MISERICORDIA  A SENSO UNICO

Applicata secondo il manuale di Francesco I
  
di L. P.





L’enfasi con cui la stampa ha diffuso l’annuncio del Giubileo “di Papa Francesco”, all’insegna della misericordia e per la ricorrenza del 50° anniversario del Concilio Vaticano II, nasconde le sesquipedali sciocchezze implicite nella detta definizione di cui né la Gerarchìa né l’informazione cattolica hanno saputo, o voluto, smentire perché probabilmente ignare di averle dette, tanta è l’eccitazione autoreferenziale in cui viepiù fervono gli spiriti e le energie di questo papato.

Intitolare un giubileo nel nome di un Papa vuol dire togliere al Signore la Sua proprietà  ché mai, nella storia, s’è udita una cosa simile. Quando Bonifacio VIII indisse il primo della serie – 22 febbraio 1300, con la bolla “Antiquorum habet fida relatio” con valore retroattivo al 24  dicembre 1299 – non pensò affatto a siglarlo col suo nome e, come lui, tutti i pontefici che indissero giubilei non ebbero la minima idea di intitolarselo. Ci si dirà che nemmeno Papa Bergoglio l’ha fatto proprio, certamente, ma non ha per niente corretto chi, dalla stampa cattolica, ne ha dato la notizia col titolo sopra citato. Ed ancora: dedicarlo al tema specifico della misericordia è come sfondare una porta aperta in quanto il giubileo, per se stesso, è l’occasione per lucrare, col pentimento e l’espiazione delle colpe, il perdono e per sperimentare la misericordia di Dio. L’anno giubilare nasce proprio come “tempus propitiationis in universa terra. . . sanctificabis annuum quinquagesimum. . .” (Lev. XXV,9/10).
Il giubileo è, pertanto, tale solo e perché è connaturato alla misericordia, diversamente non sarebbe un giubileo. Ed, infine: quando mai s’è indetto un “anno santo” per commemorare eventi umani, quale un Concilio, e per di più il Concilio da cui sono germogliate e sviluppate le erbacce infestanti dell’eresìa e dell’apostasìa? Il giubileo commemora e rammenta ai fedeli le fasi della vita e i misteri del Signore Gesù, e a Lui, soltanto a Lui  si riferisce. Perciò noi non siamo lontani dal vero quando ipotizziamo che tutta questa fanfara, i cui strumenti sono in maggioranza quelli del laicismo massonico, tenda a lusingare con sbuffi di incenso questo Pontificato, gradito ai poteri forti nonché alle masse anonime, col non troppo velato scopo di fargli guadagnare un’altra pagina di Times, di Rolling Stones o di Vanity Fair. La locomotiva della papolatrìa mediatica è in forte accelerazione per poter, almeno adesso, frenare.

Ma perché abbiamo voluto buttar giù questo servizio dedicandolo al tema della misericordia?
Semplicemente perché, in questi giorni, abbiamo assistito a una sua distribuzione a dosi sbilanciate, calcolate secondo il galateo della “correttezza politica” e secondo un “manuale Cencelli” dell’indulgenza o, meglio, secondo la volontà di un’oligocrazia liberal/democratica che intima di obbedire agli ordini di chi fa la voce grossa. Quasi a dire - riportando Nietzsche, filosofo da noi non amato ma che tuttavia qualche volta dice bene – il diritto della pecora di mordere il leone.

Procediamo, allora, con ordine, narrando due ultimi casi che han pienamente illustrato in qual misura, e con quale criterio teologico/ministeriale la misericordia sia stata negata, e a commento di questi eventi faremo cenno ad altri in cui sarà chiaro come, con diversificata ed opposta “pastorale”, la Gerarchìa la elargisca plenis manibus...

