Presentazione di
Padre Tomas de Aquino, O. S. B.

di Un fedele



Pubblicato sul sito dei Domenicani di Avrillé, Francia




Miguel Ferreira da Costa (il futuro Padre Tomas de Aquino) nacque a Rio de Janeiro, Brasile, nel 1954. Visse a Volta Redonda, dove suo padre lavorava in un’importante azienda siderurgica, fino al 1962, anno in cui la sua famiglia ritornò a Rio. Dopo gli studii scolastici al collegio San Benedetto di Rio de Janeiro, iniziò i suoi studi di diritto.

Verso l’età di 13 anni assistette ad una delle conferenze settimanali dello scrittore antimodernista Gustavo Corção, che questi teneva benevolmente ad un piccolo gruppo di fedeli desiderosi di conoscere meglio i tesori della fede cattolica:
«Le ho seguite per sette anni, incoraggiato da mia madre che non mancava quasi mai a queste conferenze. Mio padre ci andava tutte le volte che glielo permetteva il suo lavoro. Fu lì che conobbi il Maestro Julio Fleichman e sua moglie…» (1).

Il giovane Miguel Ferreira da Costa andò a trovare Gustavo Corção nel 1972, per parlargli della sua vocazione e chiedergli in quale seminario gli consigliava di andare. A quell’epoca Gustavo Corção non conosceva ancora Mons. Lefebvre:
«Dirti dove andare? – mi rispose Gustavo Corção – non lo so. Quello che posso dirti è dove non andare. Difficilmente troverai un seminario in cui non si insegnano delle sciocchezze. … Fu allora che la segretaria di Corção, la signora Pierotti, mi parlò di Mons. Lefebvre e di Ecône: “Se tu fossi mio figlio, ti manderei lì» (2)

Miguel Ferreia da Costa scrisse allora a Mons. Lefebvre, che lo indirizzò al seminario di Mons. de Castro Mayer a Campos, una città dello Stato di Rio de Janeiro. Egli vi andò, ma la presenza troppo marcata della TFP nel seminario lo scoraggiò. Sentì parlare allora del Priorato che Dom Gérard aveva fondato a Bédoin, in Provenza, ai piedi del Monte Ventoso. Gustavo Corção gli disse: “Vacci, se non va bene, ritorni”.



«Senza volerlo, fece una profezia, perché fu così che andò a finire questa avventura, per delle vie che la Divina Provvidenza dispone con forza e dolcezza. Dom Gérad mi scrisse in breve tempo che mi accettava. Arrivò anche una lettera da Ecône. Il Direttore del seminario, il canonico Berthod, mi aprì anche lui le porte. Per farla breve, andai da Dom Gérard, il che non fu la scelta migliore» (3).

Miguel Ferreira da Costa arrivò in Francia, nel piccolo monastero provenzale di Bédoin, nel maggio del 1974; qui Dom Gérard conduceva dal 1971 la vita monastica benedettina tradizionale. Il 2 ottobre, ricevette l’abito e il nome religioso di Tomas de Aquino e iniziò il suo noviziato. In occasione della presa dei voti, nel 1976, Gustavo Corção giunse al monastero per assistere alla cerimonia. A quel tempo, Dom Gérard e i monaci erano in comunione di cuori e di intenti con Mons. Lefebvre, che conferiva il sacerdozio ai monaci del monastero.
Nel 1980, dopo la sua ordinazione sacerdotale a Ecône, Padre Tomas de Aquino e i monaci si trasferirono a Le Barroux, lasciando il monastero di Bédoin, divenuto troppo esiguo.

Malgrado l’entusiasmo che regnava nel monastero, Padre Tomas de Aquino percepiva le carenze della formazione filosofica e teologica dei monaci:
«Vi era da noi un qualcosa di molto inquietante che spiega, a mio parere, la deriva che conoscerà il nostro monastero alcuni anni dopo… La formazione data a Bédoin, da quando arrivai fino alla mia ordinazione, era molto informale. Dom Gérard in effetti, faceva ricorso alla devozione di alcuni religiosi studiosi che venivano a farci alcuni corsi.

«Ma queste conferenze ed anche questi corsi non costituivano un insieme in grado di fornirci una vera solida formazione. D’altronde, i corsi non venivano svolti nell’ordine richiesto e in gran parte rimanevano incompleti. Dom Gérard, allora, si improvvisò professore per insegnarci alcuni trattati … ma sfortunatamente in maniera troppo sommaria. Egli chiese anche ai monaci di svolgere dei corsi gli uni per gli altri, mentre noi non ne eravamo molto capaci. Nel seminario vi erano poche classi settimanali e gli esami erano rarissimi. In tal modo, per la prima generazione di Bédoin molte materie rimasero più o meno ignorate o male approfondite.

