Il vuoto mentale fatto vescovo

di Belvecchio

La notizia

La Stampa - 6 febbraio 2016

Frase choc di un prete sui gay: “Sono malati”. E il vescovo di Ragusa si scusa

Il vescovo di Ragusa è corso subito ai ripari dopo le dichiarazioni sugli omosessuali di don Salvatore Vaccaro, parroco a Chiaramonte Gulfi, comune siciliano con poco più di 8mila anime. Sulla sua pagina Facebook il prete aveva postato: «Altro che macina al collo, sono solo MALATI». 
 
La frase è stata rimossa. Il vescovo, monsignor Carmelo Cuttitta, in una dichiarazione prende le distanze definendo «il riferimento alla omosessualità come malattia in un post da parte di un sacerdote sono state quanto mai inopportune». «Sono io, come vescovo di questa Chiesa - aggiunge Cuttitta - a chiedere scusa a quanti si sono sentiti offesi e feriti per tali parole. Ogni “persona umana” va accolta per quello che è, ne deve essere tutelata la dignità e il rispetto profondo al di là di differenza di carattere, di colore della pelle e della propria identità sessuale»

Il vescovo ha anche ricordato che «la Chiesa di Ragusa si è sempre distinta per l’accoglienza, la solidarietà, la carità concreta e l’apertura verso tutti, senza distinzione di ceto, di appartenenza religiosa, di culture diverse, di differenze sessuali». Monsignor Cuttitta, su questo tema, ha incontrato il presidente di Arcigay Ragusa, Emanuele Micilotta e la vice presidente Jenny Cultrona. 

La dichiarazione di mons. Carmelo Cuttitta

dal sito della diocesi di Ragusa - 6 febbraio 2016

Scritto da Comunicazioni Sociali il 06/02/2016 in Eventi diocesani

Stamattina il vescovo di Ragusa, monsignor Carmelo Cuttitta ha voluto incontrare, in vescovado, il presidente dell’Arcigay di Ragusa Emanuele Micilotta e la vice presidente Jenny Cultrona.
“Con riferimento alla polemica montata a partire da un post nel quale era scritto, con riferimento agli omosessuali “Altro che macina al collo, sono solo MALATI”, sento il dovere di precisare quanto segue: la Chiesa di Ragusa si è sempre distinta per l’accoglienza, la solidarietà, la carità concreta e l’apertura verso tutti, senza distinzione di ceto, di appartenenza religiosa, di culture diverse, di differenze sessuali.
La frase usata “della macina al collo” e il particolare riferimento alla omosessualità come malattia in un post da parte di un sacerdote sono state quanto mai inopportune.
Sono io, come vescovo di questa Chiesa, a chiedere scusa a quanti si sono sentiti offesi e feriti per tali parole.
Ogni “persona umana” va accolta per quello che è, ne deve essere tutelata la dignità e il rispetto profondo al di là di differenza di carattere, di colore della pelle e della propria identità sessuale”.


A volte viene da chiedersi se in questa nuova Chiesa del Vaticano II si diventa vescovi per il vuoto mentale o se la moderna ordinazione episcopale produca l’atrofia della materia grigia. Fatto è che giorno dopo giorno siamo costretti a constatare l’espandersi di una sorta di virus che sembra trasformare le menti di tanti prelati moderni in lavagnette luminose dove si accendono ammiccanti i più vieti luoghi comuni del mondo moderno: sorta di slogan supposti furbi e che invece sono vuoti di significato, salvo la suggestione capace di suggerire subdolamente ai fedeli che il bianco sarebbe nero e che due più due farebbe cinque.



Questa volta è il caso di un vescovo del “profondo sud”: tale Carmelo Cuttitta, che esercita il suo mestiere in quel di Ragusa, l’antica città di San Giorgio, che aiutò il conte Goffredo e i suoi pochi cavalieri normanni a sconfiggere i musulmani.
Povero San Giorgio, che mai avrebbe potuto pensare che un vescovo della sua città un giorno se ne venisse fuori con la battuta scema che ognuno avrebbe l’“identità sessuale” che più gli aggrada.

A proposito della polemica sorta sulla base della ovvia dichiarazione di un suo parroco circa la condizione patologica dei cosiddetti “omosessuali”, questo prelato ha pensato bene di diffondere un comunicato in cui afferma, con sconcertante “originalità”, che “la Chiesa di Ragusa si è sempre distinta per l’accoglienza, la solidarietà, la carità concreta, l’apertura verso tutti, senza distinzione di ceto, di appartenenza religiosa, di culture diverse, di differenze sessuali”.

