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Don Emmanuel du Chalard parla di S. Ecc. Mons. Marcel Lefebvre Don Emanuele è stato uno dei primi collaboratori di Mons. Marcel Lefebvre. Fin dai primi anni in Italia, è stato uno dei più importanti artefici della diffusione della Fraternità in Italia. Da allora ha sempre tenuto dei rapporti informali con la Santa Sede per conto della Fraternità, acquisendo una particolare conoscenza delle diverse vicende che hanno caratterizzato il rapporto fra Roma ed Ecône. L'intervista, di Marco Bongi, è stata pubblicata sul sito del Distretto Italiano della Fraternità San Pio X ![]() Don Emanuele a Ecône nel 1971 (con in mano il pastorale di Mons. Lefebvre) Don Emanuele, Lei è stato uno dei
primi sacerdoti ordinati da Mons. Lefebvre dopo la fondazione della
FSSPX. Gli è poi stato vicino per molti anni. Ci può
brevemente descrivere la sua personalità nella vita quotidiana,
al di là dei momenti pubblici?
Prima di tutto mons.
Lefebvre fu per noi un padre e un esempio. Sempre attento a tutto anche
ai più piccoli dettagli. Voleva che il seminario fosse semplice
ma pulito e ordinato. Viveva in seminario come noi, seguiva lo stesso
orario, era sempre presente a tutte le preghiere comunitarie, prendeva
i pasti in refettorio con i seminaristi, non chiedeva mai niente di
speciale per lui. D’altra parte non gli piacevano i favoritismi.
Era molto attento alle persone, sempre pronto ad ascoltare i
seminaristi, si poteva andare a trovarlo nel suo ufficio quando si
voleva, sembrava che non avesse mai altre cose da fare. Fu un esempio
di disponibilità. Aveva sempre una grande attenzione per gli
ospiti, una conversazione gradevole e gli piaceva l’umorismo o la
battuta. Trasmetteva un senso di gioia oltre che di pace e
serenità. Era un uomo buono, ma era soprattutto un sacerdote e
un vescovo vicino a tutti. Per vederlo o avere un appuntamento non era
difficile: non aveva un segretario privato, si gestiva tutto da solo,
appuntamenti, corrispondenza, organizzazione dei viaggi.
Il suo stile di vita fu un esempio per noi tutti. E possiamo serenamente affermare che la Fraternità San Pio X ha improntato il suo modo di vivere più sull'esempio del suo fondatore che traendolo dal suo insegnamento. Ci può raccontare qualche aneddoto inedito da lei vissuto accanto a Mons. Lefebvre? Non saprei, ma posso
affermare che più ho conosciuto e frequentato Mons. Lefebvre,
soprattutto nel contesto romano, più mi sono reso conto che era
davvero un grande uomo di Chiesa. Ben pochi hanno avuto la sua
esperienza maturata dalle responsabilità ricevute. Conosceva la
Curia Romana e i suoi meccanismi alla perfezione. Praticamente, per una
ragione o per un'altra, aveva frequentato tutti i dicasteri
vaticani. Non solo conosceva bene la Chiesa e i suoi problemi ma aveva
di essa una visione di fede e soprannaturale. Tutto ciò faceva
di lui un ecclesiastico di grande statura.
Egli si mise la testa fra le mani e
disse con tono molto addolorato: “È la distruzione della
missione”. Era la sua anima profondamente missionaria chi reagiva.
Ho sempre constatato in lui un grande rispetto per la gerarchia ecclesiastica. Forse la sua timidezza, e anche questo rispetto, facevano sì che se un cardinale nella conversazione affermava un errore o diceva cose sbagliate, generalmente Monsignore taceva e non parlava più. Per lui era inconcepibile che un uomo di Chiesa potesse parlare così. E uscito dall’incontro mi diceva “Ma come è possibile che il cardinale possa affermare queste cose!” Era sbalordito. Fu per lui una tragedia certamente il trovarsi in opposizione con Roma e con il Papa. Lui che per decenni fu incoraggiato dal Papa per il suo apostolato in Africa, non concepiva come non potesse più lavorare nello stesso spirito e con lo stesso zelo. Qualche cosa era cambiato con il Concilio. In tali situazioni fu solo la sua gran fede a guidarlo, e fu una fede fino all’eroismo. Pagò con la sua persona. Nella fede infatti c’è un ordine. La Chiesa è al servizio della Verità (Verità soprannaturale), la Chiesa è la guardiana della Verità, non fa la Verità e non può cambiarla. Poi essa deve trasmetterla nella sua integralità. La Chiesa è anche al servizio delle anime, e ha la responsabilità della loro salvezza. Tutto il resto deve essere ordinato in funzione della Fede e della salvezza delle anime. Furono questi concetti che guidarono Monsignor Lefebvre in questi anni di difficoltà con Roma. Egli era persuaso che un giorno Roma ringrazierà la Fraternità per la sua difesa della fede e per tutti i sacrifici fatti. Io personalmente sono convinto che un giorno la Chiesa riconoscerà la fede eroica di questo vescovo. Lei fu accanto a Mons. Lefebvre anche nel momento in cui decise di ordinare i quattro vescovi della FSSPX. Come vennero vissuti quei giorni? Quale fu il fatto decisivo che lo portò a questa difficile scelta? Non fui il solo sacerdote a
seguire da vicino questo momento delicato dell'esistenza di Monsignore
e della vita interna alla Fraternità. penso che Padre Franz
Schmidberger, che era allora il Superiore Generale e i quattro che
furono consacrati Vescovi, potrebbero testimoniare meglio di me.
