|
|
LA TORRE DI BABELE La confusione ecclesiale a colpi di follìa di L. P.
Parte
terza
G - Nozze gay: le opinioni dell’arcivescovo di Dublino e di Mons. Galantino H - “Il sì alle nozze omosessuali, una sconfitta per l’umanità” I - Le perle de “La Domenica”. Parte prima A – In nome del Papa i missionarî assolvono il peccato di aborto B - La Chiesa apre l’ufficio che aiuta a separarsi C - Castro vede il Papa “Con Francesco tornerei cattolico” Parte seconda D - Se la sofferenza dei bambini lascia il Papa senza parole E - “Io vescovo cattolico insegno il Corano per salvare i bambini” F - Pannella si inginocchia a Papa Francesco. “Non mi ha sgridato, è l’unico che mi ha capito” Carissimi lettori ed amici:
vogliamo, con una carrellata rapida ma chiara, dare notizia, a chi non
avesse ancora preso cognizione di quanto, qua e là, nel
territorio di questa Chiesa postconciliare ad opera di molti suoi
uomini, si sta verificando in termini di apostasìa, di
ribellione etica, di eversione dottrinaria, di revisionismo teologico e
di rinuncia all’evangelizzazione.
Per coloro che, al contrario, sono al corrente di quanto andremo ad esporre, valga il nostro scritto quale rinforzo alle proprie ortodosse convinzioni e conferma delle certezze nella santa fede. Perché il fine che ciascun cristiano-cattolico deve proporsi è quello di operare la diffusione della verità, cioè, la Parola di Cristo, senza tentennamenti ed ambagi, e a viso aperto. E Dio sa quanto vivo si avverta, nella comunità dei fedeli, il bisogno di vescovi, di parroci, di laici che dispensino la buona novella nel filo del comando evangelico (Mt. 28, 20) e della Tradizione. Talune notizie, di grido mondiale, sono state già ampiamente esaminate su questo sito per cui noi non ci soffermeremo con ulteriore indagine salvo che per nuove ed ultime risultanze pervenute in merito. Diamo, allora, corso di svolgimento ai punti su cui abbiamo ritenuto di dover esercitare ed assolvere il nostro dovere di vigilanza in “questa ora dell’impero delle tenebre”(Lc. 22,53). G - Nozze gay: le opinioni dell’arcivescovo di Dublino e di Mons. Galantino “La Chiesa cattolica deve fare i conti con la realtà” (Il Giornale 25 maggio 2015). Questo il primo commento che l’arcivescovo di Dublino, Diarmuid Martin ha affidato alla stampa e all’opinione pubblica mondiale all’indomani del referendum popolare con cui l’Irlanda, la ex cattolica Irlanda, ha comandato di legittimare le “nozze (!) omosessuali” – meglio: accoppiamenti - aggiungendo, poi, che “fare i conti vuol dire farli su tutta la linea”. Ma che cosa intende il prelato con questa sua uscita? Fare i conti vuol dire soltanto due cose: 1 – o azzerare tutto e chiudere un falso in bilancio; 2 – o scendere a patti sistemando la partita doppia del dare e dell’avere in termini dogmatici ed etici. Da quanto ne è susseguito, sembra che l’interpretazione, da considerare come scelta della Gerarchìa, sia la seconda stante le sbuffate di borotalco che, su tutta la questione rovente, alcuni esponenti della Katholica, han provveduto a dirigere con lo scopo di non entrare troppo – diremmo: per niente - in collisione con una cultura demoniaca, travestita dalla nobile categorìa del “diritto civile”, una cultura che sta divorando gli ultimi fortilizî della morale naturale e della teologìa cristiana. Ė il trionfo del “capo ha cosa fatta” (Inf. XXVIII, 107), del protervo consolidamento di talune culture per le quali c’è solo da prendere atto considerandole, con logica aberrante come in questo caso, come controparte con cui dialogare. E, contestualmente, testimonia la debolezza di una Gerarchìa che, imbolsita dal tossico delle piacevolezze mondane, ubriaca di visibilità mediatica, obesa di astute lodi altrui, inquinata dalla