Assisi, dove la terra ha tremato


Pubblichiamo un articolo dell'abbé Claude Barthe,
a proposito della convocazione delle religioni del mondo
ad Assisi, annunciata da Benedetto XVI per il prossimo ottobre.

L'articolo è apparso sul giornale francese “Présent

n° 7259 di venerdì 7 gennaio 2011



Assisi, dove la terra ha tremato

Come nel 1986 e come nel 2002, così nel 2011.
Il 1 gennaio, il Papa ha parlato del pellegrinaggio che vorrebbe compiere ad Assisi, nel prossimo ottobre, per due motivi: «commemorare» il gesto storico compiuto in questo luogo da Giovanni Paolo II, e «rinnovare solennemente l’impegno dei credenti di tutte le religioni a vivere la loro fede religiosa come un servizio alla causa della pace». Per far questo egli ha invitato ad unirsi al suo pellegrinaggio i «cristiani delle diverse confessioni, i rappresentanti delle tradizioni religiose del mondo e, idealmente, tutti gli uomini di buona volontà».

Tempesta in un bicchier d’acqua?

Si può dire che la 1a giornata di Assisi, la più spettacolare, sia stata pastoralmente catastrofica. La seconda, alla quale il Card. Ratzinger accettò di partecipare a malincuore, è stata caratterizzata da una pioggia di dichiarazioni destinate a gelare gli entusiasmi dei teologi «da rottura». Allora, perché oggi una 3a?

Questo tipo di avvenimenti si muove su due piani, uno restrittivo per i testi esplicativi, l’altro devastatore per le immagini che si diffondono nel mondo intero. Dal punto di vista dei testi, Assisi III sarà sicuramente una manifestazione blindata al pari delle prime due: Giovanni Paolo II aveva spiegato che i rappresentanti delle religioni si trovavano lì «insieme per pregare» e non per «pregare insieme»; Benedetto XVI compie un pellegrinaggio a San Francesco, al quale invita ad unirsi i rappresentanti delle religioni. Ma, di contro, l’uomo della strada e il cattolico comune saranno pericolosamente confortati nel loro indifferentismo pratico. Anche se il cattolicesimo del tempo di Benedetto XVI rifiuta le categorie imposte dai Lumi, esso dà l’impressione di disporsi per sopravvivere nel mondo edificato da questi Lumi, mutuandone anche il linguaggio: il servizio della pace nel democraticismo mondiale, il quale copre, per dirla debolmente, la più egoista delle società. Salvo che, molto probabilmente, l’avvenimento non rischi di fare fiasco, esitando tra un incontro liturgico «ricentrato», che è il carisma di questo papa, e le formule pastorali spettacolari del papa precedente.

Allora? Tempesta in un bicchier d’acqua? Ebbene, sì! Perché, se per quanto riguarda l’avvenimento si tratterà possibilmente di una bolla di sapone, per ciò che riguarda le dichiarazioni, che spiegheranno che il tutto si colloca nella continuità con la Tradizione, si avrà soprattutto una specie di usura: come se, con l’avanzare del postconcilio, Roma desse l’impressione a se stessa e agli altri che tutto questo in fondo non è molto importante.

E tuttavia, io rimango ottimista su questo annuncio di Assisi. Abbiamo visto il Card. Ratzinger ritornare a più riprese, in maniera molto edificante, su certe prese di posizione azzardate (1) che danno l’impressione che in lui la riflessione teologica più folgorante (penso, tra l’altro, alle sue digressioni sul primato apostolico in La Parole de Dieu, ed. Parole et Silence, 2007) talvolta lascia trasparire certi resti di una formazione in seminario un po’ carente.


Il dialogo interreligioso secondo Benedetto XVI e sotto Benedetto XVI

Gli sviluppi del discorso di Ratisbona del 17 settembre 2006, fanno parte di queste folgorazioni. Secondo lui, il vero significato del dialogo interreligioso era il seguente: il cristianesimo delle origini aveva dialogato non con le religioni dell’epoca, ma con le filosofie antiche, le quali, secondo Pascal, preparavano al cristianesimo; in seguito, dopo l’età moderna, l’esercizio della ragione è divenuto razionalista; e allora, si tratta di mettere in evidenza l’attesa profonda che può trovarsi nel fondo delle religioni, venute in contatto in due millenni col cristianesimo, e di dialogare con gli uomini religiosi sul piano della retta ragione.

