Ancora sul triste caso di Eluana Englaro

ovvero

“morti che parlano”

Pubblichiamo un articolo apparso sul quotidiano on-line Il Sussidiario
La notizia, ovviamente, ha una valenza giornalistica e come tale va presa per quello che è, ma dal momento che fu sull'onda dell'influenza dei mezzi di comunicazione (come oggi accade per ogni aspetto del vivere cosiddetto “civile”) che si giunse alla soppressione legalizzata della povera Eluana Englaro (RIP), or sono un anno (si veda il nostro articolo), non ci sembra affatto una leggerezza riferirci ad un'altra informazione giornalistica. Tanto più che questa informazione fa riferimento ad uno studio di medicina pubblicato su un giornale medico-scientifico americano (The New England Journal of Medicine), in cui si gettano le basi per una totale revisione “scientifica” del concetto di coma irreversibile, lo stesso che solo un anno fa servì da base per la sentenza che portò alla soppressione di Eluana, come ricorda l'Autore dell'articolo.

Dello studio in questione (Willful Modulation of Brain Activity in Disorders of Consciousness)  abbiamo inserito il collegamento attualmente al sito web.me.com/adrian.owen, in cui lo si trova in formato html e in formato pdf. Per precauzione (perché potrebbe sparire da internet) lo stesso studio, in formato pdf, è scaricabile direttamente dal nostro sito.

L'articolo è in inglese.
Pensiamo che sarebbe bello se qualche amico medico avesse la bontà e la possibilità di tradurre lo studio in italiano
(e darcene gentilmente notizia), sia per renderlo di dominio pubblico, sia per farci ben capire la sua portata, financo se risultasse problematica.
Con la “scienza” non c'è mai da fidarsi.


(i neretti sono nostri)

ELUANA/ In Belgio un imprevedibile "sì" condanna i giudici italiani


di Gianfranco Amato


lunedì 8 febbraio 2010


Un anno fa Eluana Englaro veniva messa a morte grazie ad un provvedimento della magistratura fondato, tra l’altro, su due assiomi. Il primo riguarda il fatto che la ragazza di Lecco si trovasse in uno stato di coma irreversibile (categoria scientifica inesistente), dal quale non sarebbe mai potuta uscire. Il secondo è relativo al fatto che senza una «pienezza di facoltà motorie e psichiche» quella di Eluana fosse una «vita non degna di essere vissuta», traduzione italiana del termine “lebensunwertes Leben”, coniato dai giuristi tedeschi negli anni ’30 e riecheggiato tristemente nelle aule giudiziarie del Terzo Reich.

Così, nel febbraio 2009, attraverso la carta bollata, si è spenta l’esistenza di Eluana.
Per una strana ironia della sorte, a ridosso dell’anniversario della sua morte, i fatti e la ricerca scientifica hanno sconfessato quei discutibili postulati dei giudici.
Due giovani belgi, entrambi in stato vegetativo persistente a seguito di un incidente d’auto, sono stati incaricati dal destino di sgretolare i due presupposti logici della tragica decisione sul caso Englaro.

Lo “scherzo” che hanno fatto i due belgi ai soloni togati è stato davvero beffardo. Uno dei due si è risvegliato dopo 23 anni (6 anni in più di Eluana), dimostrando ancora una volta che il cosiddetto “coma irreversibile” non esiste.
L’altro, sottoposto ad esame attraverso una nuova tecnica di risonanza magnetica, ha manifestato segni di facoltà psichica, arrivando a “dialogare”, attraverso il cervello, con i medici.
Gli scettici possono leggere l’articolo che illustra l’interessante esperimento, dal titolo Willful Modulation of Brain Activity in Disorders of Consciousness, pubblicato lo scorso 3 febbraio sul New England Journal of Medicine (10.1056/NEJMoa0905370).
In pratica, si è trattato di sottoporre il ventinovenne belga a due stimolazioni attraverso un processo di immaginazione (Imagery Tasks), in cui gli si è stato chiesto di simulare alcune azioni (tirare una pallina da tennis, camminare nella propria casa, ecc.) ed un processo comunicativo (Communication Task), in cui gli sono state poste domande su aspetti attinenti la sua vita personale.

Immaginabile l’astonishment - così è stato definito -, ovvero lo stupore dei medici quando il paziente, dopo aver risposto “no” alla domanda se il nome di suo padre fosse Thomas, ha risposto, invece, “sì” quando gli hanno chiesto se il padre si chiamasse Alexander, vero nome del genitore.


Le reazioni rispetto a questa sensazionale scoperta mi hanno indotto ad una riflessione.Tutti gli esperti hanno dichiarato che il risultato di quell’esperimento «changes everything», cambia tutto.
Ma cambia secondo prospettive e visioni antropologiche opposte. Da una parte ci sono coloro che vedono in questa nuova possibilità di comunicazione con i pazienti in stato vegetativo un’opportunità per migliorare le condizioni esistenziali in cui si trovano, assumendo, per esempio, informazioni su eventuali problemi clinici e adottando i relativi rimedi.
Dall’altra parte ci sono coloro che vedono nella scoperta la sola opportunità di conoscere esattamente la volontà di chi si trova in stato vegetativo circa il proprio destino, ovvero se ricorrere o meno all’eutanasia, perché proprio questa scoperta mostrerebbe com’è ancora più atroce la condizione di una mente lucida intrappolata in un corpo che non risponde.
Due modi diversi di guardare questo risultato scientifico.
Due modi diversi di concepire la vita e la morte. E poco c’entra, in realtà, la fede o una prospettiva religiosa.


Enzo Jannacci ce lo ha dimostrato quando in quella celebre intervista al Corriere della Sera, sull’onda emotiva della vicenda Englaro, dichiarò che non avrebbe mai «staccato una spina e sospeso l'alimentazione ad un paziente» perché «interrompere una vita è allucinante e bestiale». E ce lo ha dimostrato anche quando, da medico, ha affermato, profeticamente, che «vale sempre la pena aspettare» e che «la medicina è una cosa meravigliosa, in grado di fare progressi straordinari e inattesi».
Ce lo ha dimostrato, inoltre, quando ha dichiarato che «la vita è sempre importante» e se anche «si presenta inerme e indifesa», rappresenta comunque «uno spazio che ci hanno regalato e che dobbiamo riempire di senso, sempre e comunque». E ce lo ha dimostrato, ancora di più, quando è arrivato a dire che se suo figlio si fosse trovato nelle condizioni di Eluana, «sarebbe bastato un solo battito delle ciglia» a farglielo sentire vivo.


Non oso immaginare che cosa sarebbe successo se la povera Eluana fosse ancora qui tra noi e se, sottoposta al nuovo esperimento, avesse dato segni di coscienza. Probabilmente sarebbe caduto ogni velo di ipocrisia e il dibattito si sarebbe focalizzato, a quel punto, sul tema vero: l’eutanasia.
Resta, comunque, una considerazione finale. Ad Enzo Jannacci sarebbe stato sufficiente un battito delle ciglia per fargli sentire vivo suo figlio. Al signor Englaro, probabilmente, non sarebbe bastato neppure il fatto che sua figlia avesse risposto “sì” alla domanda: «Tuo padre si chiama Beppino?».




febbraio 2010

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