LA TORRE DI BABELE

La confusione ecclesiale a colpi di follìa
  
di L. P.

Parte seconda
- Se la sofferenza dei bambini lascia il Papa senza parole
EIo vescovo cattolico insegno il Corano per salvare i bambini
Pannella si inginocchia a Papa Francesco. “Non mi ha sgridato, è l’unico che mi ha capito

Parte prima
A – In nome del Papa i missionarî assolvono il peccato di aborto
B -  La Chiesa apre l’ufficio che aiuta a separarsi
C -  Castro vede il Papa “Con Francesco tornerei cattolico”

Parte terza
-  Nozze gay: le opinioni dell’arcivescovo di Dublino e di Mons. Galantino;
-  “Il sì alle nozze omosessuali, una sconfitta per l’umanità”; 
-    Le perle de “La Domenica”.


Carissimi lettori ed amici: vogliamo, con una carrellata rapida ma chiara, dare notizia, a chi non avesse ancora preso cognizione di quanto, qua e là, nel territorio di questa Chiesa postconciliare ad opera di molti suoi uomini, si sta verificando in termini di apostasìa, di ribellione etica, di eversione dottrinaria, di revisionismo teologico e di rinuncia all’evangelizzazione.
Per coloro che, al contrario, sono al corrente di quanto andremo ad esporre, valga il nostro scritto quale rinforzo alle proprie ortodosse convinzioni e  conferma delle certezze nella santa fede. Perché il fine che ciascun cristiano-cattolico deve proporsi è quello di operare la diffusione della verità, cioè, la Parola di Cristo, senza tentennamenti ed ambagi, e a viso aperto.
E Dio sa quanto vivo si avverta, nella comunità dei fedeli, il bisogno di vescovi, di parroci, di laici che dispensino la buona novella nel filo del comando evangelico (Mt. 28, 20) e della Tradizione.

Talune notizie, di grido mondiale, sono state già ampiamente esaminate su questo sito per cui noi non ci soffermeremo con ulteriore indagine salvo che per nuove ed ultime risultanze pervenute in merito.
Diamo, allora, corso di svolgimento ai punti su cui abbiamo ritenuto di dover esercitare ed assolvere il nostro dovere di vigilanza in “questa ora dell’impero delle tenebre”(Lc. 22,53).


nuntio vobis gaudium magnum.
Prima di dar seguito allo svolgimento dei temi annunciati, vorremmo tornare, brevemente s’intende, sul terzo già trattato e, cioè, sull’incontro avvenuto tra Papa Bergoglio e Raul Castro.
I lettori ricordano che il cubano, lìder maximo in seconda, aveva, in quel frangente, con uno slancio di commosso quanto peloso entusiasmo, manifestato il proposito di tornare cattolico grazie al Papa a cui i cronisti avevano già attribuito questo imminente miracolo.  Ebbene, possiamo annunciare la buona novella: il predetto Raul Castro ha voluto dar prova testimoniata del suo impegno a tornare sulla strada retta con l’ordinare, nella luminosa aura di restituita e restaurata libertà, l’arresto di  un’intellettuale cubana, Tania Bruguera, fermata ed ammanettata per aver letto, in istrada, «Le origini del totalitarismo» di Hannah Arendt. (Il Giornale, 6 maggio 2015). Eccolo, il primo dei miracoli scaturito da quel fecondo e cordiale incontro svoltosi nelle sacre stanze vaticane!  Deo gratias, certamente ed anche al Santo Padre che aveva osato, con delicatezza e garbo – mi raccomando, mi permetto, chiedo scusa…  - accennare ai diritti civili.
A conferma che altri di simili prodigî potranno seguire, il Castro ha testualmente affermato che: “Chi vuol parlare con Cuba deve passare attraverso di noi, non attraverso i dissidenti”.
Imminente primavera cubana? No! vecchio, glaciale e perdurante inverno. La conversione può attendere.