Tutto questo diretto contro il dialogo interreligioso «di rottura», che Joseph Ratzinger aveva puntualizzato nella dichiarazione Dominus Iesus, del 6 agosto 2000. Questo dialogo interreligioso «avanzato», non solo ha cessato di essere missionario, ma è perfino divenuto missionario della modernità: il cristianesimo, al posto di cercare di sostituire le altre religioni come un tempo, avrebbe ormai la vocazione di sbarazzare tutte le altre religioni dalla loro pretesa all’assoluto rappresentata dai loro dogmi e dai loro divieti.

Tuttavia, si tratta di sapere se, nella ricerca di una ragione naturale anteriore, o comunque esteriore, alla ragione teologica, non possa esserci una relativizzazione di secondo grado del dogma. In particolare, nel quadro di una ragione pratica: l’idea che la religione di Cristo e le religioni del mondo possano operare insieme come tali, in vista di obiettivi umani come ridurre la povertà nel mondo, arrestare l’aids, diffondere la democrazia, far progredire la causa della pace, mettendo tra parentesi Cristo, anima stessa dalla carità – posto che tali obiettivi siano in tutto o in parte fondate su di essa – presuppone la dimenticanza dell’ideale di cristianità (ricondurre tutto all’imperio pacifico di Cristo).

Certo, fare agire gli uomini secondo Cristo, anche se essi non lo conoscono, è eminentemente lodevole. Ciò che è problematico è l’operare insieme, a parità di religioni, se posso osare dirlo, dal momento che per esse si tratta della pace in un mondo migliore. Questa relativizzazione moderata del cristianesimo col riconoscimento di una esistenza delle religioni, un poco più che sociologica e un poco meno che soprannaturale, è al centro del dibattito aperto attorno a Nostra Aetatae, il testo conciliare sui fondamenti di un nuovo dialogo interreligioso, uno dei più discussi del Vaticano II.

Che le religioni contengano di fatto eventuali «semina verbi», per parlare come facevano certi Padri della Chiesa a proposito delle filosofie generate da Platone, grazie alle quali degli uomini di buona fede possono iniziare un cammino per giungere visibilmente alla salvezza nella Chiesa, è notorio. Ma questo non eleva queste religioni del mondo, in quanto religioni, al rango di portatori di diritto di tali elementi, in quanto elementi di salvezza. Proprio al contrario: poiché la loro qualità di sistemi che hanno la pretesa – spesso ad imitazione del cristianesimo – di condurre alla salvezza o a qualche equivalente, fa sì che proprio per questo siano l’ostacolo principale alla sola salvezza possibile, quella data da Gesù Cristo per mezzo della Sua Sposa. I membri delle religioni, se giungono alla salvezza, vi giungono non per, ma malgrado ed anche contro queste stesse religioni. E d’altronde, più un sistema religioso contiene degli elementi che possono indicare la via della salvezza in Gesù Cristo – al limite il giudaismo postcristico – più è inevitabile che esso sia, in quanto religione costituita – in specie, una religione fondata sul rifiuto della divinità del Messia – un ostacolo per entrare nell’Arca della salvezza.

Possiamo dirlo diversamente: l’immensa ambiguità del dialogo interreligioso contemporaneo consiste in un illusorio giuoco di specchi. La Chiesa (intendo, gli uomini di Chiesa) presta (prestano) a delle realtà sociologiche che rappresentano oggettivamente, se il nostro Credo ha un senso, delle strutture di peccato intellettuale, delle qualità che sono proprie alla Chiesa stessa e che derivano dal suo essere soprannaturale. In realtà, si fabbricano delle fantomatiche religioni a propria somiglianza per farne degli interlocutori, quando invece i suoi soli interlocutori possibili sono gli uomini di buona volontà.

Una conversazione con un prelato, che mi parlava con molto disinganno, e che era incaricato del dialogo ecumenico, sia di quello con i cristiani separati sia di quello con le religioni del mondo, è stata molto illuminante. Egli mi spiegava che in entrambi i casi, la Santa Sede si comporta come se il cattolicesimo avesse a che fare con delle realtà comunitarie, istituzionalmente e spiritualmente unite, com’è la Chiesa, con un papa e dei vescovi, organi umani di una intangibile Parola divina. Ora, non è per niente così: le chiese separate e le religioni del mondo sono delle realtà disarticolate talvolta all’estremo, senza una gerarchia unificata, e la cui unità-continuità, a differenza di quella della Chiesa, è anche indefinibile sia nel tempo sia nello spazio.