Ci furono essenzialmente tre tappe per questo cammino: la decisione di
consacrare, quando farlo e infine la consacrazione stessa.
La prima tappa fu lungamente preparata con una riflessione personale sulla crisi della Chiesa. Molto probabilmente chiese pareri a persone competenti e soprattutto pregò molto. Si sa, ad esempio, che per almeno un anno Monsignore si alzò tutte le notti per pregare un’ora davanti al Santissimo Sacramento allo scopo di avere le grazie necessarie per capire quello che doveva fare. L’ho sentito dire: “Potrei lasciare le cose come sono, e poi Il Signore provvederà per il futuro della Fraternità, ma il Signore mi potrebbe dire anche il giorno del giudizio: ha fatto tutto quello che poteva come vescovo?” A mio umile avviso sarebbe sbagliato pensare che Monsignore abbia preso questa decisione solo per la Fraternità e il suo avvenire. Certamente, egli vedeva piuttosto il bisogno della Chiesa in generale e ritenne, in coscenza, che questo passo era necessario per un ritorno della Tradizione, specialmente attraverso il rinnovamento di un sacerdozio autentico. Questa fu la prima tappa e, una volta presa la decisione, ci fu per lui come un senso di sollievo perché aveva capito con chiarezza che quella era la volontà del Signore. La seconda tappa riguardò il quando procedere a tali consacrazioni episcopali. La soluzione del problema venne a seguito di una successione di avvenimenti. Prima volle ancora tentare con Roma la possibilità di vedere che cosa si potesse fare: incontri con il cardinale Ratzinger, poi visita canonica con il cardinale Gagnon, quindi la commissione fra la Santa Sede e la Fraternità, infine il famoso protocollo del 5 maggio 1988. Tutto ciò non avrebbe tuttavia permesso di continuare con serenità la sua opera, anche se Monsignore riconosceva che nel protocollo la Santa Sede faceva delle concessioni importanti come l’uso dei libri liturgici tradizionali. Certamente inoltre un fatto non secondario era la sua età avanzata. Capiva che non poteva più continuare a viaggiare per impartire le Cresime e fare le ordinazioni. E così prese la decisione di consacrare quattro vescovi il 30 giugno 1988. ![]() Le consacrazioni episcopali del 1988 da sinistra: Mons. de Galarreta, Mons. Tissier de Mallerais, Mons. de Castro Mayer, Mons. Lefebvre, Mons. Williamson, Mons. Fellay La terza tappa la conosciamo
tutti. Fu vissuta con un po’ di tensione, a causa di alcune minacce e
della gran folla di giornalisti venuti da tutto il mondo.
Aggiungo, a tal proposito, due considerazioni. La prima concerne la serenità e la pace che ha accompagnato Monsignore in tutte e tre le tappe e che seppe sempre comunicare a quelli che gli erano vicino. L’altra considerazione riguarda la sua determinazione. Una volta presa una decisione, più niente lo fermava. Prima delle consacrazioni ha avuto tante pressioni da Roma e da altri ambienti, affinché rinunciasse. Questo mi ricorda come avesse mantenuto il medesimo comportamento in occasione della conferenza tenuta nel giugno 1977 a Roma, nel palazzo della principessa Pallavicini. All’epoca ci fu una forte pressione mediatica dei giornali italiani, e delle visite di diverse personalità, ma niente e nessuno lo avevano fermato. Non era un uomo precipitoso nelle sue decisioni. Quando però le decisioni erano state assunte, soprattutto se erano sofferte, più niente lo fermava. È vero che l'incontro di Assisi del 1986 rappresentò un elemento importante che spinse Mons. Lefebvre alla scelta delle consacrazioni episcopali? Non direi che l’incontro
d’Assisi fu l’elemento decisivo. Esso rappresentò piuttosto un
segno evidente, e sotto gli occhi di tutti, della gravità della
crisi. Indicava infatti con chiarezza dove potevano portare le
novità del Concilio Vaticano II. L’Osservatore Romano all’epoca
aveva giustificato Assisi con il Concilio. Ecco dove portava la famosa
libertà religiosa e l’ecumenismo del Concilio, al di là
di tutte le interpretazioni artificiose che si intesero dare a tale
evento.