«Il modo di fare di Dom Gérard era più romantico che realista. Secondo lui, San Tommaso aveva un sistema, altri ne avevano altri. Questo faceva sorgere un dubbio sulla fondatezza di una formazione chiaramente scolastica e sulla sua reale necessità come presentata da San Pio X nell’enciclica Pascendi e nel Codice di Diritto Canonico. … Il risultato era che della scolastica noi conoscevamo più il nome che il metodo, e della Summa, più le conclusioni che le argomentazioni. Contemplavamo dall’esterno il bell’edificio dottrinale della Chiesa, senza penetrare veramente al suo interno e se vi penetravamo un po’, era coma da profani e non come uomini del mestiere. Si potrebbe dire che il ruolo dei monaci non è quello di diventare dei teologi; i contemplativi non hanno bisogno di un gran bagaglio per darsi alla contemplazione. Questo può essere vero in certi casi, ma se noi eravamo destinati a ricevere il sacerdozio, se eravamo monaci e sacerdoti, se tra noi alcuni erano destinati ad insegnare, allora è poco concepibile che non si fosse formati al metodo di San Tommaso, secondo le direttive della Santa Chiesa, soprattutto nella crisi attuale.

Senza cadere nell’eccesso di dire che a Bédoin e a Le Barroux noi fossimo dei modernisti, è certo che in Dom Gérard non avevamo la stessa purezza, vigilanza e sicurezza dottrinale che in Mons. Lefebvre. Se non eravamo dei modernisti, il clima che colà regnava non ci proteggeva molto contro le dottrine di questi ultimi, né contro un certo liberalismo» (4).

Fu nel 1975 che Padre Tomas de Aquino vide per la prima volta Mons. Lefebvre, quando venne a Bédoin a conferire gli ordini minori ai frati Jean de Belleville e Joseph Vannier:
«Il sermone di Mons. Lefebvre mi impressionò per la sua serenità. Egli respirava la pace, quella pace che è la divisa dei benedettini e che egli sembrava possedere più che noi stessi» (5)

Padre Tomas de Aquino assistette alle ordinazioni sacerdotali del 1976 a Ecône, quelle che precedettero l’“estate calda”. Fu però in occasione dell’anno di studii e di riposo che trascorse al seminario San Pio X di Ecône, nel 1984-85, che ebbe un contatto personale con Mons. Lefebvre:
«Approfittando della presenza di Mons. Lefebvre, ebbi modo di vederlo con frequenza. La sua bontà paterna rendeva facili le conversazioni. … il 12 marzo 1985, Mons. Lefebvre mi parlò della questione degli accordi con Roma. Io penso che Mons. Lefebvre abbordò quest’argomento a causa di Dom Gérard che all’epoca… cercava di ottenere l’appoggio di Mons. Lefebvre per ciò che intendeva fare» (6).

Grazie alle note che aveva l’abitudine di redarre dopo ogni incontro, Padre Tomas de Aquino ci consegna alcune parole chiarificatrici di Mons. Lefebvre:
«Assoggettarsi a degli uomini che non hanno l’integrità della fede cattolica? Sottomettersi a degli uomini che proclamano dei principii contrarii ai principii della Chiesa? O saremo obbligati a rompere di nuovo con essi, e la situazione diventerà peggiore di prima, o saremo condotti insensibilmente alla diminuzione e alla perdita della fede. Vi è ancora una terza possibilità: una vita difficile a causa del contatto frequente con degli uomini che non hanno la fede cattolica, cosa che condurrebbe al disorientamento e alla diminuzione dello spirito combattivo dei fedeli. … La nostra posizione, com’è adesso, ci permette di rimanere uniti nella fede. Tutti quelli che hanno voluto un compromesso con i modernisti hanno deviato. Io penso che noi non dobbiamo sottometterci ad essi. Io sono molto diffidente. Passo delle notti a pensare a questo. Non siamo noi che dobbiamo firmare qualcosa, sono essi che devono firmare, garantendo che accettano la dottrina della Chiesa. Essi vogliono la nostra sottomissione, ma non ci danno la dottrina.» (7).

Il Rev. Padre Tomas de Aquino annota anche che dal 1984 al 1985, Dom Gérard va a Roma per trattare la regolarizzazione del monastero di Le Barroux:
«Egli vide allora il cardinale Ratzinger e ne rimase abbagliato. “Il cardinale – diceva – è uno con cui si può lavorare. Mons. Lefebvre è troppo chiuso in sé stesso.” E mimava l’attitudine di Monsignore come qualcuno che si rinchiude nel suo angolo. “D’altronde, non è necessario che sia Mons. Lefebvre ad ordinare i nostri sacerdoti. Può farlo benissimo un altro vescovo, purché lo faccia con l’antico rituale.” Passava un brivido nella schiena a sentire queste cose. … Alla fine del 1986 sono partito per il Brasile con il Padre Joseph Vannier, per vedere un terreno in vista di una nuova fondazione. Ero un po’ sollevato nel lasciare Le Barroux, la cui atmosfera diventava sempre più pesante. Si sentiva il monastero scivolare per una brutta china.» (8).