voglia di democrazia collegiale, stordita dai sensi di colpa che la portano a chiedere perdono anche per le nefandezze altrui, ha stolidamente e colpevolmente perso il punto d’orientamento vagando come sperduta dietro le fatue chimere dell’ecumenismo senza riuscire ad affermare la parola di Colui che è Via, Verità e Vita. Un esempio: che cosa è successo con la massoneria mondiale? Considerata come multiforme realtà di fatto, le è stata depennata, con la de-forma del CDC, 1983, la condanna contenuta nel canone 2335 del vecchio medesimo Codice del 1917, condanna riportata, però, per un colpo di coda della coscienza o per un moto di vergogna, in una dichiarazione della SCDF del 1983 a firma J. Ratzinger - e che l’informazione mondiale furbescamente ignora - che si può paragonare ad una ipotetica deliberazione con cui il delitto di omicidio viene cassato dal Codice Penale ma contemplato in un’Ordinanza Ministeriale. Sul voto irlandese sono intervenuti, a dire la loro, i grossi calibri dell’apparato vaticano con argomentazioni allineate sull’ormai solidificato metodo del dialogo che, diciamola schietta, altro non è che il paludamento della tremebonda viltà, dell’apostasìa e della corruzione del clero, con la foglia di fico targata rispetto e riconoscimento della cultura altra (ammesso che l’ideologìa omosessualista sia cultura e non piuttosto subcultura ed immoralità). Poteva mancare la voce del Segretario CEI, il Mons. Nunzio Galantino, colui che (QN 13 maggio 2014 – giorno di Fatima!!!) aveva definito “visi inespressivi” quei giovani che recitavano il santo Rosario davanti alle cliniche abortiste? No, non poteva mancare, lui sempre così garrulo e ubiquo in ogni circostanza. «Frena però il segretario CEI, mons.
Galantino, secondo cui, sul tema dei matrimonî omosessuali,
“prevale un delirio dell’emotività e un sonno della ragione”.
Galantino ha auspicato un confronto libero da “forzature ideologiche”
ma ha ribadito che la Chiesa non accetta “equiparazione” tra le unioni
omosessuali e quella che lui non chiama famiglia tradizionale ma
costituzionale”. “Ci vuole la serenità del confronto, mettere da
parte le passioni eccessive per fare il bene di tutti e se questo non
lo favorisce uno Stato, un governo, chi altro deve farlo? Io chiedo che
ci sia un tavolo nel quale incontrare e non scontrarsi . .».
(Il Giornale idem).
Avete letto bene, vi sono chiari i termini dialettici, sinuosi e serpentini, vi è chiaro il capovolgimento etico del segretario CEI? Non sia mai che la difesa dell’ortodossìa diventi delirio e sonno della ragione! Come se i grandi apologeti, i santi Padri: Giustino, Ireneo, Ambrogio, Agostino, Lattanzio, Ippolito siano stati degli irruenti mentecatti gettatisi nella mischia alla ventura, menando colpi ora qui ora là. In quanto, poi, al sonno della ragione si ricordi il Segretario CEI che la ragione criminale, funesta e tragica è proprio quella dèsta, quella illuminata, quella che, dove sì è svegliata, ha prodotto vittime, pianti e macerie. Vale rammentare la fiaccola della ragione vigile che guidò la rivolta luterana con le guerre contadine, le rivoluzioni nella Francia del 1789, nella Russia del 1917, nella Germania del 1933, nella Spagna del 1936, nella Cina del 1950, nella Cuba del 1963: tempi e luoghi dove la morte, con la firma di Satana, falciò milioni di persone in nome proprio della ragione illuminata e dei grandi miraggi libertarî. Meglio che la ragione, una certa ragione, dorma, eccellenza, e sogni senza provocar danni. A lei, poi, non interessa che, nell’accoppiamento omosessuale, deflagri il peccato più odioso e abominevole, quello che il Signore ha bollato con i castighi più orrendi? a lei non interessa che le anime dei peccatori rischino di bruciare