Nessun potere per ridefinire il matrimonio

di Don Gerald E. Murray

Articolo pubblicato sul sito americano The Catholic Thing




Gesù comunica gli Apostoli - Beato Angelico - Convento San Marco, Firenze


19 maggio 2016

Il 7 maggio scorso, il Cardinale Raymond Burke ha parlato a Roma sulla natura della dottrina cattolica riguardante il matrimonio. Egli ha detto: “non è possibile che la Chiesa professi la fede nella indissolubilità del matrimonio, in accordo con la legge di Dio scritta in ogni cuore umano e annunciata con la parola di Cristo, e allo stesso tempo ammetta ai Sacramenti coloro che vivono pubblicamente in violazione della indissolubilità del matrimonio”.

Martedì scorso, parlando al National Catholic Prayer Breakfast, il Cardinale Robert Sarah è ritornato sull’argomento: “Oggi stiamo assistendo alla fase successiva - e al completamento - degli sforzi per costruire un utopico paradiso in terra senza Dio. E’ la fase della negazione del peccato e della Caduta di ogni cosa. Ma la morte di Dio si traduce nel seppellimento del bene, della bellezza, dell’amore e della verità. Il bene diventa male, il bello brutto, l’amore diventa soddisfazione degli istinti sessuali primordiali, e o ogni verità diventa relativa.”

Entrambe le affermazioni sono utili per riflettere sulla tanto discussa nota 351 di Amoris Laetitia. Il permesso dato nell’Esortazione Apostolica perché i sacramenti possano somministrarsi “in certi casi” a coloro che vivono pubblicamente una seconda unione adultera, è incompatibile con il significato della missione e dei doveri della Chiesa, e con la verità. Essa stabilisce semplicemente una novità nella disciplina sacramentale, che mina tutto l’ordine sacramentale della Chiesa.

La Chiesa esiste per unirci a Dio. Questa unione è un dono della grazia di Dio e inizia con il perdono dei peccati nel battesimo. La predicazione del Vangelo ha lo scopo di indurre gli uomini a cercare prima il battesimo e poi gli altri sacramenti. La legge della Chiesa regola l’amministrazione e la ricezione dei sacramenti, al fine di garantire l’accesso alla grazia sacramentale.

Queste regole, quindi, comprendono le disposizioni che mettono in guardia contro la ricezione indegna dei sacramenti, cosa che non fa bene all’anima. Se si è in stato di peccato mortale, a causa di una relazione adulterina, il ricevere l’Eucaristia non comunica la grazia del Sacramento.

Questo problema diventa ancora più grave se si è contratta una seconda invalida unione con una cerimonia civile o religiosa non cattolica. La ricezione dell’Eucaristia da parte di persone che vivono tali unioni è un grave scandalo in quanto rischia di indurre alcuni, se non molti, a concludere erroneamente che: o la Chiesa non insegna  più che il matrimonio è indissolubile e quindi non ritiene più che il secondo “matrimonio” sia una unione adultera che non rappresenta in alcun modo un vero matrimonio; o l’adulterio non è più un peccato mortale e gli adulteri non sono ritenuti indegni di ricevere la Santa Comunione.

La realtà è che la Chiesa non ha alcun potere per ridefinire la natura indissolubile del matrimonio o la gravità dell’adulterio. Un matrimonio non svanisce quando si inizia una seconda invalida unione. Del pari, la Chiesa non può ri-classificare il comportamento adulterino come un peccato veniale, e quindi  dichiarare che gli adulteri sono liberi di ricevere la Comunione. La Chiesa deve proclamare la verità: che l’adulterio è una grave violazione della legge di Dio. In caso contrario, essa può incorrere negli stessi errori che il Cardinale Sarah individua nell’odierno mondo secolare.

La Chiesa deve anche dichiarare che la ricezione indegna della Santa Eucaristia deve sempre essere evitata. Nei casi in cui tale indegnità è nota pubblicamente, la Chiesa deve, come un buon pastore, impedire che le pecore erranti aggiungano il peccato di sacrilegio al peccato di adulterio, rifiutando di amministrare il sacramento a coloro che continuano a vivere nel peccato.
Pretendere di far questo in nome della misericordia verso i peccatori è un approccio sbagliato. La stigmatizzazione legata al divieto di ricevere la Santa Comunione è salutare. Al peccatore è necessario che si ricordi la sua condizione, egli non può essere falsamente rassicurato che può rivendicare una deroga al divieto della Santa Comunione, col mitigare i fattori che si suppone possano sminuire la sua responsabilità personale nel commettere quello che è sempre un peccato oggettivamente mortale.