Il 3 maggio 1987 venne ufficialmente fondato il monastero della Santa Cruz e il Padre Tomas de Aquino ne divenne il Priore. Il monastero è situato vicino a Nova Friburgo, città di una regione montuosa del centro-nord dello Stato di Rio de Janeiro. Le relazioni della nuova fondazione con Le Barroux deteriorarono rapidamente, come riporta Dom Tomas de Aquino:
«In seguito sono arrivati gli anni della fondazione della Santa Cruz, durante i quali Mons. Lefebvre ci ha aiutato con dei consigli preziosi. La mia coscienza era turbata a causa delle modifiche liturgiche alla Messa introdotte da Dom Gérard. … Io scrissi allora a Mons. Lefebvre, il quale, disapprovando Dom Gérard, mi consigliò soprattutto di conservare i buoni rapporti col monastero di Le Barroux in Francia. Ma questi buoni rapporti non durarono per molto tempo. Dom Gérard, dopo le consacrazioni, fece un accordo che poneva i nostri monasteri sotto l’autorità dei modernisti.» (9).

Ecco il giudizio di Padre Tomas de Aquino su Le Barroux e il suo fondatore.
«Dom Gérard distruggeva così la sua opera. Quest’opera, malgrado le sue lacune, era comunque una bella cosa. Gli offici vi venivano recitati con molta cura, le virtù monastiche vi erano in onore e vi erano molte buone vocazioni che provenivano da famiglie veramente cattoliche e tradizionali. Dom Gérard aveva voluto erigere un monastero tradizionale, ma gli mancava la comprensione profonda della crisi attuale. Dom Gérard vedeva la necessità di conservare la Messa di sempre, di conservare le osservanze monastiche, ma non vedeva abbastanza il pericolo del modernismo e del liberalismo. L’aspetto più profondo della crisi attuale gli sfuggiva. Tutto questo ci permette di valutare meglio il valore di Mons. Lefebvre e della sua opera. Fu Monsignore che vide giusto, fu Monsignore che colse il male, e fu lui che approfondì tutta la gravità della crisi. Monsignore ha avuto una visione veramente di fede, una visione teologica nel senso più esatto del termine. Questo mancava a Dom Gérard, il quale, al pari di Jean Madiran, vedeva più la defezione dei vescovi che quella, purtroppo, dei papi conciliari.

«Quando giunse la novità degli accordi, noi ce l’aspettavamo. In un primo momento pensammo di lasciare il monastero della Santa Cruz e abbandonare tutto a Dom Gérard e a coloro che volevano seguirlo (10).

«Una lettera di Mons. Lefebvre ci fece cambiare idea e decidemmo di mantenere il monastero della Santa Cruz nel girone della Tradizione. … Dom Gérard, giunto in Brasile, dovette ritornarsene senza aver ottenuto quello che sperava. Dopo questi dolorosi avvenimenti non avemmo più rapporti con lui. Per contro, Mons. Lefebvre divenne sempre più quello che è per tutti i cattolici fedeli e cioè il vescovo fedele successore degli Apostoli che ha dato la dottrina e i sacramenti di Nostro Signore Gesù Cristo per la salvezza delle anime. A lui la nostra eterna gratitudine»(11).

Il 18 agosto 1988, Mons. Lefebvre scrisse una lettera a Dom Tomas de Aquino nella quale gli diceva:
«Quanto ho rimpianto che lei sia partito prima degli avvenimenti di Le Barroux (12). Sarebbe stato più facile considerare la situazione provocata dalla disastrosa decisione di Dom Gérard. … Dom Gérard, nella sua dichiarazione, presenta ciò che gli è stato concesso e accetta di porsi all’obbedienza della Roma modernista, che rimane necessariamente antitradizionale, cosa che fu la causa del mio allontanamento. Egli vorrebbe contemporaneamente conservare l’amicizia e il sostegno dei tradizionalisti, cosa inconcepibile. Ci accusa di essere “resistenzialisti”. Io però l’avevo avvertito, ma la sua decisione era presa da lungo tempo ed egli non volle sentire ragioni. Ormai le  conseguenze sono ineluttabili. Noi non avremo più alcun rapporto con Le Barroux e avvertiremo i nostri fedeli di non sostenere più un’opera che è ormai nelle mani dei nostri nemici, nemici di Nostro Signore e del Suo Regno universale.

«Le suore benedettine sono angosciate. Sono venute a trovarmi. Io ho consigliato loro quello che consiglio a lei: conservate la vostra libertà e rifiutate ogni legame con questa Roma modernista. Dom Gérard usa tutti gli argomenti per addormentare i resistenti. Lei deve unirsi col padre Laurent, con l’argentino [il Padre Jean de la Cruz] e con i suoi novizi. Voi tre, con i novizi di Campos, potete andare avanti e costituire un monastero indipendente da Roma. Non bisogna esitare ad affermarlo pubblicamente. Dio vi benedirà. In seguito, dopo un po’ di tempo, potrete ricostituire un monastero in Francia, sarete sostenuti e avrete delle vocazioni. Dom Gérard ha suicidato la sua opera. Dom Tam le dirà a voce quello che io non ho scritto. Prego la Madonna di venirvi in aiuto per la difesa dell’onore del suo Divino Figlio. Che Dio la benedica e benedica il suo monastero» (13).