nel fuoco dell’inferno, un fuoco che è più rovente che non quello delle “passioni eccessive” di cui sopra? a lei non interessa affatto la salvezza dell’anima, salus animarum suprema lex? No! a lei, principe della Chiesa, interessa soltanto – si notino l’ipocrisìa consapevole e la gherminella lessico/concettuale - che il commercio carnale non sia equiparato al matrimonio, quello che lei, con un volteggio verbale, ha trasformato da “tradizionale” a “costituzionale”, aggettivo politichese quest’ultimo, attribuibile a tutto e, pertanto, liquido ed inespressivo ma, come lei sa, di forte impatto mediatico così come tale è ogni comunicato che provenga da alte autorità come la sua, soprattutto se vuoto o ambiguo così come ben chiarisce il detto medievale secondo cui “vasa inania multum strepunt” – i vasi vuoti fanno molto rumore, tipico della Gerarchìa cattolica da 50 anni ad oggi. In sintesi: sodomia sì, matrimonio no! Un’inversione dei valori incredibile in un vescovo, specialmente se segretario CEI! Argomentazione di analoga caratura a quella del Supremo Tribunale di Cassazione che, per talune sentenze, paradossalmente sembra deplorare l’omicidio purché privo del segno della crudeltà. Insomma, è la nuova adulterina adozione della paolina “kenosis” – lo svuotamento - applicata non più al Cristo ma al lessico che, come si dimostra con alcune parole totem - accoglienza, condivisione, misericordia, solidarietà, perdono, periferie. . . – veicola locuzioni e termini politichesi vuoti ma pieni di ambiguità. A mons. Galantino, interessa che, nella guerra tra Dio e Satana, nessuno si faccia male, nessuno rischi il martirio così come vuole la nuova dottrina che pone “salus corporis suprema lex” o se volete, la variante “jus hominis suprema lex”. Non è più tempo per crociate in difesa del diritto di Dio, ciarpame oramai desueto e non in linea con lo spirito somatolatrico di questi tempi. Egli invoca un tavolo attorno al quale incontrare e non scontrarsi. Un congresso di Vienna, un tavolo dove, a un certo momento, deposte le cortesi e affabili maniere, si possa lasciar spazio a una partita a ramino o a canasta, a qualche giro di valzer per, poi, riprendere i convenevoli e giungere a un pari e patta. Se gli Apostoli, se san Pietro e San Paolo avessero avuto senso pratico, mentalità tattica quale quella in possesso dell’episcopato moderno, avrebbero proposto a Nerone e al Senato una tavola rotonda, un quadrangolare, un doppio tennistico a cui far seguire i varî comunicati delle fasi della trattativa. Un accordo sarebbe stato sempre possibile con la positiva risultanza per Paolo di Tarso, di salvarsi la testa e, per Simone detto Pietro, di morire nel letto. A sigillo della sua prudente posizione, Galantino, si è vivamente raccomandato a che “La Chiesa non si arrocchi, ma eviti l’accettazione acritica” (Il Giornale 27 maggio 2015): un virtuosistico funambolismo degno dei più spericolati voli barocchetti di Gongora o di Marino. Come sia, infatti, possibile evitare un’accettazione acritica di simile argomento ove i colori sono due: bianco/nero, due le entità contrapposte: grazia/peccato, due i contendenti: Dio/Satana, è cosa che il monsignore ci deve spiegare. Se la Chiesa è la cittadella della fede, il baluardo di Dio, la nuova rocca di Sion, che vuol dire “non si arrrocchi”? che non deve combattere? E senza lotta come sarà possibile affermare la santità della parola di Dio se, per difenderla, al principio dei tempi, Michele vittoriosamente lottò, sbaragliandone le legioni, con Satana? Certamente, il Segretario CEI sarà versato nelle scienze conciliar/pastorali, nell’arte del temporeggiamento, nella filatura di rapporti sottili con la finanza e la politica italica, nelle strategìe contingenti, ma