D – Se la sofferenza dei bambini lascia il Papa senza parole



Riferimmo, in un nostro precedente scritto, di quella madre che ebbe a protestare col parroco  contro il catechista il quale, nel corso di preparazione alla prima Comunione, aveva osato parlare ai fanciulli del peccato mortale e veniale, della morte, dell’Inferno e del Paradiso. Riteneva e temeva, costei, col sostegno sicuramente di una “cultura” da rotocalco pettegolo di qualche rivistucola patinata dove figura la rubrica riservata allo/a psicologo/a, che con tale catechesi si provocassero, nel tenero animo dei piccoli, traumi e terrori interiori con grave pregiudizio per  un futuro squilibrio psicologico. Niente meno!

Va da sé che il catechista non si fece affatto intimidire, né dalle rimostranze della signora né dalla basculante “pastorale” del parroco che cercava, con opinioni oscillanti degne di un’altalena, a fare da spalla a costei senza, però, farsi nemico l’agguerrito catechista, non diversamente dal comico dottor Azzeccagarbugli a favore di don Rodrigo qua e del conte zio là. (A. Manzoni: I Promessi Sposi – V, 285). Una sequenza di “Sì-ma, certo-però, in effetti-tuttavia ecc. . .” tipica del dialogo vaticansecondista.

Abbiamo ricordato questo episodio, riferito senz’altro a un ambito geografico molto limitato ma indiziario di una cultura che, sul tema del “peccato”, ha da tempo, diciamo un cinquantennio, provveduto ad edulcorare l’escatologìa con un processo di rimozione lessicale di tipo freudiano o, se volete, con un esorcismo laico prima, e poi col silenzio, perché ci permetterà, quest’episodio, di tirar giù alcune osservazioni riferite all’argomento esposto in titolo grassetto. Ecco il fatto.

L’11 maggio, nell’aula Nervi, Papa Bergoglio ha ricevuto in udienza i 7 mila bambini dell’associazione “Fabbrica della pace” durante la quale, oltre a svariati temi di ordine corrente, è stato toccato l’argomento del dolore e, nello specifico, il dolore e la sofferenza dei bambini.
L’articolista (Il Giornale 12 maggio 2015), che ha confezionato la cronaca dell’incontro, ha sintetizzato l’argomento in un sottotitolo che così suona: “Il mistero della sofferenza dei piccoli. Se nemmeno il Papa sa spiegare il dolore ai bimbi”.
Non v’è bisogno di seguire l’intero  corso della sua recensione, sufficiente essendo la breve parte iniziale per poter chiosare il pensiero del Santo Padre che, anticipando la nostra ricognizione, diciamo essersi dimostrato incapace, o reticente, a parlare del peccato.
Anche i Papi, nella loro grandezza, restano senza risposte”, esordisce l’articolista.
Ė accaduto che, davanti a un bambino che gli chiedeva perché fosse venuto al mondo con problemi di salute, Bergoglio ha ammesso la sua impotenza a rispondere. “Questa domanda è una delle più difficili a cui rispondere. Non c’è risposta”.
Tralasciando l’interpretazione agostiniana del male metafisico e morale, stigmata della sola natura umana, vogliamo rammentare che il male fisico, il dolore e la sofferenza sono entrati nel corpo dell’uomo, e di tutti gli esseri viventi, nel momento in cui i progenitori hanno commesso il peccato di disobbedienza a cui è seguito il degrado della stessa natura con la morte in prima istanza. “Poiché tu hai ascoltato la voce di tua moglie e hai mangiato il frutto dell’albero che io ti avevo espressamente proibito di mangiare, la terra sarà maledetta per cagion tua; con lavoro faticoso ricaverai da quella il tuo nutrimento per tutti i giorni della tua vita, essa ti produrrà spine e triboli, ti nutrirai dell’erba dei campi, col sudore di tua fronte mangerai il pane, finché ritornerai alla terra, da cui sei stato tratto, perché tu sei polvere e in polvere ritornerai” (Gen. 3, 17/19).