Padre Tomas seguì i consigli di Mons. Lefebvre. Il 24 agosto del 1988, redasse una dichiarazione solenne nella quale rifiutava l’accordo stabilito fra la Congregazione per la Dottrina della Fede, nelle persone dei cardinali Ratzinger e Mayer, e Dom Gérard Calvet, Priore del monastero Sante Madaleine di Le Barroux:
«Il nostro monastero della Santa Cruz è stato incluso nei termini dell’accordo che noi qui rifiutiamo, senza che fossimo stati consultati in proposito e nonostante fossimo con  Le Barroux nel corso dei negoziati e si conoscesse il nostro disaccordo.
Ecco i motivi del nostro rifiuto:
1 - Questo accordo significa il nostro inserimento e il nostro impegno pratico nella “Roma conciliare” …
2 - L’accordo prevede la nostra piena riconciliazione con la Sede Apostolica secondo i termini del Motu Proprio “Ecclesia Dei”, lo stesso documento che ha proclamato la scomunica di Mons. Marcel Lefebvre. Ora, noi non siamo mai stati separati dalla Sede Apostolica e continueremo a professare una perfetta comunione con la Cattedra di Pietro. Per contro, noi ci separiamo dalla Roma modernista e liberale che organizza l’incontro di Assisi e che fa l’elogio di Lutero. Con questa Roma noi non vogliamo alcuna riconciliazione.
3 - L’accordo è fondato sul Motu Proprio “Ecclesia Dei” che scomunica Mons. Lefebvre. Dunque, prendendo parte a questo accordo noi dobbiamo riconoscere l’ingiustizia esercitata nei confronti di Mons. Lefebvre, Mons. de Castro Mayer e i quattro nuovi vescovi, la cui scomunica è nulla di pieno diritto. Noi non seguiamo Mons. de Castro Mayer o Mons. Lefebvre come dei capi fila, noi seguiamo la Chiesa cattolica. Ma nell’ora attuale, questi due confessori della Fede sono stati i soli vescovi contro la demolizione della Chiesa. Ci è impossibile non solidarizzare con loro.» (14).

L’indomani, il 25 agosto, Padre Tomas de Aquino annuncia la sua decisione ai monaci, e il 26 invia la dichiarazione a Dom Gérard e al cardinale Ratzinger. La venuta di Dom Gérard al monastero della Santa Cruz, l’1 e il 2 settembre, non cambiò minimamente la decisione e la determinazione di Padre Tomas de Aquino. Appena dopo alcune ore, che furono molto dolorose, il Priore di La Barroux lasciò il monastero del Brasile con la maledizione sulle labbra.

«Dopo le consacrazioni, Mons. Lefebvre continuò a consigliarci con la sua paterna sollecitudine. Non solo fummo aiutati da lui, ma anche da Campos e più in particolare da Don Rifan» (15).

Ordinato sacerdote nel 1974, da Mons. de Castro Mayer, vescovo di Campos, Don Rifan divenne il suo segretario. Ecco il giudizio espresso su di lui da Padre Tomas de Aquino:
«Conduttore di uomini, dotato di viva intelligenza, di un facile e caloroso contatto umano, dalla risposta pronta, egli non aveva difficoltà a conquistare l’ammirazione e la fiducia di tutti» (16).

Don Rifan, insieme a Don Possidente e Don Athayde, accompagnò Mons. de Castro Mayer a Ecône nel 1988, in occasione delle consacrazioni. Poi, al momento della crisi con Dom Gérard, sostenne considerevolmente Padre Tomas de Aquino, che riporta così il seguito degli avvenimenti:
«Dopo la morte di Mons. de Castro Mayer, ai sacerdoti di Campos si pose una questione urgente: chi doveva rimpiazzare Mons. de Castro Mayer? … Mons. de Castro Mayer, prima di morire, aveva indicato due nomi: Don Emmanuel Possidente e Don Licínio Rangel. Don Rifan, dunque, non era preferito da Mons. de Castro Mayer. È interessante sottolinearlo. Dato il rifiuto di Don Possidente, che tuttavia era il più indicato per questo compito, venne scelto Don Rangel. Il quale venne consacrato nella città di São Fidélis il 28 luglio del 1991.

«Quando la Fraternità prese contatto con Roma dopo il Giubileo del 2000 e invitò Campos a partecipare, venne scelto Don Rifan a rappresentare Campos nei colloquii. E qui ebbe inizio il dramma. Quando le condizioni poste da Roma parvero inaccettabili per la Fraternità San Pio X, Campos preferì non fare marcia indietro. Quale fu la parte di responsabilità degli uni e degli altri in questa questione? Difficile da stabilire. Quello che è certo è che l’uomo della situazione, benché obbediente alle direttive di Mons. Rangel, era proprio Don Rifan, solo interlocutore presente a Roma nel corso delle trattative. Don Rifan, occorre notarlo, era già da tempo che aveva dei contatti sempre più frequenti con i progressisti ed era abitualmente in grado di ottenere i permessi per dire la Messa di San Pio V presso l’avversario. Benché questo non sia necessariamente un male, è stato, io credo, il fattore che contribuì alla caduta di Don Rifan e di tutta la diocesi. È il semplice contatto con questi uomini imbevuti di modernismo e di liberalismo che rappresenta il punto di partenza di questa caduta? La domanda merita di essere posta…

«Mons. Rangel, il 18 gennaio del 2002, firmò un accordo con Roma, nella Cattedrale della città di Campos. … Fu la condanna a morte della Tradizione a Campos. … Don Rifan diceva allora: “Non si tratta di un accordo; si tratta di un riconoscimento.” Egli lasciava intendere che Roma riconosceva la fondatezza della Tradizione. I fedeli erano disorientati e cedettero a Don Rifan. Si gridava alla vittoria.