dimostra di non conoscere a sufficienza i fondamentali della dottrina cattolica, e non tanto la tomistica Summa Theologiae - II- IIae q. 154 De speciebus luxuriae a. 12: utrum vitium contra naturam sit maximum peccatum inter species luxuriae – di cui il clero gerarchico è del tutto digiuno per l’ostracismo comminato al Dottor Angelico epurato dall’ordinamento degli studî seminaristici ed universitarî, quanto, ed è più grave, la dottrina dell’Apostolo delle Genti laddove egli domanda ai suoi: “Tìs dé symphònesis Christù pròs Beliàr? – Quae autem conventio Christi ad Belial? – Quale accordo tra Cristo e Beliar?” (2 Cor. 6,15) evidenziandone retoricamente la manifesta antinomìa dei due soggetti. (torna su)
H – “Il sì alle nozze omosessuali, una sconfitta per l’umanità.” E non poteva mancare, in simile epico frangente, il pensiero autorevole, egualmente ambiguo ed elastico, del primo ministro del Papa, il Cardinale Segretario di Stato Pietro Parolin il quale ha avuto, grazie a Dio, la forza (!) di affermare che “il sì alle nozze omosessuali è una sconfitta per l’umanità”. Pertanto “la Chiesa deve tenere conto di questa realtà ma rafforzando il suo impegno per evangelizzare anche la nostra cultura” (Il Giornale 27 maggio 2015). Emerge, in questa affermazione, la connotazione antropocentrica dell’attuale teologìa conciliare per la quale ogni appello, ogni considerazione, ogni misura da prendere è convergente all’interesse dell’uomo e non di Dio. Le nozze omosessuali sono un insulto alla legge del Signore, una gravissima violazione dell’ordine naturale da Lui stabilito, prima che un’offesa all’umanità, la quale, sia detto, l’offesa se la confeziona da sola. Abbia coraggio, cardinal Parolin, di dare a ciascuno il suo con la ovvia precedenza della divinità, perché questi travestimenti od occultamenti semantici ingenerano, nel fedele, la convinzione che il danno primario riguardi solo l’uomo e in lui rimanga “etsi Deus non daretur”, locuzione di Ugo Grozio che vogliamo tradurre variandone il verbo, con “come se Dio non esistesse”. Sconfitta l’umanità è, per la diplomazia vaticana, conveniente prendere contatto con il vincitore, in questo caso il peccato di sodomia, tacerne l’abominio e salire sul suo carro. Così fan tutti, oggi. E così fecero anche i Padri conciliari quando, ritenendo il comunismo una realtà inossidabile, ne tacquero la natura eversiva ed atea, convinti di poterci dialogare e farci affari. E fu l’Ostpolitik, la nefasta intesa cordiale che annoverò, tra le sue vittime, il venerando Primate di Ungheria, il cardinal J. Mindszenty. Poi venne il crollo del muro – apparente disfacimento del comunismo – ed allora tutti a lanciare anatemi. E ora lo schema si ripete con il moloch dell’omosessualità, con una Gerarchìa assestatasi sulle comode poltroncine del dialogo. Avete poi notato, cari amici, quante volte ricorre, da 50 anni in qua, il verbo dovere, espressivo di un alcunché che si collochi nel bacino delle intenzioni? La Chiesa deve portare la parola di Dio, la Chiesa deve far sentire la sua voce, la Chiesa deve riprendere il suo ruolo di Madre e di Maestra, la Chiesa deve riunire i fratelli separati nella condivisione della… divisione, la Chiesa deve comprendere i tempi, la Chiesa deve accettare le sfide, la Chiesa deve anche evangelizzare… Ė tutto un dovere a cui non segue, quasi mai, salvo che per certi aspetti mondani, l’adozione di strumenti adatti e risolutivi. Prendiamo l’ultimo deve del cardinale Parolin : “evangelizzare anche la nostra cultura”. Abbiamo evidenziato due termini per trattenere l’attenzione su ciò che sta a monte di questa considerazione, una stupefacente considerazione. E ciò che stupisce – lo diciamo ironicamente – è la constatazione, da