La risposta è tutta qui.
Certamente resta misterioso il motivo che muove Dio a permettere, secondo un suo disegno nascosto ma tendente al bene, il dolore in una persona piuttosto che in un’altra, ma la causa è però chiara: il peccato originale, per il quale la morte è entrata nel mondo (Sap. 1, 13 e 2, 24), la natura umana, uscita incorrotta e pura dalle mani del Creatore, ha subìto il processo di decadenza e per il quale, come recita il salmo “Nessun vivente, Signore, è giustificato davanti a Te” (Ps.142, 2). Ma oggi, nel clima di un neopelagianesimo ottimistico e di una paganeggiante somatolatrìa salutistica maniacale - degenerazioni di una cultura che abolisce come anticaglia il concetto di peccato, e il senso di colpa annesso, enfatizzando la bellezza del solo corpo e che, oltretutto, fa poi della coscienza individuale il tribunale unico giustificativo - si tende a negare il cordone ombelicale, il rapporto diretto e genetico che collega la realtà della sofferenza in sé alla causa originaria, al peccato d’origine cioè.
E, in questa atmosfera di rimozione, accade sovente, specie durante le funzioni funebri, di sentire il celebrante affermare che “la morte è un mistero”. Mistero di che? La risposta è tutta in Gen. 2, 16 ove si legge: “Tu puoi mangiare liberamente di ogni albero del giardino, ma dell’albero della conoscenza del bene e del male non devi magiare, poiché se tu ne mangerai, di certo morrai”. Ma si preferisce non dirlo perché ciò comporterebbe farsi carico di una catechesi di sapore preconciliare, quella dal forte agrume concettuale ed etico che toglie alibi a virtuali scappatoie ed espedienti relativistici.

Si arriva addirittura, in ambiti parrocchiali come i Consigli “pastorali”, o in contesti sociali di cattolici stimati praticanti, ad invidiare la morte improvvisa di quel tale, fortunato perché “non ha sofferto”, stoltamente e colpevolmente dimenticando l’importanza del tempo che Dio ci concede per pentirci, anche in fin di vita. Per questo la Santa Chiesa aveva predisposto, nelle “Litaniae sanctorum” – III invocatio ad Christum”, la supplica: “A subitanea et improvisa morte, libera nos Domine”. Ma chi se ne ricorda più? Una dimostrazione, piuttosto diffusa, di come le cose siano state disinvoltamente sovvertite con l’aver anteposto sul piano delle priorità il benessere fisico a quello spirituale.
Epicureismo paludato e fasciato da sentimenti irenistici e misericordiosi, come piace a Papa Bergoglio e al suo paredro, il  pontefice laico Eugenio Scalfari.
Ed, allora, non sarebbe il momento di rispondere anche ai bambini, specie a quelli che pongono poderose domande -  suggerite, come ci pare nel caso di cui sopra -  rivelando, semplice e chiaro, lo stato di corruzione e la caducità della natura umana quali conseguenze dirette del peccato di origine?
Noi, che poco più  che settenni, apprendemmo dal parroco di essere destinati alla morte per via di una colpa antica, non abbiamo subìto traumi ma, nonostante il timore e il terrore che la morte tuttora ci incute, sappiamo che essa non è un mistero ma una realtà temporanea a cui seguirà la resurrezione.