A -   Sabato, 25 aprile scorso, giorno in cui l’Italia festeggia la “liberazione”, nel duomo di Alessandria, il parroco don Gianni Toriggia ha celebrato una Santa Messa di suffragio per l’anima di Benito Mussolini e per quelle dei 300 mila caduti della Repubblica Sociale, del qual rito era stata diffusa notizia con pubblici manifesti. Come provocata da un riflesso condizionato pavloviano, dura e scomposta s’è levata la canèa delle proteste delle “belle coscienze resistenziali” con l’aggiunta di improperî e minacce al celebrante dalla sinistra politica, e di compassionevole biasimo dalla truppa dei fedeli. 
Si tratta si misericordia, io ho pregato per quest’anima come farei per qualsiasi altra. Mi scandalizzo che i cristiani si scandalizzino” ha commentato, in risposta alle contestazioni, don Toriggia. Ma non si aspettava, il parroco, che addirittura anche il vescovo, Mons. Guido Gallese, si scandalizzasse e, diciamolo pure, con motivazioni talmente meschine, tremebonde e ipocrite tipiche di quel parlare che, Romano Amerio, definisce “circiteristico” e, cioè:  si-ma, certo-però, d’accordo-tuttavia
Insomma, un esercizio di contorsionismo al cui fondo fervono il timore del mondo e la vile voglia di non contrariarlo, specialmente oggi che il dialogo scorre nella corrispondenza di amorosi sensi. Leggete: “Non ero a conoscenza di questa Messa, non sono stato avvertito, io non l’avrei celebrata. Le Messe di suffragio non si negano a nessuno, è vero. La Chiesa prega per tutti i morti al di là di visioni e divisioni. Mi scoccia però la strumentalizzazione: quei manifesti appesi per la città sono questo”.

Abbiam evidenziato in neretto tre momenti di questa contorta, bizantina e misera esternazione che tanto più è grave in quanto proferita da un vescovo.
 1 -  “Io non l’avrei celebrata”, un condizionale con valore di certezza che fa comprendere come il vescovo Mons. Gallese, ogni qualvolta gli viene richiesta una Santa Messa di suffragio, esiga di esaminare gli estremi anagrafici, storici ed etici del defunto perché non sia mai che, come il don Abbondio manzoniano, ci si rimetta la faccia per pregare a pro’ di un manigoldo. Eh, sì, bisogna tener conto dell’opinione del volgo, o plebaglia che dir si voglia, la quale, in piena affermazione di un regime oclocratico, reclama il diritto di indicare chi e quali persone sono degne/indegne secondo il catalogo che la storia, scritta sempre dai vincitori, aggiorna volta per volta. Ė questo, stando all’autorità del Vangelo, un evidente affronto al comandamento divino laddove chiaro e perentorio Cristo afferma: “Avete inteso che fu detto: amerai il tuo prossimo e odierai il  tuo nemico; ma io vi dico: amate i vostri nemici e pregate per i vostri persecutori perché siate figli del Padre celeste, che fa sorgere il suo sole sopra i malvagi e sopra i buoni” (Mt. 5, 43/45).

Che cosa dovremmo allora consigliare a un vescovo che non conosce nemmeno i fondamenti della dottrina cattolica? Senza meno un ritorno ai sacri testi, il rispetto e l’osservanza del diritto di Dio a cui si deve obbedire prima che agli uomini (Atti, 5, 29) e  l’assunzione di una buona dose di umiltà.

2 – “Mi scoccia”, un’espressione che poteva, semmai, essere elegantemente espressa con altri termini di semantica più seria ed accettabile, quali: mi inquieta, mi provoca imbarazzo. Quel “mi scoccia” è indizio di scarsa cultura letteraria e dottrinaria, e più pertinente a un animo incapace di assumersi responsabilità, pigro ed egoista. Noi avremmo, indubbiamente, preferito che il vescovo di Alessandria si fosse sentito “scocciato” per le critiche mosse al suo parroco, e non tanto perché costui s’era dimostrato “coraggioso” ma perché aveva assolto al suo semplice dovere: pregare Dio per i vivi e per i morti. Avrebbe dovuto conoscere, il vescovo, anche l’elenco delle 7 opere di misericordia spirituale. Cosicché, per un gioco di scambio di ruolo, abbiamo assistito a un parroco che si pone come il santo cardinal Federigo Borromeo e un vescovo come un tremebondo Don Abbondio.