«Mons. Rangel, colpito dal cancro, lasciò ben presto questa vita e Don Rifan gli succedette alla testa dell’Amministrazione Apostolica nata dall’accordo con Roma. Consacrato dal cardinale Castrillon Hoyos, Mons. Rifan si rivelò subito il riconciliato per eccellenza. Divenuto amico dei nostri nemici, farà il giro dei vescovi un po’ dappertutto, abbracciando quelli che un tempo aveva attaccato con una foga che non può dimenticarsi. Avendo cambiato campo, non cessò di accumulare le prove della sincerità del suo ricollegamento con Roma. Come diceva Abel Bonnard: “Un ricollegato non lo è mai abbastanza”. Autorità del Vaticano II, legittimità della nuova Messa, obbligo di sottomettersi al “Magistero vivente” dei papi liberali, condanna di Mons. Lefebvre: tutto questo Mons. Rifan è stato obbligato ad approvarlo e a proclamarlo. Egli lo ha fatto con una sicurezza crescente e senza indugi. Si direbbe che vi abbia messo uno zelo maggiore dei progressisti. … Campos divenne un cane muto. Roma, che sapeva bene che le cose sarebbero andate così, da allora non aveva più niente da temere da questi sacerdoti, che tuttavia erano stati formati alla scuola di uno dei più grandi vescovi del XX secolo. Come spiegare una cosa del genere? Senza voler andare a fondo e penetrare al di là di ciò che ci dicono i fatti, io penso che è certo che il contatto con le Autorità che non professano l’integrità della fede cattolica, può solo condurre a poco a poco coloro che vi si sottomettono a condividerne le idee e i modi di fare. Mons. Lefebvre aveva sufficientemente messo in guardia Don Gérard a questo proposito. A Roma non si fa ciò che si vuole, ma ciò che Roma vuole. Dom Gérard non ne tenne conto; Mons. Rifan ancora meno.

«Ma fu dalla stessa diocesi che venne la reazione. Col tempo i fedeli si resero conto che quantomeno qualcosa stava cambiando. Essi si rivolsero a noi e il Padre Antônio-Maria OSB andò a dire una Messa in campagna, in una fattoria che porta il bel nome di Santa Fé. … Mons. Rifan non poté ottenere alcunché da questi valorosi contadini, che oggi, nelle grandi feste, sono più di 250 riuniti in una piccola chiesa costruita da loro stessi e in cui sono ammessi solo i sacerdoti della Tradizione. …

«Oggi, Mons. Rifan celebra con i vescovi progressisti e afferma che rifiutarsi sistematicamente di celebrare la nuova Messa costituisce un’attitudine scismatica. E’ quello che noi chiamiamo tradimento e cioè il cessare di essere fedeli a qualcosa o a qualcuno, in questo caso a Nostro Signore Gesù Cristo. Noi lo constatiamo. Vero è che molti lo negano, ma accettare il Vaticano II non significa tradire Cristo Re? Si può anche applicare a Mons. Rifan quest’altra definizione di tradimento: crimine di chi passa al nemico. E anche questo è un fatto. Tutti possono constatarlo. Che Dio ci preservi dal fare lo stesso, noi che per la nostra fragilità possiamo cadere anche più in basso. Oggi Mons. Rifan è l’amico di coloro che hanno condannato Mons. Lefebvre e Mons. de Castro Mayer. Adesso egli parla del beato Giovanni XXIII, del beato Giovanni Paolo II.
«In questi momenti difficili in cui si trova la Tradizione, possano questi esempii aiutarci a non commettere gli stessi errori. Il nemico è furbo. Egli sa dove colpire e come colpire. Siamo docili agli avvertimenti degli antichi. Ascoltiamo la voce dei grandi maestri, a cominciare da Mons. Lefebvre. Non ascoltiamo invece coloro che possono condurci là da dove poi sarà difficile uscire.» (17).