La moderna pedagogìa, che ritiene di far crescere bambini in ambienti asettici e insonorizzati, al modo dell’Emilio russoiano, celando loro i grandi motivi della vita ma, contemporaneamente, per consapevole volontà corruttrice, esponendoli a scandalosi spettacoli televisivi  impastati di violenza e di immoralità, questa pedagogìa novella, dicevamo, è responsabile della fragilità sociale di cui sono prova i tanti casi di suicidio giovanile alla cui immediata genesi sta l’incapacità a far  conoscere e ad affrontare quelle realtà tremende che, tempo prima, erano state nascoste o edulcorate per tema di turbamento.
Ma questo ricorso alla reticenza non viene riservato ai soli bambini ma si spiega anche per gli adulti perché nelle omelìe, nei numerosi dibattiti televisivi in cui partecipano sacerdoti e teologi, il tema dei “novissimi” è del tutto accantonato preferendo cianciare di cose contingenti, di sindacato, di diritto al lavoro, di sesso, di misericordia, di sfide e di periferìe. Rammentare al cristiano adulto, quello plasmato e uscito dal Concilio Vaticano II, la morte, il giudizio di Dio, il destino dell’Inferno o del Paradiso è impegno da cui tenersi alla larga anche perché, diciamolo senza peli sulla lingua, al demonio, così come a Dio Sommo Giudice, non credono più nemmeno i prìncipi della Chiesa e la sacra Gerarchìa. Don Amorth dixit.
(Il Giornale, 27 maggio 2015)

Papa Bergoglio questo doveva e poteva dire, citando l’art. 402 del nuovo e monumentale CDCC e, se proprio non ricordava, il n. 71 del sempre valido e glorioso Catechismo di San Pio X, ribaltando siffatta cultura del silenzio. Però ha voluto comportarsi come quella madre di cui all’inizio, lasciando di conseguenza i suoi bambini nell’ignoranza del dogma, privi, cioè, della verità.
Un grave peccato. Di omissione.




E – “Io vescovo cattolico insegno il Corano per salvare i bambini



Mons. Muheria e il Corano, qui  raffigurato col libro su cui poggia una scimitarra,
il tutto sovrastato dalla scritta Allah al akbar

L’argomento esposto riveste importanza tale da risultare delicatissimo, in quanto tratta del bene della vita onde le nostre riflessioni saranno improntate a profonda comprensione del fenomeno non tacendo, però, l’ultima e ineludibile parola di Gesù.

Dopo le stragi di cristiani, il catechismo cattolico in Kenia si fa anche con il libro dell’Islam. Monsignor Muheria: “Non è resa ma legittima difesa”. Con queste parole si apre lo scenario su una situazione di  estremo pericolo in atto ed incombente sui cristiani che si trovano nei territorî dove forte e prepotente è la presenza e la minaccia islamica, non come vien detto, colorata di estremismo, ma tale in quanto imposta dal Corano che incita a stanare ed ad uccidere tutti gli infedeli (Sura 9, 5).
L’Occidente, in preda a sensi di colpa e pervaso da slombata tensione al dialogo, definisce costoro, i tagliagole, “fondamentalisti” ma, mentre crede, con siffatto termine, di averli esposti all’ignominia ne ratifica la coerenza in quanto essi, proprio sui “fondamenti” del loro libro, agiscono e si comportano.
Cervelli cloroformizzati, svegliatevi!

Torniamo al tema. Nel corso dell’articolo (Il Giornale, 13 maggio 2015 – Apparizione della Vergine a Fatima) viene riportato, a sostegno di quanto affermato dal Monsignore,  “come con gli ebrei durante la Seconda Guerra Mondiale, quando i religiosi per proteggerli ripetevano le parole del Pater Noster perché le imparassero a memoria, per preservarli dalla caccia dei nazisti”. Espediente già adottato dal sedicente messìa Sabbatai Zevi che, come racconta Gershom Scholem (Le messianisme juif, Essai sur la spiritualité du Judaisme, ed. Calman-Lévy, Parigi 1971 – citato in: Maurizio Blondet – Gli “Adelphi” della dissoluzione – Ed. Ares 1999, pag. 52), davanti alla scelta: tener ferma la propria fede e subire, di conseguenza il martirio, o convertirsi all’Islam e salvar la vita, optò per questa seconda soluzione che ragguagliò e condì con una spiegazione etica e didattica  ritenendo, tale passo, necessario in quanto il nuovo Messìa avrebbe redento il mondo, una volta reintrodotto il regno d’Israele, attraverso il peccato.  Cosa che non diversamente avveniva con i “marranos” spagnoli:  manifestare pubblicamente la nuova fede ma, nel segreto, mantenere quella dei padri, salvando, così la vita. In poche parole, apostasìa tattica, una scelta cioè che potrebbe essere del male peggiore per tutelare un valore primario quale è quello della vita.

