Considerazioni terra terra
di un cattolico perplesso


  Prima puntata: la Messa

di Belvecchio


Pubblichiamo una serie di considerazioni su diversi argomenti che sono oggetto di diatriba in relazione alla bontà cattolica di ciò che ha prodotto il Concilio Vaticano II.

Prima puntata: la Messa


Abbiamo letto, in questi ultimi tempi, diverse considerazioni relative ai giudizi che vengono espressi nei confronti del Concilio Vaticano II e ultimamente sembra che su tali giudizi sia iniziato un dibattito aperto a tutti. Si può dire che era quasi inevitabile, visto l’insorgere della dialettica sulla base dell’uso diffuso e indiscriminato dei moderni mezzi di comunicazione elettronici. Tutti scrivono, tutti si esprimono, tutti parlano di tutto: è l’ultimo prodotto della libertà di parola e della legittimità democratica. Non importa di che cosa, non importa come, l’importante è che si discuta, che si dibatta, che si dialoghi, che ognuno dica la sua: così siamo più liberi, più coscienti, più maturi, così cresciamo nella consapevolezza della verità.
Ne consegue che anche dei poveri semplici fedeli come noi si sentono in dovere di intervenire… perché no!
Abbiamo non poche perplessità sulla bontà di tale metodo moderno che esalta l’onnipresenza di tuttologi, ma dal momento che è ben possibile che noi ci sbagliamo, abbiamo pensato che anche le nostre modeste considerazioni, forse, potranno portare un contributo a questa annosa diatriba sulla bontà cattolica di ciò che prodotto il Vaticano II.

Per onestà, confessiamo subito che non ci intendiamo di teologia, né di liturgia, né di canonistica: noi siamo fermi al semplice catechismo per i fedeli:
Chi ci ha creato? Ci ha creato Dio.
Chi è Dio?
Dio è l’Essere perfettissimo, Creatore e Signore del Cielo e della Terra.
Per qual fine Dio ci ha creati?
Dio ci ha creati per conoscerLo, amarLo e servirLo in questa vita e per goderLo poi nell’altra in Paradiso.
E avanti così per quelle poche pagine che da ragazzi abbiamo appreso a memoria in occasione della prima Comunione.
Come semplici fedeli, preoccupati di vivere secondo i Comandamenti di Dio per la salvezza della nostra anima, abbiamo sempre pensato che non è indispensabile studiare interi volumi di teologia, né è necessario addentrarsi nella complessità del significato della liturgia, né tampoco è pregiudiziale una preparazione giuridica sulla disciplina ecclesiastica. Noi preghiamo, cerchiamo di praticare la fede che ci è stata trasmessa e ci è stata confermata con la grazia dei Sacramenti e ogni tanto ci permettiamo di fare qualche considerazione sulla vita della Chiesa e sulla pratica della fede, colpiti come siamo da questo o da quel fatto, da questo o da quel discorso .

Qualcuno ci rimprovera che a volte siamo troppo pessimisti o troppo presuntuosi o troppo poco caritatevoli, è possibile, ma siamo noi che parliamo, con i nostri difetti, con i nostri limiti, con il nostro condizionamento umano e temporale: siamo uomini del nostro tempo. Perciò chiediamo subito scusa se a volte ci capita di offendere qualcuno, non è nelle nostre vere intenzioni, se a volte ci esprimiamo con durezza, non lo facciamo per cattiveria, se a volte manchiamo di rispetto a qualche porporato, non abbiamo in vista la funzione, ma l’uomo.

Fatta questa premessa, passiamo a considerare alcuni aspetti di questa diatriba sul Vaticano II.
Nonostante la difficoltà di districarsi nella pletora di pubblicazioni ufficiali e ufficiose apparse in questi ultimi 40 anni, abbiamo letto i documenti del Vaticano II, abbiamo letto tanti interventi dei papi e dei vescovi, abbiamo letto anche diverse dichiarazioni delle Congregazioni vaticane (non sappiamo bene con quale frutto, solo affidandoci alla nostra modesta capacità di comprensione), ma soprattutto abbiamo vissuto gli ultimi 40 anni di vita della Chiesa attraverso la pastorale e la catechesi che si praticano nelle parrocchie e attraverso l’assistenza alla Messa moderna.

Partiamo quindi da qui, dalla Messa moderna.
Ci soffermeremo in seguito su altri aspetti importanti.