Se il Padre Thomas d’Aquino fu la sentinella illuminata che percepì prima di altri la caduta di Le Barroux e quella di Campos, egli è stato anche quello che è insorto molto presto contro il riavvicinamento che la Fraternità Sacerdotale San Pio X (FSSPX) intraprese con la Roma neo-modernista a partire dal 2000. Egli non si faceva alcuna illusione sul pontificato di Benedetto XVI:
«Le stesse cause producono gli stessi effetti. Se Benedetto XVI beatifica colui che ha scomunicato Mons. Marcel Lefebvre e Mons. Antonio de Castro Mayer; se egli celebra i 25 anni dell’incontro di Assisi; se difende il concilio Vaticano II (dicendo che è in accordo con la Tradizione della Chiesa), allora i mali che abbiamo visto durante il pontificato di Giovanni Paolo II si ripeteranno con Benedetto XVI. Fintanto che la Roma liberale dominerà la Roma eterna, fintanto che la più grande catastrofe della storia della Chiesa fin dalla sua fondazione, e cioè il concilio Vaticano II, continuerà ad essere il riferimento privilegiato dei vescovi, dei cardinali e del Santo Padre, non vi sarà soluzione.

Ma Roma sta cambiando (le sue attitudini, il suo pensiero, ecc.) – dicono i difensori degli accordi.
In cosa cambia Roma?
Roma ha permesso la Messa di sempre ed ha rimesso le scomuniche – rispondono gli “accordisti”-
Ma a che serve liberalizzare la Messa di sempre se Roma permette ancora l’esistenza della nuova? Nel vecchio Testamento leggiamo che Abramo scacciò la schiava Agar e suo figlio Ismaele perché Isacco non restasse col figlio della schiava. … La nuova Messa è Agar. Essa non ha diritti. Essa dev’essere soppressa. Quanto alla remissione delle scomuniche, a che serve questo se si beatifica colui che le ha comminate?
Benché in questi due atti della liberalizzazione della Messa (che non è mai stata abrogata) e della remissione delle scomuniche (che non sono mai state valide), vi sia un certo beneficio, il beneficio spirituale di ciascuno di essi è stato compromesso dal contesto contraddittorio nel quale sono stati realizzati. O aveva ragione Giovanni Paolo II o aveva ragione Mons. Lefebvre. … I due non possono avere ragione entrambi. Questo è puro modernismo.
Quanto alla Messa, le cose stanno così: se si permettono le due Messe, il risultato è la contraddizione. Si tratta di un inizio di dissoluzione. Un inizio di corruzione della fede cattolica.

Ma – insistono gli altri – a poco a poco Benedetto XVI prende la difesa della Tradizione. Egli ha bisogno di noi. Egli vuole il nostro aiuto per combattere il modernismo.
Anche Campos pensava così. Ma Benedetto XVI, come può combattere il modernismo se è modernista lui stesso? Egli può combattere certi modernisti, ma combattere il modernismo potrà farlo solo quando cesserà di essere modernista.

Qual è dunque la soluzione?
La conversione del Papa, della Curia romana e dei vescovi, in una parola la conversione della testa.
Ma come ottenerla?
Pregando e combattendo. Dio non ci chiede la vittoria, ma il combattimento. Come diceva Santa Giovanna d’Arco: «Combattiamo arditamente in nome di Dio e Dio ci darà la vittoria» per il Cuore Immacolato di Maria» (18).

Quando Benedetto XVI pubblicò il suo Motu Proprio sul “rito straordinario”, il Padre Tomas de Aquino si rifiutò di cantare nella Messa della Domenica il Te Deum chiesto da Mons. Fellay per salutare il documento pontificio. D’altra parte, in occasione della pretesa remissione delle scomuniche, Padre Tomas de Aquino scrisse una lettera a Mons. Fellay con la quale gli comunicava che non l’avrebbe seguito se si fosse giunti ad un accordo con la Roma conciliare. Poco dopo, Mons. de Galarreta e Don Bouchacourt si recarono al monastero per dire a Padre Tomas de Aquino che aveva quindici giorni per lasciare il monastero della Santa Cruz, altrimenti il monastero non avrebbe più ricevuto l’aiuto e i sacramenti da parte della FSSPX. Grazie ai soccorsi spirituali di Mons. Williamson, Padre Tomas poté restare al monastero.
L’8 settembre 2012, Padre Tomas de Aquino scriveva:
«L’unità deve fondarsi sulla verità, cioè sulla fede cattolica; e le parole e le attitudini di Mons. Fellay non sono, sfortunatamente, quelle di un discepolo di Mons. Lefebvre, che difese la verità senza compromessi.

«Corção non cessava di ripetere che la falsa nozione di carità e di unità faceva delle devastazioni immani nella resistenza cattolica. Quando la carità è separata dalla verità, la carità cessa di essere carità. Molti, anche tra i suoi amici, lo accusavano di mancare di carità a causa dei suoi articoli. Ma la prima carità è dire la verità. Corção era di quelli che avevano ragione, come i fatti hanno dimostrato. La stessa accusa era stata rivolta a Mons. Lefebvre.

«Quanto all’unità, Corção diceva con umorismo che l’esperienza gli aveva insegnato che, contrariamente all’adagio popolare “l’unione fa la forza”, egli aveva disgraziatamente constatato che spesso l’unione fa la debolezza. Perché? Perché una unità lontana dalla verità, una unione fatta di concessioni, una unione che sacrifica la fede, è una debolezza che “rende deboli i forti”. Non è esattamente quello che è accaduto al concilio Vaticano II? Per timore dell’unità con Paolo VI, numerosi vescovi hanno finito col firmare dei documenti inaccettabili. L’unità non fa la forza, ma il contrario.

