono tutte queste gioie intellettuali se paragonate al godimento, che ci procura la scienza madre fiorita nel Cielo e cioè la teologia, la quale c’introduce così nell’interiore santuario della creazione e ci mostra in un fulgore di luce radiosa la trinità terrestre nella Grotta di Betlemme?




dicembre 2014

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