ROMA,
DA RIBALTATA A DECENTRATA


di L. P.





La stampa, concorde anche questa volta con il gesto rivoluzionario di Papa Bergoglio - in visita pastorale nei paesi africani - ha salutato con entusiasmo da stadio la decisione papale di aprire ufficialmente l’Anno Santo, il Giubileo della Misericordia – tautologia meramente mediatica e sovrabbondante dacché il Giubileo è, di per sé, istituzione della Misericordia stessa – non più in Roma, sede del Vicario di Cristo, della tomba dei due Apostoli Prìncipi della Chiesa, centro e faro irradiante del Cristianesimo, ma in Bangui, capitale della Repubblica Centrafricana, definita, per l’occasione “Capitale del mondo” (Il Giornale, 30 novembre 2015).

Abbiamo titolato Roma come ‘ribaltata’, mutuando l’espressione dall’ottimo e prezioso saggio di Enrico Maria Radaelli (La Chiesa ribaltata – Ed. Gondolin 2014) per indicare come il primato della prassi e della pastorale bergogliana stia operando un completo sovvertimento della dottrina e della bimillenaria  storia, che la Chiesa, cioè Gesù Cristo, ha fissato e tracciato nel corso dei secoli. 

Già l’affacciarsi, la sera del 13 marzo 2013, al balcone della Basilica petrina e il presentarsi alla Cattolicità, appena dopo la sua elezione a Sommo Pontefice, esordendo con un “buonasera”, ha fatto comprendere come la Roma Vaticana sarebbe stata considerata, da allora ed in séguito, non più “locus terribilis” (Gen. 28, 17) – cioè sacro -  sede ed altare di Cristo, ma soltanto un tipo di salotto dove alla diffusione del messaggio divino e al parlar evangelico si sarebbe sostituito il garbato galateo mondano.
Questo, il primo ribaltamento che, alla maggioranza torpida e beota, è parso “apertura” di una nuova Chiesa, cortese, alla mano, fuori schema ieratico, maggiormente vicina all’uomo – e più distante da Dio! – tanto più che il novello Papa, di nome Francesco, ebbe a definirsi, e si definisce tuttora, “Vescovo di Roma”, con ovvia grande letizia di quel mondo, combattuto da Cristo, che finalmente si trova accanto non il Vicario del Figlio di Dio, ma un’autorità che, omettendo di salutare i fedeli con l’unica conveniente e dovuta formula “Sia lodato Gesù Cristo”, lanciava la ‘buona sera’, così come oggi, i sacerdoti, a Santa Messa conclusa, dopo la benedizione, si sentono in dovere di impartire un familiare augurio di “buona giornata”, tanto per rinforzare col bon ton, non si sa mai ce ne fosse bisogno, la precedente data in nome della Santissima Trinità.

E non solo “Roma ribaltata” ma anche “decentrata”, del che è facile intuire la ragione in quanto, avendo spostato il perno su cui poggia l’intera trascendenza, di cui un segno eminente è il Giubileo, di fatto quella che era CAPUT MUNDI è diventata punto di circonferenza, entità periferica cioè. E non vale che essa Roma, sia il luogo della cattedra “stabilita per lo loco santo/u’ siede il successor del maggior Piero” (Inf. II, 24), che essa sia erede e  mutazione ontologica dell’Impero romano da temporale in spirituale, intesa quale “kathechon” (II Tess. 2, 6 e segg.), argine e diga all’irruzione dell’Anticristo, colui “qui tenet, scilicet romanum imperium” (S. Tommaso: op. LXVIII De Antichristo).
Pertanto, con un’operazione di scenografica, massmediatica e politica pastorale, Papa Bergoglio ha tramutato Roma, il centro, in “periferìa” – termine a lui sì caro – e la periferìa in centro. Di fatto, lo stesso Papa, aveva cancellato la centralità di Roma quando, l’8 giugno del 2014, con affettuoso slancio, aveva ospitato nei giardini vaticani i rappresentanti del mondo palestinese ed ebreo e, unitamente a loro, pregato per la pace in nome di un Dio generico, decolorato, non cattolico ma ecumenistico, così come vuole e impone la massoneria.

E allora, la Porta Santa, la Porta della salvezza, quella collocata nella Basilica di San Pietro, la “porta justitiae” in cui “justi intrabunt” (Salmo 117, 19), sarà da oggi declassata a porta di servizio, una delle tante di cui dispongono le sacre stanze, un po’ meno santa dell’altra aperta nella cattedrale di Bangui.