«Adesso, nella Tradizione, essi vogliono che noi si sia d’accordo a qualunque costo con coloro che credono che gli errori del Concilio non sarebbero così gravi, con coloro che credono che il 95% del Concilio sarebbe accettabile, che la libertà religiosa della Dignitatis Humanae sarebbe molto limitata, che non bisogna fare degli errori del Concilio delle super-eresie. Ma questa non è la verità. il Concilio è stato la più grande catastrofe della storia della Chiesa dalla sua fondazione, come diceva Mons. Lefebvre nel suo libro Dal liberalismo all’Apostasia.

«Che dicano ciò che vogliono. Vi è un problema e questo problema è di fede ed è grave. Quanto a noi, la nostra posizione è decisa: sostenere i difensori della fede, come hanno fatto Mons. Marcel Lefebvre, Mons. Antonio de Castro Mayer, San Pio X e tutta la tradizione della Chiesa. Se dovessimo soffrire a causa di questo, soffriremo, come ci ha avvertiti Nostro Signore: “Colui che vuole vivere piamente in Gesù Cristo sarà perseguitato” (2 Tim 3, 12).

«Quanto alla Fraternità, noi la consideriamo un’opera provvidenziale fondata da un vescovo che si è spinto al più alto grado dell’eroismo nelle virtù più difficili, che sono quelle per le quali Dio ha creato i doni di saggezza, intelligenza, consiglio, forza, scienza, pietà e timore di Dio. Noi consideriamo Mons. Lefebvre come una luce che brilla nelle tenebre del mondo moderno, e la Fraternità come la sua opera e la sua eredità, ma a condizione che essa resti fedele alla grazia ricevuta. Noi preghiamo per essa, e se ci opponiamo alla politica di Mons. Fellay non è per un sentimento ostile contro la Fraternità, ma per amore di essa e a causa di Mons. Fellay, esattamente come noi amiamo la Santa Chiesa e per amore di essa combattiamo il liberalismo e il modernismo dei suoi nemici che si sono installati al suo interno. Che Dio benedica e conservi la Fraternità San Pio X, alla quale io devo il meglio di quanto ho ricevuto, sia per quanto concerne la fede sia per il sacerdozio, che ho ricevuto dalle mani di Sua Eccellenza Mons. Marcel Lefebvre.» (19).



Il 7 gennaio 2014, Padre Tomas de Aquino consegnò un “Messaggio ai fedeli”, un documento redatto da una quarantina di sacerdoti membri o già membri della Fraternità Sacerdotale San Pio X, insieme a diversi altri sacerdoti amici di questi. Gli autori di questo Messaggio vollero rendere pubblica testimonianza del loro attaccamento fermo e fedele ai principii che guidarono Mons. Lefebvre nella battaglia per la fede.

Poi ci fu la consacrazione di Mons. Faure da parte di Mons. Williamson, il 19 marzo 2015. Nel Bollettino della Santa Croce, dell’agosto 2015, Padre Tomas de Aquino si interrogava: «Ma perché consacrare un vescovo nelle circostanze attuali?». Per rispondere a questa domanda egli pubblicò, nello stesso Bollettino, un articolo per illuminare i fedeli:
«Ma che desidera Mons. Fellay? E’ giusto paragonarlo a Dom Gérard? Mons. Fellay desidera un riavvicinamento graduale con Roma. Diversamente da Dom Gérard, la Fraternità si muove in direzione di Roma in maniera molto più lenta, ma lo spirito che informa questi due movimenti è il medesimo. Don Pflüger dice che se la situazione a Roma è anormale, lo è anche la nostra, quella della Tradizione. Una regolarizzazione canonica si rende dunque necessaria. Essa si era quasi conclusa nel 2012, ma la Provvidenza lo impedì. … Per Mons. Fellay il cammino da seguire sembra chiaro: se Roma dà tutto e chiede nulla, come rifiutare una regolarizzazione? Questo significa ignorare le conseguenze del mettersi sotto l’autorità dei modernisti che oggi occupano Roma. Significa rifare l’errore di Dom Gérard, l’errore di Campos e di tanti altri.

«Anche prima dei possibili accordi, i fatti accaduti mostrano un cambiamento di direzione della Fraternità: espulsione di Mons. Williamson; ritardo delle ordinazioni diaconali e presbiteriali dei cappuccini e dei domenicani in Francia; minaccia di rimandare a tempo indeterminato le ordinazioni dei candidati di Bellaigue; espulsione di molti sacerdoti dalla Fraternità; decisione del Capitolo Generale della Fraternità, nel 2012, di modificare le decisioni di quello del 2006; dichiarazioni sempre più audaci e liberali di Don Pflüger; dichiarazione di Mons. Fellay che attenua la gravità del documento conciliare “Dignitatis Humanae”; dichiarazione dottrinale di Mons. Fellay del 15 aprile 2012, criticata a ragione dallo stesso direttore del seminario di Ecône; azione corrosiva del GREC, che riuniva sacerdoti della Fraternità e sacerdoti progressisti per trovare insieme una “necessaria riconciliazione”; allontanamento delle comunità amiche come quella dei religiosi del Rev. Padre Britto, dei domenicani di Avrillé, dei benedettini della Santa Cruz, delle carmelitane in Germania; espulsione o allontanamento di religiosi dalla loro comunità; senza parlare del dramma di coscienza di innumerevoli anime che soffrono in silenzio.» (20).