Un’evidente dichiarazione tautologica, espressa con la pretesa di dire cose intelligenti.
L’accoglienza è una cosa vecchia come il mondo e sarebbe ridicolo se a Ragusa la Chiesa non facesse ciò che fa dappertutto e da sempre: tutti vanno accolti e tutti vanno condotti sulla strada del Signore, perché pratichino le virtù e fuggano i vizii.
Ma Cuttitta sembra che non abbia mai sentito parlare di questa elementare regola del buon senso.

La solidarietà è anch’essa cosa atavica, praticata anche dai non credenti, perché non si nega mai l’aiuto ad alcuno, tranne che non sia un cattivo soggetto da tenere ai margini del vivere civile e da guardare a vista.
Ma Cuttitta sembra che non abbia mai sentito parlare di quest’altra elementare regola del buon senso.

La carità non è concreta o astratta, è carità e basta, e va praticata dando ad ognuno il suo e soprattutto tenuto conto del prossimo, cioè non di tutti quelli che capitano per la strada, ma di quelli che ci sono più vicini e via via più distanti, sia genericamente, sia corporalmente, sia moralmente, per graduare equamente la nostra carità che è una cosa reale e non una cosa fatta solo di parole roboanti, come sembra sia il caso di Cuttitta.

L’apertura è un termine che può indicare due cose: o il contrario di chiusura o la realizzazione di un varco in un muro chiuso; è subdolo e illusorio usare questo termine, come si fa oggi, per indicare una sorta di disponibilità nei confronti degli altri… per questo basta la solidarietà e non servono le puerili ripetizioni atte a suggerire, com’è ormai di moda, che ci si vuole sbracare di fronte a qualsivoglia stortura, tanto per dare l’impressione di essere “a la page.

Cuttitta infatti dice che si sente “aperto” verso “tutti”,
senza distinzione di ceto
… e passi la tautologia;
senza distinzione di appartenenza religiosa… e cioè senza significato, tranne voler affermare che lui si sente “vescovo” dei musulmani, che neanche lo considerano, o dei miscredenti, che lo irridono, o degli indù, che neanche sanno chi sia;
senza distinzione di culture diverse… e cioè che si sia ragusani o cacciatori di teste, siculi o antropofagi, italiani o aborigeni australiani;
senza distinzione di differenze sessuali… cioè come la Chiesa ha sempre fatto, senza distinguere tra maschi e femmine, ma redarguendo, correggendo e condannando i maschi che pretendono di fare le femmine e le femmine che pretendono di fare i maschi … tranne che qui Cuttitta non abbia inteso riferirsi a coloro che, soffrendo di deviazioni sessuali, pretendono di essere riconosciuti come sessualmente normali.

Ed è così che la vede Cuttitta, perché afferma che “ogni persona umana – come se ci fossero persone animali ! – va accolta per quello che è”… e cioè? Non lo spiega Cuttitta, convinto di aver già detto chissacché, ma anche qui si tratta di una ovvietà: come si farebbe ad accogliere una persona per quello che non è? Come si farebbe ad accogliere, per esempio, Jack lo Squartatore per uno sano di mente? E magari pensare grottescamente di trattarlo come uno normale?

La vera carità nei confronti dell’altro consiste nell’accoglierlo tenendo conto della sua reale natura, trattandolo come essa richiede: con benevolenza per la sua sana moralità, con durezza per la sua licenza, con rigore per la sua dissolutezza, con deciso rigetto per la sua pericolosità personale e sociale. Questo significa rispettare la sua “dignità”: trattarlo amorevolmente se è degno, trattarlo duramente se è indegno e trattarlo con disprezzo se è un impenitente spregiatore della realtà vera, voluta da Dio, e un praticante la sua realtà immaginaria e deviata, voluta dall’uomo.

Chissà se questo “vescovo” abbia mai fatto caso al fatto che la testata de L’Osservatore Romano, organo ufficiale del Vaticano, a sinistra dello stemma papale porta la scritta: Unicuique suum, che per chi non lo sapesse significa: “a ognuno il suo”. La locuzione, adottats in Vaticano secondo lo spirito del Vangelo, richiama una regola aurea del Diritto Romano, trasferito nel suo complesso nel Diritto Ecclesiastico. In essi non v’è traccia di locuzioni del tipo: omnia omnibus, tutto a tutti, che sembra essere diventato sempre più stoltamente il motto della moderna gerarchia cattolica.

Per ultimo corre l’obbligo di far notare come in questa nuova Chiesa abortita dal Vaticano II, i prelati, invece di dedicarsi eminentemente ad istruire e a guidare i fedeli per aiutarli a condursi in Cielo, siano principalmente occupati a chiedere scusa a tutto e a tutti, massimamente a tutto ciò che contrasta con l’insegnamento di Cristo e a tutti quelli che si compiacciono di vivere ogni deviazione umana nella logica della guerra che “questo mondo” continua da sempre a portare a Dio.




aprile 2016

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