Ed ecco che capita che Roma abbia una grande difficoltà a far emergere dei reali interlocutori, i quali in definitiva rappresentano solo loro stessi. E, aggiungeva il prelato, questo si trasforma perfino in una manna per le confessioni protestanti in fallimento e per un certo numero di religioni in pericolo, perché dal dialogo interreligioso con la Chiesa di Roma esse traggono del lustro.

Per di più, io credo, questo dialogo ignora degli ambiti immensi relativi a delle religioni attuali la cui esistenza è molto pregnante e in piena espansione. Tre le altre: gli innumerevoli movimenti tele-evangelici che raccolgono un pubblico considerevole, il pullulare delle sette sincretiste dell’Africa e dell’America del Sud, lo spiritismo, la chiaroveggenza, le mille forme di religiosità “fai da te”, che tutte insieme hanno un totale di adepti pari al buddismo e forse all’Islam.

Dal pastorale al politico e ritorno

 Benedetto XVI, quando diede la comunione a Frère Roger, il fondatore di Taizé, l’8 aprile 2005, in occasione delle esequie del Papa Giovanni Paolo II, avrebbe confidato che si era chiesto: «Che ne dirà la Fraternità San Pio X?». In ogni caso, egli non può non avervi pensato quando ha annunciato un’Assisi III, sapendo come aveva pesato Assisi I, nel 1986, nella decisione che due anni dopo Mons. Lefebvre prese di consacrare dei vescovi in maniera autonoma. Ma si può supporre – entrando per un attimo nel dominio delle pure ipotesi – che, ben deciso a tendere la mano in maniera decisiva a Mons. Fellay, egli, con la sua decisione «progressista» di una riunione delle religioni spettacolare e variopinta, voglia compensare il gesto altamente restaurazionista dell’erezione di qualcosa come una Prelatura San Pio X.

D’altronde, una tale misura, insieme ad altre dello stesso tipo, è quanto mai urgente. È da troppo tempo, infatti, che la Chiesa non riesce a ritrovare l’uso abituale degli elementi unitivi della sua comunione di fede, che sono i pronunciamenti dottrinali definitivi e le dichiarazioni d’esclusione di coloro che si allontanano dal Credo; la presenza di istanze informali che interpellino i Successori degli Apostoli e il Successore di Pietro – e cioè, la diffusione della liturgia non riformata, la crescita di un sacerdozio identitario, la presenza di comunità refrattarie alle innovazioni mortifere, la strutturazione catechetica di un mondo di famiglie cristiane – sarà particolarmente preziosa.

Così come dall’amaro Dio può trarre il dolce, chi può sapere se la riunione d’Assisi non possa essere intesa come un appello del Vicario di Cristo a tutti gli uomini di buona volontà (Lc 2, 14: la pace agli uomini ai quali Dio accorda la sua benevolenza, la sua eudokia), per diffondere il dono della conversione e della grazia divina che il Principe della Pace è venuto a proporre agli uomini che vorranno riceverlo? Allora si vedrebbero ad Assisi solo pochi pellegrini, che non interesserebbero più alcuna televisione, ma che sarebbero pronti ad abbracciare la penitenza e la fede in Gesù Cristo.

Abbé Claude Barthe

NOTA

1 – In Foi chrétienne hier et aujourd’hui, Mame, 1969, p. 192 [Introduzione al Cristianesimo, 1969, Queriniana, Brescia, nuova ed. 2000], Joseph Ratzinger riteneva che la filiazione divina di Gesù non si fondasse, secondo la fede della Chiesa, sul fatto che Gesù non ebbe un padre umano, e pensava che la dottrina della divinità di Gesù non sarebbe messa in dubbio se Gesù fosse nato da un matrimonio normale. Ma in Die Tochter Zion, Einsideln, 1977, pp. 49-50, egli corresse queste curiose dichiarazioni che equivarrebbero ad affermare che si potrebbe ritenere San Giuseppe «Padre di Dio» senza danno per la fede cristologica. (torna su)






gennaio 2011

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