Nel sacramento della Penitenza, il sacerdote che ascolta una persona che confessa di mantenere una relazione adulterina, dovrebbe gentilmente, ma fermamente, guidare questa persona a rinunciare ad ulteriori atti di adulterio. Non importa che tipo di confuso ragionamento il penitente può aver impiegato per giustificare i suoi precedenti atti peccaminosi, il pentimento non potrà mai includere l’intenzione di continuare a commettere atti adulterini.
In una recente intervista, il Cardinale Burke si è espresso con decisione su questo punto: “se uno va a confessare il peccato di infedeltà mentre ha l’intenzione di continuare a vivere in quella situazione, tale che non sussiste un elemento essenziale del pentimento - il fermo proposito di correggersi -, quella persona non può essere assolta e, naturalmente, non può avvicinarsi a ricevere la Santa Comunione.”

La confusione che può aver portato un peccatore a fraintendere la gravità del comportamento adulterino nel passato, termina quando il sacerdote confessore lo informa su come si deve osservare il Sesto Comandamento, incoraggiandolo a fare tutto il necessario per conformare la propria vita al Vangelo.

Qualsiasi approccio che potrebbe ulteriormente confondere il peccatore, come il dirgli che oggi la Chiesa ha deciso che può essere assolto e ricevere la Santa Comunione perché per vari motivi (“fattori attenuanti”) non è considerato colpevole di peccato mortale per i suoi futuri atti di inaccettabile adulterio - è decisamente non veritiero.

Il dovere del pastore è quello di portare le pecore al buon pascolo della verità, dove la grazia di Dio rafforza la decisione del peccatore pentito di vivere secondo la legge che Dio ci ha dato. Un “permesso scappatoia” da parte del sacerdote che consiglia qualcuno che vive nel peccato che può continuare a commettere adulterio, è una grave mancanza di carità pastorale.

Il permesso dato nella nota 351 di Amoris Laetitia, pone un dilemma al sacerdote confessore che conosce la costante disciplina sacramentale della Chiesa basata sulla sua immutabile dottrina. La soluzione pratica al dilemma è ignorare l’ingiustificato permesso.

Il problema maggiore per la Chiesa è che tale autorizzazione è mai stata data. Essa deve essere ritirata, per il bene delle anime.

Notizia



Don Gerald E. Murray è nato a Brooklyn, New York, nel maggio 1959, ed è cresciuto a New Rochelle. Ha frequentato la Regis High School e il Dartmouth College. E’ entrato nel seminario St. Joseph, a Dunwoodie, nel 1980, ed è stato ordinato sacerdote il 1 dicembre 1984. E’ stato parroco in diverse parrocchie nel Bronx e Manhattan prima di essere inviato all’Università Gregoriana di Roma nel 1993, per studiare diritto canonico. Ha conseguito il dottorato in Diritto Canonico nel 1998, ed è stato per un breve periodo un giudice del Tribunale Metropolitano, prima di essere nominato parroco della chiesa di San Vincenzo di Paola, nel 1998. Dal 2012 è il parroco della Chiesa della Sacra Famiglia.
Don Murray ha commentato temi religiosi su varie emittenti televisive e radiofoniche, tra cui EWTN, EWTN spagnola, Fox News, Fox Business News, MSNBC, NY1, Radio Maria, Radio Rilevante, Fox News Radio e Voice of America.
Parla correntemente il francese, lo spagnolo e l’italiano, ed ha una conoscenza del portoghese. E’ stato cappellano della Marina Militare degli USA dal 1994 al 2005.

I nostri lettori lo conoscono per la sua famosa tesi di Dottorato in Diritto Canonico sostenuta nel giugno 1995 presso la Pontificia Università Gregoriana, e licenziata “summa cum laude” e bacio accademico, la quale trattava della sostanziale inesistenza della scomunica comminata nel 1988 a Mons. Lefevbre e ai quatro nuovi vescovi della Fraternità San Pio X. Tesi che lo stesso Don Murray sconfessò successivamente: si veda la nostra nota di presentazione dell'intervista allora rilasciata.




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