Parlandone con taluni amici, ci sono stati ricordati gli episodî dantiani di Piccarda Donati e di Costanza d’Altavila (Divina Commedia - Par. III), esclaustrate a forza e obbligate a tornare nel mondo. Anche qui, si fa notare, una qual legittima difesa viene messa in atto con il cedere alla violenza in cambio della salvezza della vita. Se pur identico per la dinamica e per la connotazione coercitiva, non è del tutto paragonabile l’esempio delle due donne della Commedia a quello di Sabbatai Zevi o degli Ebrei della seconda guerra mondiale. Mentre in questi, sotto minaccia di morte apparentemente si abiura alla fede propria, facendo ancora apparentemente professione della nuova, Piccarda e Costanza  capitolano alla violenza con nulla resistenza ma senza, con ciò, abiurare anzi, mantenendo nel cuore la fedeltà al velo e facendo di questo sacrificio motivo di sufficiente merito tanto da lucrare il paradiso, seppur collocate nel suo cielo più basso, quello della luna.
Si tratta comunque, nei due casi, dell’argomento noto come “male minore”, per cui l’uomo sceglie tra due mali, non volendo in realtà né l’uno né l’altro.
Nel canto successivo, Dante – per bocca di Beatrice – provvede a spiegare il complesso etico della vicenda esponendo la teoria aristotelico-tomistica delle due volontà: una assoluta, che non vuole il male che compie e  “che non consente al danno” (v. 109) e una relativa (secundum quid) che lo subisce solo in quanto, così facendo, pensa di evitarne uno peggiore  e, pertanto, accetta il danno ma “consèntivi in tanto in quanto teme/se si ritrae, cadere in più affanno” (v. 110/111). Ė quasi il ricalco di quanto insegna il Dottor Angelico laddove afferma: “ad quid quod agitur per metum, voluntas timentis aliquid confert” (S. Th. I, Iae , q. 6, a. 6 ad Ium), vale a dire che “a ciò che si fa per timore, la volontà di colui che teme è, in qualche modo, consenziente”.

Con tali esempî si comprende bene come la decisione di Mons. Anthony Muheria, vescovo di Kitui, diocesi del sud-est del Kenia sia in linea con la dottrina tomistica delle due volontà, onde la nostra non può che essere comprensione delle circostanze determinanti siffatta volontà. “L’unico modo per salvare i bambini e i cristiani è insegnare i versi del Corano durante il catechismo. Ė l’unica via”, spiega “uno stratagemma in nome della sopravvivenza”.
Il Liber pontificalis riporta la vicenda di Papa Marcellino (296-304) che, secondo un’antica passio, smentita però da S. Agostino, avrebbe sacrificato agli dèi ma, pentitosi, avrebbe poi affrontato il martirio. Tralasciando la questione storico/filologica del personaggio che, venerato come santo, non figura però nel Martirologio Romano, possiamo notare come in lui palesemente si caratterizzino le due volontà di cui sopra; la prima, quella relativa che cede addirittura all’apparente apostasìa e la seconda che, recuperato il senso delle cose trascendenti di lassù, sceglie il martirio.

Noi, pertanto, per aver ben presente la caducità e la debolezza della natura umana ed anche sulla scorta dell’esempio precedente di Papa Marcellino, non osiamo esprimere valutazione critica, opinione di dissenso o di biasimo alcuno per le parole del vescovo Muheria che inclinano all’esercizio della volontà relativa, tuttavìa ci si consenta di riportare, per necessità catechetica e per l’ineludibile verità ivi contenuta, con cui fare i conti, il forte e drammatico monito di Gesù che, a proposito di scelte, di volontà relative o assolute, getta sul campo questa sentenza: “Se qualcuno vuol venire dietro a Me, rinneghi se stesso, prenda la sua croce e mi segua. Perché   chi vorrà salvare la propria vita, la perderà, ma chi perderà la propria vita per causa mia, la troverà” (Mt. 16, 24/25).