3 – “Manifesti appesi”. Immagine mentale che, probabilmente nel contesto della vicenda collegata al personaggio storico Mussolini, sarà scaturita, per risonanza freudiana, dal ricordo del corpo del fu Duce, appeso a un gancio di un distributore di carburanti, in Piazzale Loreto. Quei “manifesti appesi” – perché non dire: affissi? – la dicon lunga sulle convinzioni personali di Mons. Gallese. Convinzioni che – glielo concediamo - sono e restano sue, ma che non dovrebbero interferire per niente con il suo sacro munus pastorale e dottrinale.
Ridicolo! Sentirsi scocciato per dei manifesti!

I lettori noteranno come e qualmente il prelato si districhi tra ammissioni ortodosse e retromarce pavide, tra la sana dottrina della Chiesa e le contingenti circostanze del mondo a cui non va negato l’ossequio. Intanto, con una città tappezzata di manifesti “appesi” sarà stato difficile, per sua eccellenza, ignorare l’iniziativa, ammettiamo anche politica, ma che il suo parroco ha recepito come dovere cristiano. Dirsi sorpreso ci sorprende poiché un “epìscopos”, oltre che pastore è anche vedetta, vigilante, colui che vede e sta all’erta come afferma il salmista: “Ecce, non dormitabit neque dormiet qui custodit Israel” (Ps. 120, 4) – ecco, non sonnecchierà né si addormenterà il custode di Israele - e come già la saggezza antica sentenziava: “Non decet tota nocte dormire consiliatorem  virum” (Iliade, II, 24) – non è decoroso per il consigliere dormire tutta la notte.
Con ciò, Monsignore dichiara di non saper esercitare il suo còmpito ministeriale spirituale ma di sapersi destreggiare bene in quello cangiante della politica specialmente di quel settore sinistro nipote ed erede dell’infausto comunismo di cui il succitato Concilio Vaticano II ebbe timore, con mostra di grande viltà, di condannare le aberrazioni ideologiche e l’ateismo. Con ciò si fa degna ed opportuna memoria di un evento che, per la Chiesa ed anche per il mondo, s’è dimostrato e si dimostra ancor di più funesto e obituario.

I lettori sappiano di una penosa appendice alla vicenda. Come riferisce La Stampa on line (3/5/2015), un burlone, dai microfoni di Radio 24 – La zanzara – fingendo il tono di Papa Bergoglio, ha telefonato, il giorno 30 aprile scorso a don Gianni Toriggia dolcemente rimproverandolo per la famosa Messa in suffragio di Mussolini ed invitandolo a stare, per il futuro, più attento. Sorpreso ed incredulo, naturalmente convinto di parlare con il Papa, il parroco ha farfugliato qualche giustificazione del tipo “non chiedo i dati anagrafici alle anime…” ecc, ma poi ha dichiarato di pentirsi.
Una gran bella figura, poverino!

B – Sorvoliamo su un analogo caso accaduto a Vicenza per occuparci di quello più avvilente che vede “complici” il sindaco di Reggio Calabria, Giuseppe Falcomatà e l’arcivescovo S. E. Giuseppe Fiorini Morosini.

Anche in questa città, su iniziativa di un’Associazione locale,  Alleanza Calabrese, era stata programmata, per il 28 aprile, una Santa Messa di suffragio a pro’ dell’anima di Benito Mussolini, nella chiesa di san Giorgio al Corso.
Contrariamente a quanto accaduto ad Alessandria, dove il Vescovo è intervenuto a cose fatte, recitando la parte dell’ignaro ma permettendo così lo svolgimento completo del rito, a Reggio Calabria, invece, su sdegnato e perentorio ordine dell’antifascista sindaco Giuseppe Falcomatà, l’arcivescovo Giuseppe Fiorini Morosini ha bloccato e sospeso l’iniziativa vietandosi, così, di rendere testimonianza al suo officio di pastore. Un comportamento che rivela, più che chiaramente, l’accordo tra la Gerarchìa e Beliar e che rende nitidamente l’idea di una Curia condotta al traino dell’autorità politica secondo i canoni del più protervo cesaropapismo.
A conferma di quanto scriviamo, e pensiamo, si torni all’altro esempio di resa indecorosa fornito dall’arcivescovo di Milano, Angelo Scola, di cui, nel nostro ultimo servizio pubblicato su questo sito – LA RELIGIONE DEL CUORE, quando la ragione è inutile - abbiamo dato un rapido cenno, relativo al licenziamento di un docente di religione, il prof. Giorgio Nadali, di lunga, onorata militanza ed esperienza, reo di aver proiettato, in una classe liceale, un cortometraggio sull’aborto. Indecoroso il comportamento dell’arcivescovo perché il processo, e il provvedimento di censura e di dimissioni, erano gli atti esecutivi prodotti, nello stile inquisitoriale bolscevico, in ottemperanza a un ordine impartito, con mendace e astuto servizio, dal laicista foglio “La Repubblica”.