Sarà, come scrive il buon Rino Cammilleri (Il Giornale 30 novembre 2015), che l’Africa cristiana rappresenta la nuova Chiesa rispetto alla vecchia europea, una Chiesa che sola s’è dichiarata, nell’ultimo Sinodo, contro le degenerazioni teologiche nordeuropee in tema di aborto, omosessualità, divorzio – e non saremo certo noi a contestare questa radiografìa, pur nutrendo forti riserve in termini di strategìa dacché avremmo apprezzato, ed esultato, se nel predetto scellerato Sinodo costoro, i prelati africani, avessero abbandonato, quale testimonianza e prova della loro adesione alla parola di Cristo, i lavori – sarà che l’Africa sta conoscendo, per mano di un fanatismo islamico, che Papa Bergoglio colpevolmente omette di indicarne la matrice religiosa riparandosi dietro l’indicazione di un generico terrorismo, sta conoscendo, dicevamo, un fiorire continuo di martiri, monito severo e luminoso per il pigro e liberal cattomassonico europeo che fugge la testimonianza della propria fede con accorgimenti dialettici e cavillosi tanto per non apparire vile e codardo, come in effetti è.

Sarà anche così, ma è anche vero che Roma è Roma e a nessuno è lecito portarle via il primato che si configura anche, e non solo, nell’indizione e nell’apertura del Giubileo. Noi vogliamo ricordare che Gesù non celebrò la sua Cena, ove istituì Se Stesso facendosi vita eucaristica e Porta Santa, non patì la Passione e la Morte, non si glorificò nella Resurrezione in un periferica località di Giudea o di Galilea, ma completò il disegno del Padre a Gerusalemme, il centro, il perno, il fulcro su cui poggiava la Vecchia Alleanza e dove nasceva quella Nuova. Se Gesù avesse agito secondo lo spirito bergogliano – l’attenzione somma ed unica alla povertà del mondo – avrebbe dovuto compiere l’opera della salvezza in qualche desolata e dimenticata landa dell’impero romano ove il morso della povertà, della violenza, della fame maggiormente incrudeliva che non in Gerusalemme. Egli preferì soffrire in quella che, nella lettura della prima Domenica di Avvento – 29 novembre 2015 -  il profeta Geremìa chiama “Gerusalemme, nome che vuol dire: Signore, giustizia nostra” (XXXIII, 16).

Nel libro degli “Atti di Pietro”, opera apocrifa greca attribuita a tale Leucio Carino – II sec. – e tradotta in latino, si legge la famosa e nota scena di Pietro che sta fuggendo da Roma ove imperversa la persecuzione di Nerone. Sulla Via Appia, dove l’apostolo sta camminando, appare Gesù che, carico della Croce, va in senso contrario. A Pietro che, sorpreso, chiede: “Quo vadis Domine?” – Dove vai o Signore? – Gesù risponde: “Eo Romam, iterum crucifigi” – vado a Roma per essere di nuovo crocifisso -.
Ora, qualcuno ci potrà contestare non probante tale testimonio, apocrifa essendo questa fonte. Noi, però, affermiamo che, siccome addirittura la letteratura apocrifa indica Roma il luogo dove Gesù sarebbe disposto a farsi di nuovo crocifiggere, chiaro appare il primato dell’Urbe, la nuova Gerusalemme, predestinata già con l’istituzione della Chiesa (Mt. 16, 18/19) e sancita con il martirio del primo Vicario di Cristo. Perciò, Roma cattolica, capitale del mondo e non Bangui.

Aprire ufficialmente l’Anno Santo giubilare, fuori dalla sede istituzionale, così come ha fatto Papa Bergoglio, è come se un nuovo Parlamento celebrasse la seduta d’apertura della legislatura in un’aula di consiglio comunale. Ma forse sarebbe bene ricordare che è nello stile di questo Pontefice derogare e sradicare forme e liturgìe secolari – l’ossatura della Katholika – così come dimostra, fra i tanti esempî, la cerimonia della lavanda dei piedi che ha celebrato non in San Giovanni in Laterano, sede tradizionale, figurando come apostoli i suoi cardinali, ma scegliendo il carcere  romano di Rebibbia figurando colà detenuti/e cristiani e non cristiani. Ma di questo parlammo in un nostro precedente scritto sempre su questo sito.

Ma, poi: come non ricordare le parole di Cristo, così come racconta Matteo, che all’obiezione  dei discepoli con cui essi disapprovarono quell’inopportuno uso di profumo, che per loro era ricchezza da devolvere ai poveri piuttosto che sprecarlo per lavare i piedi al maestro, così rispose: “Perché infastidite questa donna? Essa ha compiuto un’azione buona verso di Me. I poveri, infatti, li avete sempre con voi, Me, invece, non sempre mi avete” (26, 10/11).






novembre 2015

AL SOMMARIO ARTICOLI DIVERSI
AL PONTIFICATO DI PAPA FRANCESCO