parte della gerarchìa, del degrado etico in cui è precipitata la comunità cristiana per la quale il cardinale invoca l’impegno ad evangelizzare anche la nostra cultura. Quella particella aggiuntiva – voce dal sen fuggita - quell’anche, è la spia di un fiasco colossale con cui si è risolto l’ottimistico presagio per quella che doveva essere, col Concilio Vaticano II una nuova primavera della Chiesa, una novella Pentecoste. Un fallimento su tutta la linea: dogmatica, etica, sacramentale, pastorale, didattica, un fallimento che ha indotto l’emerito Papa Benedetto XVI, ora cardinal Ratzinger, ad istituire, il 30 giugno del 2010, il Consiglio Pontificio per la Promozione della nuova Evangelizzazione destinato unicamente alla cristianità laicizzata, alla nostra cultura, una specie di dicastero, affidato all’arcivescovo Rino Fisichella. Quell’anche, nell’intervista, doveva essere sostituito con un “purtroppo” perché, grazie alla “nuova teologìa” l’Europa si è del tutto scristianizzata, e questa nuova struttura deve ancora dimostrare d’aver sortito risultati confortanti e visibili. Ma questo è un discorso che ci proponiamo di svolgere con tutto l’agio di tempo e con tutte le prove attestanti la sola produzione cartacea di proclami, convegni, comparsate tv, interviste, programmi e piani di studio. Oh, se solo l’arcivescovo Fisichella cominciasse dai seminarî!… E quale è stato il sentimento provato dal cardinale Parolin alla notizia del voto irlandese? Uno direbbe: sgomento, dolore, angoscia, proposito di riparazioni, interdetti, scomuniche. No, tutta roba anteConcilio sostituita dalla roncalliana “medicina della misericordia” (Gaudet Mater Ecclesia, 16), per questo il cardinale dice “sono rimasto molto triste” come se l’evento sovversivo di Dublino fosse stato un evento crepuscolare quasi la tristezza, lo spleen che sorge al finir di un innamoramento, e nulla più. Beh, non è molto. Anzi, nulla essendo, rappresenta un ulteriore colpo all’edificio della morale cattolica. Appendice:
Va da sé che lo schieramento politico nostrano, nella sua quasi totalità – estrema sinistra, sinistra, centro, destra liberale – di questa decisione “popolare” ha fatto propria, sulla scia del disimpegno cattolico, la volontà irlandese non solo riconoscendola come realtà legittima ma seguendone le dinamiche e le finalità con l’affermare la necessità che altre nazioni, nella fattispecie l’Italia, analogamente si esprimano tramite lo strumento del referendum. Il 20 giugno scorso, si è tenuto, a Roma, l’imponente “giorno della famiglia” dedicato alla “famiglia naturale” - formato “uomo/donna/figli” – quello che gli organizzatori han titolato, nella ormai incancrenita anglomanìa “Family day” – al quale raduno han partecipato esponenti politici di destra (NCD, FI), taluno in “forma privata” – vedi gli alfaniani Quagliariello, Binetti, Formigoni, Sacconi – altri in qualità di parlamentari come Gasparri (FI), Casini (UDC). Mancava l’AGESCI, quella che lo stesso giorno partecipò, di mattina, con 80 mila scouts all’udienza pubblica di Piazza san Pietro e, subito dopo, si confuse sciamando nella fiumana del Gay Pride romano eseguendo, così, il comandamento bergogliano di costruire ponti e non muri. Mancavano CL e il Movimento Carismatico, così come pesava sull’evento, quale scomunica, il giudizio negativo del segretario CEI, mons. Galantino e del suo predecessore cardinal Bagnasco. E il Papa? Francesco I Bergoglio, già solerte samaritano con Pannella e Bonino, non si è sentito di inviare il suo doveroso messaggio – diamine, mica si può sempre parlare di aborto e di omosessualità! - ma, con funzione vicaria, ci ha pensato Mons. Vincenzo Paglia, Presidente del Pontificio Consiglio per la Famiglia, un prelato di cui