Entriamo in chiesa per la Messa domenicale. Vogliamo segnarci, ma manca l’acqua benedetta. Troviamo un posto, vogliamo inginocchiarci per recitare qualche preghiera, manca l’inginocchiatoio… pazienza, ci inginocchiamo a terra… forse è meglio.
Arriva il prete, fa un inchino e rivolto ai fedeli invita a confessare i peccati, spiegando passo passo cosa si sta facendo. Andiamo a Messa tutte le Domeniche, l’avremo pur imparato cosa si sta facendo!… ma il prete è da 40 anni che lo spiega tutte le Domeniche. Siamo perplessi!
Si recita il Gloria, i fedeli che lo recitano sono la minoranza, la recita è automatica, continua, senza un minimo di pausa nei passi salienti, non un gesto di deferenza, non uno sguardo che si abbassa, non uno sguardo alla Croce… qui si recita il Gloria… là è Dio… tutto si svolge tra la reciproca attenzione del prete e dei fedeli. Siamo perplessi!
Si dà inizio alle letture, e al via vai di fedeli che vanno e vengono dall’ambone, uomini e donne, il presbiterio non c’è più. Il prete è seduto con le spalle al Crocifisso. Siamo perplessi!
Il prete introduce la lettura del Vangelo, il coro canta una canzoncina che non c’entra niente con la liturgia del giorno… ce ne accorgiamo dopo. Siamo perplessi!
Il prete legge il brano del Vangelo. Dopo fa l’omelia: tante belle parole, ma che abbiamo già sentito prima di entrare in chiesa, su diverse cose non eravamo d’accordo, anzi ci sembravano controverse e contrarie al catechismo… ma erano i discorsi della strada… però quando li sentiamo ripetere dal prete nel corso della Messa ci sembrano un po’ ridicoli e un po’ stolti. Siamo perplessi!
Il prete termina l’omelia e va a sedersi… qualche minuto di silenzio… per riflettere, si dice… e noi riflettiamo… e incominciamo a chiedere perdono a Dio perché i pensieri che ci vengono in mente dopo l’omelia del prete sollecitano la nostra presunzione e ci distraggono dalla Messa. Siamo perplessi!
Si recita il Credo, si parla di Dio, del Figlio Gesù, dello Spirito Santo, dell’Incarnazione, della Redenzione, della vita eterna… ma tutto si svolge come se niente fosse, anche questa volta noi e il prete siamo di qua… Dio è di là. Un minimo di compenetrazione per questa solenne dichiarazione di fede… niente, neanche un gesto, come fosse un discorso qualunque. Siamo perplessi!
Il prete incomincia la recita dell’offertorio, attorniato da uomini e donne che dalla sala si sono recati all’altare per la bisogna. Il coro canta un’altra canzoncina… questa volta si parla del Signore e lo si invita a intervenire con noi in questo banchetto… Ma! Il prete e i suoi aiutanti continuano ad attrarre la nostra attenzione, è una distrazione inevitabile. Ascoltiamo il prete che a gran voce ci dice che il pane e il vino, che avremmo fatto noi, speriamo che diventi cibo di vita eterna e bevanda di salvezza. Ci chiediamo: che significa questa cosa strana? Signore, abbiamo fabbricato questa cosa… te la presentiamo perché diventi… Ma! Certo che stiamo parlando di un mistero, ma qua scadiamo nella sollecitazione di un mero atto magico: to’, Signore, trasforma questo prodotto del nostro lavoro in un commestibile per la nostra salvezza! Non una professione di umiltà e di contrizione per la nostra condizione di peccatori, non un’invocazione a Dio Trino, Padre, Figlio e Spirito Santo, non un richiamo all’Incarnazione e alla Redenzione. Niente: to’, Signore, trasforma questo prodotto del nostro lavoro in un commestibile per la nostra salvezza! Siamo perplessi… siamo fortemente perplessi!!
E il prete continua a spiegare e a delucidare… arriva al prefazio. Cuori in alto e rivolti al Signore… ma siamo tutti faccia a faccia… prete e fedeli, un rivolgersi a Dio, dunque, astratto e ideale… per modo di dire. Sempre uguale… noi qua, Dio là. Non è in mezzo a noi, non è davanti noi, è là, da parte. Certo che è in terra in Cielo e in ogni luogo, Lui, ma qua, in questa chiesa, è da parte. Inneggiamo tutti a Dio tre volte Santo, tra canti ritmati e osanna orecchiabili. Il prete recita la preghiera eucaristica e dopo avere invocato la discesa dello Spirito Santo subito viene al dunque, racconta cosa avvenne nell’Ultima Cena e ripete velocemente le parole di Cristo. Tutti in piedi a guardare e ad ascoltare le parole che il prete pronuncia a voce alta. Non una partecipazione al mistero che sta per compiersi, non un gesto di adorazione e di sottomissione, solo le parole del prete e i canti del coro. E quando il prete, finita la consacrazione, ricorda che è stato celebrato il mistero della fede, noi fedeli ci rivolgiamo al Signore e, come se questo mistero non avesse reso presente il Signore, gli parliamo come se Egli fosse sempre là, da parte. Annunciamo la tua morte, proclamiamo la tua resurrezione, nell’attesa della tua venuta. Tutti professiamo solennemente, subito dopo la consacrazione e la transustanziazione, che il Signore non è tra noi, non è davanti ai nostri sensi… Lui è morto e risorto e un giorno verrà. Adesso non c’è. Siamo sempre più perplessi, siamo sempre più fortemente perplessi!!!
Finita la preghiera eucaristica si recita il Padre Nostro: chi alza le mani, chi le tiene incrociate, chi forma una catena d’unione di sapore massonico, chi si gira, chi parla… tuo è il regno… diciamo in coro. E il prete invita tutti a scambiarsi un segno di pace … subito la chiesa si trasforma in un brulichio di gente che si muove, pace… pace… pace ripete il prete dentro e fuori del presbiterio, dove ha lasciato da parte sull’altare il Signore appena transustanziato… pace. E ritornato all’altare, il prete inizia la recita dell’Agnello di Dio, mentre il coro intona un motivetto trotterellante che dovrebbe essere rivolto al Signore presente sull’altare, ed è allora che il prete presenta alta l’Ostia consacrata: Ecco l’Agnello di Dio. … Ci fosse uno che china il capo, uno che si faccia partecipe di questa presentazione lontana un universo intero dalla comprensione umana, uno che cada in ginocchio per adorare prostrato il Nostro Dio che è venuto ancora una volta tra noi per salvarci dai nostri peccati! Tutto si svolge ordinariamente, miseramente, come se niente fosse, e tutti ci muoviamo per andare a comunicarci… tutti, o quasi tutti… ci chiediamo: siamo degni? Siamo davvero degni di ricevere il Corpo di Cristo? Ci siamo confessati? Siamo senza peccato mortale? Gli altri forse sì… noi no. Noi è da quando è incominciata questa Messa che siamo perplessi, noi non possiamo accostarci al SS. Sacramento senza il terrore di andare a mangiare la nostra condanna. Noi no!