In fin dei conti la crisi attuale porta all’apostasia e ciò che viviamo oggi, la rende ancora più evidente che nel 1988. Mons. Lefebvre le parlò mai del suo incontro con Padre Pio? Alcuni autori in proposito raccontano che in tale occasione il santo di Pietrelcina rimproverò Mons. Lefebvre, altri lo negano. Lei ne sa qualcosa di più? Monsignore era molto
discreto su tutto quello che aveva fatto e faceva. Ma su questo punto
ci ha precisato che l’incontro fu molto breve. Chiese a Padre Pio di
pregare per il capitolo generale della congregazione dei missionari
dello Spirito Santo della quale era allora il Superiore Generale.
Era infatti molto preoccupato e chiese una benedizione. La risposta di
Padre Pio fu: È lei che deve benedirmi. Non ci furono
altre parole. Contro le dicerie sul fatto che padre Pio avrebbe detto
che Monsignore sarebbe stato all'origine di uno scisma, abbiamo
potuto avere la testimonianza dei due sacerdoti che l’avevano
accompagnato a San Giovanni Rotondo. Tali testimonianze confermano
quello che Monsignore ha sempre detto su questo incontro.
![]() Padre Pio e Mons. Lefebvre, 1967 Monsignore fu sempre
rispettato da molti prelati a Roma. Da una parte per gli incarichi che
aveva svolto: arcivescovo di Dakar, Delegato Apostolico per tutta
l’Africa francese, poi Superiore Generale dei Padri dello Spirito
Santo, congregazione questa che contava allora cinquemila membri.
Egli compì un lavoro enorme, è un fatto che nessuno
può negare. Fu rispettato anche perché era un uomo
integro, non ricattabile, coerente, e poi parecchi sapevano che in
fondo aveva ragione, mentre loro non avevano avuto il suo coraggio per
delle questioni di opportunità.
Essere criticato, ingiuriato, disprezzato, umiliato, condannato, considerato come fuori della Chiesa, scomunicato, e accettarlo per amore di Gesù Cristo e della sua Chiesa non è dato a tutti. Il Cardinale di Dakar, mons. Thiandium, fu certamente uno dei più coraggiosi. Aveva una grande ammirazione per Monsignore, gli doveva tutto, sacerdozio, episcopato e possiamo dire anche cardinalato in quanto, in un certo senso, gli aveva preparato la strada. Non fu soltanto per questo che il cardinale stimava Mons. Lefebvre; conosceva le sue qualità e l’aveva visto all’opera a Dakar. So che il cardinale è intervenuto presso Paolo VI, Giovanni Paolo I e Giovanni Paolo II in favore di Mons. Lefebvre. In occasione del Sinodo sulla famiglia aveva organizzato un incontro fra il cardinal Ratzinger, Mons. Lefebvre e lui stesso. Ci furono anche alcuni incontri con il cardinale Siri, ma non saprei dire in quale clima si svolsero. Poi, fu sempre ricevuto dai cardinali Oddi e Palazzini. A quanto le risulta Mons. Lefebvre ebbe esperienze mistiche? Se certamente Monsignore fu
un uomo molto aperto, amabile e di facile approccio, era però
molto discreto su quello che aveva fatto per esempio in Africa.
Raccontava volentieri delle storie di avventure nella savana ma non il
suo operato. Un giorno ho chiesto a sua sorella carmelitana, Madre
Marie Christiane se sapesse qualche cosa dell’apostolato in Africa, mi
ha risposto: ogni volta che ho chiesto a mio fratello notizie su quello
che faceva come missionario o vescovo, lui cambiava discorso.
Essendo stato lui sempre molto riservato circa la sua persona, sarei incapace di dire se ha avuto esperienze mistiche. So con certezza che pregava molto soprattutto quando aveva delle difficoltà da risolvere, e d’altra parte di quel sogno nella cattedrale di Dakar sulla restaurazione del sacerdozio al quale fa allusione all’inizio dell’Itinerario Spirituale, libro che consideriamo un po’ come il suo testamento. Che tipo di sogno era però non lo sappiamo. Alcuni giornalisti hanno sostenuto che Mons. Lefebvre, negli ultimi giorni di vita, fosse angosciato e, in un certo senso, “pentito” di alcuni suoi gesti. Le risulta? Quando fu l'ultima volta che lo vide? Da quello che io posso
sapere, Monsignore non si è mai pentito di quello che ha fatto.
Personalmente ho avuto la grazia di passare una settimana con lui un
mese prima della sua morte, tre giorni in Sardegna e tre giorni in
Toscana. Lo ho ancora visto in ospedale a Martigny, per un'ora, una
settimana prima della sua scomparsa e prima dell’intervento chirurgico
a cui fu sottoposto. Posso testimoniare che era molto sereno, mi ha
parlato della Fraternità, dei fedeli e più volte ha anche
scherzato.
![]() Mons. Lefebvre ad Albano. Alla sua sinistra Don Emanuele. (torna
su)
gennaio 2011 |