conosciamo già il pensiero su questa tematica, che, naturalmente, non devia da quello papale e da quello della CEI. Tattica ed ipocrisìa. Quel raduno è stato, tuttavia, inquinato da gruppi – i neocatecumenali di Argüello - e da figure che, con l’etica evangelica e biblica, niente hanno a che fare e per appartenenza ideologica a formazioni apparentemente ortodosse ma in pratica opposte e ostili, e per stile di vita del tutto alieno da quello indicato dalla “Casti connubii” di Pio XI. E, difatti, i parlamentari NCD, cattolici di nome, sono di fatto inglobati in un governo che tiene in programma il riconoscimento delle unioni omosessuali a cui l’Italia, sostengono è tenuta a pronunciarsi positivamente perché l’Europa lo chiede e lo ordina – ma guarda un po’! – e, pur declamando la propria cattolicità, costoro non schiodano dalla panca del potere. I secondi, che a chiacchiere predicano il riconoscimento e la tutela della famiglia tradizionale, sono gli stessi di FI la cui delegata ai problemi socio/familiari, la signora Mara Carfagna – alla quale abbiamo scritto lo scorso anno senza ricevere risposta – è colei che ha dichiarato che “le coppie omosessuali sono in realtà un fenomeno già ampiamente diffuso per le quali necessita colmare il vuoto legislativo” (Il Giornale 25 maggio 2015). Ma forte sorpresa, e senso di ridicolo, ha suscitato la presenza, sulla tribuna degli oratori, di tal Mario Adinolfi, un prezzemolo presente nei salotti tv, ex PD, neo convertito e direttore del già cartaceo quotidiano, ora solo on line, LA CROCE. Sentirlo difendere la famiglia naturale e tradizionale è stato un vero spasso, e tuttavia convincente, perché il tizio di famiglie se ne intende: pensate, ne ha due, la prima da cui ha divorziato e la seconda a cui è, per il momento, ancora unito. Situazione non diversa, quella del bigamo deputato UDC P. F. Casini. Hanno, cioè, difeso la famiglia – considerata nella visione cattolica – proprio coloro che l’hanno offesa e violata. Il che è tutto un dire cattolico, bergogliano, s’intende. Consigliamo, perciò, agli organizzatori del prossimo raduno, di selezionare i VIP perché con quelli visti in quell’occasione non è che la figura, e la realtà della famiglia naturale, ne possa andare fiera. (torna su)
I – Le perle de “La Domenica” – Ascensione del Signore/B – solennità - 17 maggio 2015. Nell’articolo di apertura “Cristo asceso nei cieli regna alla destra del Padre” l’esegeta di turno ci informa che San Paolo, nella 2a lettera agli Efesini, parla dei doni lasciati alla Chiesa da Cristo dopo la sua Ascensione, uno dei quali, testualmente, è “Unità nella diversità: ognuno, membro della Chiesa, porta il suo dono di grazia…”. Il fedele postconciliare, nel leggere siffatta dichiarazione, non ha difficoltà a recepire, in modo grossolano e convincendosi ancor più, che l’unità della Chiesa, secondo quanto affermano la Gerarchìa e l’insegnamento papale sulla scorta dei documenti conciliari, si realizza nel solo essere cristiano, e cioè, giusta la definizione dell’emerito Papa Benedetto XVI – unità nella diversità – nell’insieme disomogeneo delle tante chiese e dei tanti fratelli cristiani separati surrettiziamente accomunati per l’essere “cristiani”. L’esegeta ha giocato sulle generiche perché, andando a leggere l’epistola paolina, scopriamo che l’Apostolo non parla di “unità nella diversità” ma scrive: “…
avendo a cuore di conservare l’unità dello spirito per mezzo del
vincolo della pace. Un solo corpo
e un solo spirito, come una
sola è la speranza alla quale siete stati chiamati, quella della
vostra vocazione, un solo Signore,
una sola fede, un solo battesimo… A ciascuno di noi,
tuttavia, è stata data la grazia secondo la misura del dono di
Cristo” (II Ef.
3/7).