F – Pannella si inginocchia a Papa Francesco. “Non mi ha sgridato, è l’unico che mi ha capito”.



Vorremmo smentire l’affermazione del digiunatore nazionale (Il Giornale, 13 maggio 2015 – Madonna di Fatima), e rassicurarlo, ricordandogli che, a lui, han creduto milioni di italiani e di cattolici, diversamente non avrebbe conservato lo status di idolo mantenuto ad oltranza e di glorificato padre dei diritti civili: libera droga, eutanasìa, aborto, libertà assoluta, omosessualità.
Vogliamo rammentargli che furono proprio i Dc, “cattolici di razza” – più animale che umana – Giovanni Leone, Giulio Andreotti, Tina Anselmi e con loro tutta la coorte “demoniocristiana” col placet di Paolo VI, ad introdurre, in Italia, con la famigerata legge 194, 22 maggio 1978 – uno sfregio a Santa Rita, madre, sposa e suora – l’aborto di stato, una legge che, da quell’infausto giorno ad oggi, ha falciato e tritato milioni di innocenti vittime, bimbi mai nati; vogliamo rammentargli che furono le ambiguità dei cattolici a far decollare la legge Fortuna-Baslini, 898/1070  istitutiva del divorzio così come furono le cattoliche ACLI, i così detti bischeri e trinariciuti Cattolici Democratici (Gozzini, Prodi, Scoppola, La Valle) che, nel referendum nazionale, 1974, abrogativo della suddetta legge, spinsero alla vittoria il NO (59,3%); vogliamo ricordargli, inoltre che, con  l’ex DC e scout AGESCI, Matteo Renzi, primo ministro imposto e non eletto, è stata accordata al divorzio la “forma breve” fai-da-te; vogliamo ancora ricordargli che, proprio lo scorso anno, dal 1 al 6 agosto, presso il Parco di San Rossore in Pisa, durante la Route nazionale dello scoutismo, cosiddetto cattolico  – ospite d’onore il medesimo ex Matteo Renzi – la maggioranza dei “capi” e della dirigenza si è pronunciata, per una quasi coerenza genetica con l’anglicano imperialista fondatore Baden Powell, per una visione dell’omosessualità intesa quale realtà affettiva, fervida di valori umani; vogliamo ricordargli che preti come il defunto Don Alessandro Gallo, l’antiglobal e cappellano dei “black blocks” don Vitaliano della Sala, don Farinella, don De’ Capitani, i cardinali Kasper, Maradiaga, Bagnasco, il vescovo Galantino, Forte e compagnìa recitando, militano con lui per l’eversione e per il necessario aggiornamento dell’etica cristiana nei termini mondani e liberali a lui tanto cari nella stesura di un “Vangelo secondo Pannella”.

No, Papa Bergoglio non è l’unico ad averlo capito, anche se è l’unico ad avergli detto, con tono adulatorio quanto ignobile: “Caro Marco, sia coraggioso, vada avanti così!”, esortazione a seminare ancor più la zizzania e il tossico suo liquame nel campo del Signore.
Non è stato, Papa Bergoglio l’unico ad averlo capito e promosso nella via del male. C’è anche UNO  che lo ha ben capito -  oh, se lo ha capito! – Uno che si definisce UNO/TRINO a cui dovranno rendere conto lui e coloro che a lui, novello Voltaire, offrirono appoggio e consenso.

segue

Parte terza
-  Nozze gay: le opinioni dell’arcivescovo di Dublino e di Mons. Galantino;
-  “Il sì alle nozze omosessuali, una sconfitta per l’umanità”; 
-    Le perle de “La Domenica”.
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giugno 2015

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