Gli uomini di Chiesa, i suoi prìncipi postconciliari, non sono nuovi  a siffatta indegna fuga dal proprio dovere ché già, in occasione della morte del tedesco Erich Priebke – 11 ottobre 2013 - , il Vicariato di Roma negò, in sintonìa con il necrofilo sindaco di Roma, Ignazio Marino, la cristiana sepoltura, lasciando la salma in balìa di un’orda di scalmanati che ne aggredirono il feretro mentre saliva alla Comunità lefebvriana di Albano Laziale. Una trista e vergognosa pagina.
Ma Papa Bergoglio parla e scrive di misericordia.

Misericordia, sì, ma per chi?
Il Pontefice, che  ne parla in ogni sua omelìa, in ogni udienza, in ogni visita pastorale e ne dà ampia dimostrazione in Santa Marta, in aereo, in udienze pubbliche e private, non manca di farne gesto simbolico e concreto del suo pontificato telefonando, ad esempio:
a Giacinto – alias Marco – Pannella, esortandolo affettuosamente a smetterla col digiuno sì da riprendere in pieno vigore il “lavoro” – e che lavoro! - che sappiamo consistere nell’apologìa dell’aborto, dell’ateismo, della droga libera, dell’eutanasìa;
ricevendo in privata udienza il dottor Ignazio Marino, malaugurato sindaco di Roma e tristo figuro di vespillone nella lagrimosa vicenda di Eluana Englaro, complimentandolo per la barba che lo fa tanto “francescano”;
confessandosi al papa laico, Eugenio Scalfari a cui confida le sue sovversive e moderniste convinzioni su temi di dogmatica, etica ed economìa;
telefonando alla signora Emma Bonino, colpita da un tumore, sollecitandola a resistere al male sì da poter seguitare, la signora, a predicare la bontà dell’aborto, lei che, a suo dire, ne praticò oltre diecimila con l’ausilio di una pompa da bicicletta.

Gesti di paterna carità ma, chissà perché, rivolti a note personalità che sole possano suscitare il fermento dell’onda mediatica nel gioco di uno sterile quanto pomposo dialogo  sostitutivo dell’attività missionaria di conversione.

Diciamo che la confusione che accompagna il termine e il concetto di misericordia, intesa secondo il relativistico verbo bergogliano, è molto diffusa ed avvolgente, così come dimostra una nostra recente esperienza di cui rendiamo adesso testimonianza. Durante uno scambio di idee circa l’attuale pontificato, un’insegnante, già a suo tempo anche catechista, seguace della sètta carismatica, ci faceva presente come la misericordia del Signore perdona sempre, dovunque e comunque avendoci tutti resi salvi con la sua morte. E, a prova di quanto asserito, costei citava tre momenti evangelici: il perdono alla prostituta – molto le è perdonato perché molto ha amato (Lc. 7, 47);  il perdono concesso al ladrone con la certezza del Paradiso (Lc. 23, 42), e l’affermazione  secondo cui “i pubblicani e le prostitute ci passano avanti nel regno di Dio”. (Mt. 21, 28). Le  ribattevamo che il perdono si ottiene se a questo precedono il pentimento e l’espiazione, che la redenzione non è automatica per il fatto che Gesù è morto per questo fine, dacché se è vero che la morte sua è fonte di grazia spetta tuttavia all’uomo, con libera scelta, aderire ai comandamenti e alla sua sequela, diversamente c’è la dannazione.
D’altra parte, tanto la prostituta - che fu perdonata non perché “aveva molto amato”, con ciò riferendosi alla precedente vita dissoluta ma solo a quel momento di ravvedimento in cui espresse, nel cuore, l’amore per Cristo - si impegnò a non peccare più pena l’addebito di una nuova colpa, e il secondo espiò con la morte il suo reato dando così valore ed efficacia al pentimento con la dovuta penitenza.
Commento della signora: “Ah, non ci avevo pensato”. Meno male!

