![]() |
|
![]() |
|
Riforma della riforma di Marco Bongi
La mia posizione però è leggermente diversa. Proverò dunque ad esporre alcune semplici considerazioni sul punto, senza alcuna presunzione di "infallibilità" e cercando anzi di stimolare un proficuo dibattito fra i lettori. Partirò da una premessa generale che osserva l'attuale situazione della Chiesa a prescindere dalle questioni specificamente liturgiche. Mi domando: in uno scenario come quello attuale, in cui stiamo vivendo una crisi drammatica del concetto stesso di Autorità nella Chiesa, chi avrebbe la forza di imporre a Conferenze Episcopali recalcitranti, Vescovi disobbedienti, liturgisti "adulti" e preti "impegnati", una sia pur moderata riforma della riforma? Cosa succederebbe, in altre parole, a chi, di fatto o implicitamente, si rifiutasse di applicarla? Se la vostra risposta è come la mia, e cioè NULLA, che senso ha imbarcarsi in una impresa votata comunque all'inevitabile insuccesso? Un chiaro esempio di ciò lo abbiamo potuto ammirare nella piccola ma importantissima vicenda della traduzione del "pro multis" nella formula di consacrazione. La S. Congregazione del Culto Divino ha parlato, le Conferenze Episcopali se ne sono, mi si passi il termine, "fregate", e tutto è rimasto bellamente come prima. Credo proprio che considerazioni come queste non siano state completamente assenti dai pensieri del S. Padre e del card. Canizares nel momento, sempre che sia così, in cui hanno deciso, almeno nell'immediato, di accantonare il progetto di riforma della riforma. Se non si arriva prima ad un minimo ristabilimento di Autorità credo che divenga assai difficile operare sul piano strettamente giuridico. Resta il valore, certo importante, dell'esempio e la speranza, comunque a lungo termine, della nascita di un movimento liturgico davvero tale. Quale potrebbe dunque essere il risultato realistico di un'azione velleitaria tentata oggi? Semplice: l'introduzione soltanto di una terza forma nel rito romano. I progressisti continuerebbero tranquillamente ad usare il loro messale "creativo", i tradizionalisti quello V.O., i conservatori alla Tornielli, forse, seguirebbero la "terza" via. Non mi sembra una prospettiva molto allettante! Veniamo ora a qualche considerazione di merito. Se il difetto maggiore, che forse li riassume quasi tutti, del N.O. è l'improvvisazione del celebrante e la sua oggettiva centralità nel rito, l'unico vero rimedio a tale inconveniente sarebbe il ritorno, "in toto", alla lingua latina, salvo forse che nelle letture. L'idioma parlato, proprio perchè è tale, rappresenta di per sè un irresistibile invito alla divagazione, alle "variazioni" sul tema, alla discorsività dell'eloquio e alla informalità del tutto. Poichè invece quasi nessuno sa parlare correntemente in latino, nessuno osa correggerne le espressioni e, anche se lo facesse, ben pochi se ne accorgerebbero. Una riforma della riforma perciò, poichè non sembra che prevedesse un ritorno massiccio del latino, a parte forse che nel Canone, non risolverebbe dunque il problema della verbosità e logorroicità delle celebrazioni. Che dire poi della soluzione relativa alla Croce da porsi al centro dell'Altare "versus populum"? Sinceramente mi sa tanto di "rattoppo" ed excamotage. Intanto ci vorrebbe una Croce con doppio Crocifisso su entrambe le facce, ovvero un oggetto sacro assolutamente nuovo e non tradizionale. Nell'Altare "ad orientem" infatti tutti sono rivolti al Signore, celebrante i fedeli. Non credo poi che una simile soluzione impedirebbe di fatto al sacerdote di concentrare lo sguardo sull'assemblea dei fedeli e a questi ultimi di guardare in faccia il celebrante. Il povero Crocifisso finirebbe inevitabilmente per sentirsi, scusate la battuta, il terzo incomodo! Vorrei però concludere questo mio articolo con una riflessione più profonda che, in fin dei conti, ritengo possa essere decisiva a proposito della posizione da assumere nei confronti del progetto di riforma della riforma. Ritengo infatti che inevitabilmente, anche se ci si sforzasse di non dare questa impressione, il procedimento di revisione del Messale riproporrebbe la sensazione che la Liturgia, in fondo, non è altro che come una legge o una costituzione. La si può cambiare a piacimento, rivoltare come un calzino, togliere da una parte ed aggiungere dall'altra, fare un "copia incolla" come in un normale documento word! Necessariamente quindi si dovrebbe mettere in moto tutta una procedura fatta di commissioni teologiche, pareri delle Conferenze Episcopali, valutazioni dei dicasteri romani, dibattiti sui giornali. Tutto ciò non farebbe altro che aumentare la sensazione di "lavoro a tavolino" con l'inevitabile retaggio di compromessi umani e maneggi più o meno trasparenti. Esattamente il contrario di quello di cui ora abbiamo davvero tutti bisogno ossia il recupero della dimensione sacrale della S. Messa e della consapevolezza che la Liturgia non ci appartiene ma è un dono che Dio fa alla sua S. Chiesa. Siamo dunque davvero convinti di voler spingere in questa direzione? Io credo piuttosto che occorra lasciar fare alla Provvidenza. Abbiamo la S. Messa di sempre, ritengo seriamente che, al di là di tutto, solo lei rappresenti una autentica risposta ai problemi attuali. I tempi saranno forse lunghi ma non siamo noi i padroni del tempo. Marco Bongi (torna
su)
febbraio 2011 |