In questo stesso Bollettino della Santa Cruz dell’agosto 2015, Padre Tomas de Aquino proseguiva:
«E’ a partire dai vescovi, o anche da un solo vescovo, che si può ricostruire o mantenere ciò che resta della Cristianità, sperando nel giorno in cui Roma ritornerà alla Tradizione e confermerà nella loro funzione quelli che per amore della Chiesa hanno accettato la pesante croce dell’episcopato in questi tempi di crisi come mai ve ne sono stati nella storia della Chiesa.» (21).

Dopo aver incontrato Padre Tomas de Aquino, un giorno un sacerdote ci ha detto: «Lo conoscevo come uomo di preghiera, non lo conoscevo come uomo di lotta.». Le pagine che precedono hanno mostrato soprattutto l’uomo di lotta, il valente difensore della fede, la sentinella intrepida che veglia giorno e notte perché la cittadella non venga colpita, il degno erede e figlio spirituale di Mons. Lefebvre e di Mons. de Castro Mayer. Non abbiamo ricordato il fedele discepolo di San Benedetto, il monaco contemplativo, il direttore d’anime, che sono il giardino segreto di Dio. Ma noi sappiamo che senza l’uomo di preghiera, l’uomo di lotta non può esistere.

Per amore della Chiesa e delle anime, Padre Tomas de Aquino ha accettato di ricevere, il 19 marzo 2016, la pesante croce dell’episcopato. Nel Bollettino della Santa Cruz del giugno 2014, egli scriveva:
«Bisogna ritornare alla battaglia come Mons. Lefebvre, sempre ricchi nello spirito in mezzo alle peggiori difficoltà. Imitiamo coloro che ci hanno preceduti, ed anche se non siamo numerosi, ricordiamoci della visione di cui beneficiò il Profeta Eliseo, lui che aveva pregato il Signore di mostrare al suo servo che quelli che erano con lui erano più forti e più numerosi di quelli che erano contro di lui:
«Eliseo pregò così: “Signore, apri i suoi occhi; egli veda”. Il Signore aprì gli occhi del servo, che vide. Ecco, il monte era pieno di cavalli e di carri di fuoco intorno a Eliseo» (2 Re, VI, 17).

«Lo stesso avverrà a noi, se rimarremo fedeli all’insegnamento e alle direttive di Colui grazie al quale le porte dell’Inferno non hanno prevalso» (22).

Un fedele, nella Festa di San Tommaso d’Aquino, 7 marzo 2016.

NOTE

1 - Padre Tomas de Aquino, Bollettino degli amici del monastero della Santa Cruz, supplemento n° 4.
2 - Ibid.
3 - Ibid.
4 – Padre Tomas de Aquino, Ibid., supplemento n° 3.
5 - Padre Tomas de Aquino, Ibid., supplemento n° 2.
6 - Ibid.
7 - Ibid.
8 - Padre Tomas de Aquino, Ibid., supplemento n° 3.
9 - Padre Tomas de Aquino, Ibid., supplemento n° 2.
10 - «Mons de Castro Mayer e i suoi sacerdoti ci proposero di lasciare la Santa Cruz e di installarci nella diocesi di Campos.» Padre Tomas de Aquino, Ibid., supplemento n° 5.
11 – Padre Tomas de Aquino, Ibid., supplemento n° 3.
12 – Padre Tomas de Aquino era rientrato in Brasile prima della conclusione o quantomeno della pubblicazione degli accordi di Dom Gérard con Roma.
13 – Padre Tomas de Aquino, Bollettino degli amici del monastero della Santa Cruz, supplemento n° 2.
14 - Giornale Controverses, nº 0, settembre 1988, p. 2. — Mons. Lefebvre voleva che questa dichiarazione fosse conosciuta dai monaci di Le Barroux e che questi deponessero Dom Gérard se non avesse voluto rompere con Roma.
15 - Padre Tomas de Aquino, Bollettino degli amici del monastero della Santa Cruz, supplemento n° 2.
16 – Padre Tomas de Aquino, Ibid., supplemento n° 5.
17 - Ibid.
18 – Padre Tomas de Aquino, Ibid., supplemento n° 4.
19 - Padre Tomas de Aquino, http://tradinews.blogspot.fr/2012/09/dom-thomas-daquin-spes-declaration-de.html.
20 - Padre Tomas de Aquino, Bollettino della Santa Ctuz, agosto 2015, n° 51, pp. 3-4.
21 – Padre Tomas de Aquino, Ibid., agosto 2015, n° 51, p. 1.
22 – Padre Tomas de Aquino, Ibid., giugno 2014, n° 50, p. 2.





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