Ma torniamo ai casi descritti.

Ci si scandalizza, insomma, per una santa Messa a beneficio dell’anima di Mussolini, si guarda, cioè, la pagliuzza nell’occhio altrui o, come dice un detto latino, il pidocchio degli altri ma non ci si preoccupa delle proprie piattole  - “ In alio peduclum vides, in te ricinum non vides”  (Petronio, 57, 7).
Vorremmo, per dare un tocco di concretezza al nostro svolgimento, e tanto per non menare il can per l’aia, prendere a prestito una riflessione tratta da uno scritto del bravo Belvecchio e riferita alle cause che stanno a monte di quel disprezzo che il clero moderno riserva, assai palesemente e con altezzosità, nei confronti dei cattolici che si professano ancorati alla Tradizione. «Una delle cause che i modernisti avanzano ai fedeli tradizionali in genere, indicandoli, appena possono, come conservatori in religione e in politica, è il particolare accento sulla ripetuta denuncia di sostenere o di appartenere all’estrema destra. Cosa, peraltro, non infondata, per tanti, ma che rivela decisamente il pregiudizio politico del nuovo clero e dei nuovi cattolici “aggiornati”».
Sicché – volendo proseguire sulla nota dell’amico – accanto a una misericordia a senso unico, come abbiamo titolato, dovremmo parlare di due sensi unici, quello dell’amore e quello dell’odio dei preti postconciliari, moderni assai ma poco o niente reverendi, del calibro di De Capitani, Farinella, del defunto Gallo.
Altro che Vangelo!

Desideriamo, in conclusione, far palese una nostra riflessione che, alla anime e agli intelletti superficiali potrà apparire inappropriata o debole come argomento, ma che, indagata nel suo profondo significato, astratto e storicamente concreto, dà ancor più la misura di quanto anticristiano, prevenuto e codardo sia stato il comportamento dei due vescovi sopra citati.
Nessuno, diciamo proprio nessuno, oserebbe contestare, come in effetti nessuno ha mai contesto, che si celebrino Sante Messe a suffragio delle anime di Giovanni Leone, già presidente della Repubblica, dell’on.le Tina Anselmi e dell’on. le senatore a vita Giulio Andreotti, tre alti esponenti della DC, cattolici di origine controllata, garantita e protetta – DOCGP - e di sbandierato accreditamento illuminato. Eppure, questi tre “cattolici di razza” furono coloro che vararono la Legge 194 - 22/5/1978, istitutiva dell’aborto di Stato. Da quel tempo, ad oggi, le vittime silenziose di quella continua “strage degli innocenti” sono, in Italia, oltre otto milioni, ma non dèstano orrore sia perché, in quanto pratica “permessa” dallo Stato in nome del diritto individuale di decidere per sé, è stata assimilata come pratica da sbrigare senza tante remore etiche, sia per la resistibile ed astenica reazione degli uomini di Chiesa che non si sono certo spesi e consunti allo spasimo per condannare e scomunicare i medici che lo praticano e le donne che lo vogliono.
Noi osiamo mettere a fronte l’atrocità di due eventi: i milioni di causati dalla seconda guerra mondiale, di cui Mussolini porta certamente un’altissima quota di responsabilità, e gli altrettali milioni di bambini morti mai nati spenti dall’aborto volontario e gettati nell’immondizia dei cassonetti. Davanti a Dio, crediamo, pesano maggiormente i secondi per le ovvie e solari ragioni che tutti sanno cogliere.