La diversità di cui San Paolo scrive, e di cui l’esegeta
massimalizza i significati, è quella della misura della grazia
che lo Spirito di Dio gradua ed irrora su ogni anima a seconda della
degnità della stessa e, soprattutto, a seconda della Sua
volontà. Ė questa la diversità, e non quella
ecumenistica, universale a cui va il pensiero del fedele con il sottile
appoggio di sponda da parte dell’esegeta. Quella di cui parla San Paolo
è una diversità individuale nell’unità
dell’ordine cattolico. Gli autori de La Domenica, che fanno il tifo per gli incontri interconfessionali – secondo papa Bergoglio “autentiche grazie” – plaudono agli esperimenti del sincretismo liturgico con cui si ammettono alla Comunione Eucaristica protestanti, scismatici – per non dire di divorziati, omosessuali, conviventi – con cui si fanno accedere all’altare nel rito della Santa Messa, buddisti, massoni, animisti. Questi autori sanno e conoscono perfettamente il pensiero di Gesù che paragonò se stesso alla vite e i fedeli ai tralci precisando che ogni tralcio che non porta frutto sarà reciso e ogni tralcio reciso e secco sarà gettato nel fuoco dell’Inferno. Lo conoscono ma lo stimano obsoleto ed inadeguato alle moderne esigenze e non temono, pertanto, di oltrepassarlo in ragione della forza dei nuovi tempi e delle mutate circostanze. Troppa acqua è passata sotto i ponti in questi 1985 anni, da quando Gesù ascese al cielo. La dottrina perenne della Chiesa considera, nonostante la nuova teologìa conciliare, ogni confessione anche cristiana ma non cattolica, come un ramo che lo scisma ha reso secco. Eppure, teologi di alto profilo che si nominano maestri in Israele, hanno, nell’incontro col mondo, cancellato la Parola di Cristo sostituendola con quella dell’antropologìa e dell’etica liberale. A fronte della sottigliezza astuta di questi esegeti modernisti ed eretici sta, invece, la solidità dell’incrollabile fede dei santi apologeti, sta la semplicità della fede del santo Curato d’Ars che, senza funambolismi o piroette dialettiche, faceva chiaro ai suoi interlocutori scismatici la loro dannazione se non fossero tornati nell’unico ovile di Cristo: la Chiesa cattolica. Ne raccontiamo uno dei tanti episodî assai significativo, utile a quanti cianciano e ciangottano di unità nella diversità. Un giorno, al termine del colloquio avuto con un esponente anglicano, il santo curato volle donare al suo visitatore una medaglia, naturalmente di religioso soggetto. Questi, ricevendola disse: «Signor Curato, voi date una medaglia a un eretico. Perlomeno dal vostro punto di vista, io non sono che un eretico. Nonostante la diversità delle nostre credenze, spero che un giorno saremo tutti e due in cielo». Il santo prese la mano dell’interlocutore e, fissando su di lui gli occhi nei quali brillava la vivacità della sua fede e l’ardore della carità, gli disse con un profondo senso di compassionevole tenerezza: «Ahimé, mio caro, non saremo uniti lassù che nella misura in cui avremo cominciato a esserlo sulla terra: la morte non potrà modificare niente. Dove l’albero casca, lì resta». L’anglicano, con garbo gli obiettò: «Signor Curato, mi fido di Cristo che ha detto: “Chi crederà in me, avrà la vita eterna”». «Ah, amico mio, il Signore ha anche detto ben altro. Ha detto che chi non avrebbe ascoltato la Sua Chiesa doveva essere considerato come un pagano. Ha detto che non ci doveva essere che un solo gregge e un solo pastore, e ha stabilito San Pietro come capo di questo gregge. Mio caro, non ci sono due maniere per servire il Signore; non ce n’è che una, di servirlo cioè come Egli vuole essere servito». Si racconta che l’anglicano, rimasto solo, fu preso da un turbamento mai provato. Più tardi tornò dal curato, si confessò avviandosi così alla conversione (cfr. Alfred Monnin: Spirito del Curato d’Ars – ed. Ares 2009 pag. 172/173). Una circostanza simile, ma con esiti opposti, s’è verificata, con l’onore delle cronache e con squilli di trombe, in quell’ibrido incontro avvenuto tra Papa Bergoglio e la gerarchìa valdese il 22 giugno 2015. Ma di questo parleremo in maniera distesa e puntuale. Alla Parte seconda (torna
su)
luglio 2015 |