Ad ulteriore informazione, rendiamo nota, per chi la ignorasse, una considerazione che il primo ministro d’allora, Giulio Andreotti ebbe modo di rivelare in un suo scritto:  “Mi sono posto il problema della controfirma a questa legge (lo ha anche Leone per la firma), ma se mi rifiutassi non solo apriremmo una crisi dopo aver appena cominciato a turare le falle, ma oltre a subire la legge sull’aborto la DC perderebbe anche la presidenza e sarebbe davvero più grave” (G. Andreotti, Diarî 1976/1979: gli anni della solidarietà, (sic) Rizzoli, Milano 1981, pag. 73).
Non commentiamo il brano ché il lettore sa ben scorgere l’astuzia machiavellica di chi, in questo caso l’Andreotti, a tacitare quel poco di coscienza rimastagli con relativo senso di colpa, vuol dimostrare essere più importante il potere politico che la legge di Dio, dipingendosi tra l’altro come persona in forte ambascia che non sa decidersi, appunto tra il volere del mondo, la propria vanità e la volontà del Signore, ma che decide a favore del primo.

Se pensiamo che un re, Edoardo VIII, preferì rinunciare (1936) al trono d’Inghilterra per l’amore di una signora, la nota Wally Simpson, ci vien d’obbligo ritenere gravissima la scelta dell’Andreotti che rinunciò all’amore di Dio e al rispetto della Sua Legge, per una poltrona peraltro precaria, iscrivendosi così, lui, Anselmi e Leone, nel registro degli Erodi stragisti. Ma siamo  sicuri che, a breve, ci sarà qualche irenista, di stomaco delicato e gonfio di misericordia, pronto a promuovere il processo di beatificazione di costui, così come qualcuno ha iniziato a confezionare l’istruttoria canonica per il riconoscimento delle virtù eroiche praticate, e vissute, dal belga Baldovino, un re che, con gesto ingenuo, ipocrita e debolmente astuto, pensò bene, credendo di dichiararsi fuori, ad autosospendersi il giorno in cui il suo Parlamento – 4 aprile 1989 - approvava la legge dell’aborto ma, all’indomani, sollecito a risalire sul  trono e  pronto, come se nulla fosse accaduto, a guidare una nazione abortista.

Non vi pare, allora, che Edoardo VIII sia stato, sotto tutti i punti di vista, il solo onesto e coraggioso nel rifiutare il potere per l’amore di una donna?

Ma ciò che di tutto l’affare appare inverosimile e orrendo – stando a talune dichiarazioni autorevoli mai smentite dell’on. le Anselmi – fu la parte che ebbe, in questa delittuosa vicenda, Papa Paolo VI il quale, “avrebbe esortato i ministri democristiani a non dimettersi e a restare in carica pur dovendo sottoscrivere quel testo” ( La Gazzetta del Mezzogiorno – 30 agosto 1994, cit. in:  Alfredo Mantovano, La Democrazia cristiana e l’aborto – perché fu un vero “tradimento” – in “Cristianità” nn. 232-233-(1994), pag. 13 (pagg. 13-15) – l’intera citazione è riportata in:  Roberto De Mattei, Il Concilio Vaticano II – una storia mai scritta, Ed. Lindau 2010, pag. 588/589).

Ed allora, reverendi vescovi? Non sarebbe il caso che andaste a rileggervi, almeno, il CCC da voi riformulato, e che vi fa obbligo stretto – art. 1032/1056/1371/1414 – di onorare i defunti, di qualsiasi condizione sìano, e di pregare in loro suffragio? Pensate, forse, che il Signore Giudice, nell’ ultimo vostro appello, terrà conto unico ed esclusivo delle vostre cautele politiche in termini di merito?
Quelle cautele che, guarda un po’, la stessa Santa Sede, regnante Benedetto XVI, furono invece addebitate al venerabile servo di Dio, Pio XII, come colpa di complice silenzio col nazismo, mentre le vostre vengon lodate dalla stampa mondialista quale sottile e saggia tattica politica.






maggio 2015

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