Questa è la Messa del Vaticano II, questa Messa scialba, banalizzata e umanizzata, questa Messa stracolma di parole qualsiasi come se ne sentono al bar, questa Messa dove non è presente alcuna sacralità, questa Messa dove la fanno da padroni gli uomini, chierici e laici, questa Messa dove il Signore è uno di noi: e questo è un fatto, non un’opinione o un’impressione.
Ora, la Messa è il momento più importante per l’edificazione dei fedeli, è una vera e propria catechesi settimanale, è il veicolo di grazia che il Signore ci ha lasciato. Ma ridotta così è diventata una cerimonia qualsiasi e l’edificazione dei fedeli è ridotta a quasi niente, mentre l’unica catechesi è quella dei luoghi comuni e del buonismo ad ogni costo.
Certo ci sono delle Messe moderne celebrate con dignità, con una palese immedesimazione del celebrante e dei fedeli, con una compostezza ed una devozione evidenti. Ma… ci sono… cioè qua e là, per il resto l’ordinarietà e la pochezza informano la gran parte delle celebrazioni, mentre i fedeli, chierici e laici, fanno a gara per personalizzarle. Nessuna lodevole attenzione, qua e là, potrà mai soverchiare tutte le incongruenze di questa Messa, nessuna devozione, qua e là, potrà colmarne le lacune e riscattarne la banalità.
Non entriamo nel merito, non siamo dei liturgisti, ci atteniamo alla nostra sensibilità di semplici fedeli e sinceramente questa Messa moderna non sa di niente, non ci dice niente, non ci trasmette niente, non ci chiama a niente. Usciamo dalla chiesa come ne siamo entrati, anzi con un certo sconcerto che prima non avevamo.
Ci è permesso avere l’atroce dubbio che questa Messa ci faccia più male che bene?

Si dirà: queste cose non le ha volute il Concilio, ma sono sopraggiunte nonostante il Concilio.
E noi che non siamo degli studiosi, da semplici fedeli constatiamo semplicemente che questa Messa è stata voluta dagli uomini di Chiesa a partire dal Concilio e da 40 anni la praticano vescovi, cardinali e papi, quindi non servono a niente i discorsi dotti, quello che conta è la realtà della pratica della fede, e la realtà è che i fedeli non sono attratti da questa Messa, ne sono respinti, perché la sentono banale e senza significato. E la sentono così per cognizione di causa: ascoltano le parole, sentono i canti, vedono e sentono il prete all’altare, osservano gli altri fedeli… e non vanno più a Messa. Che ci vado a fare? Se non sembra neanche di stare in chiesa?
Mentre tra quelli che ancora lo fanno è enorme il numero di coloro che si recano a Messa turandosi il naso ed evitando accuratamente di partecipare alle continue stranezze del prete e del consiglio parrocchiale.
Si fa peccato mortale a considerare che questo è il risultato dell’“aggiornamento” voluto dal Concilio e dai vescovi e dai cardinali e dai papi?

Ed ecco che i teologi ci richiamano all’ordine: se non capite come si svolge la nuova Messa, abbiate la carità di chiedere. Interpellate chi ne sa più di voi, e vi verrà spiegato il senso, l’opportunità e il valore della nuova Messa. E allora vi renderete conto che i difetti sono in voi non nella Messa. Fidatevi della Chiesa, fidatevi dei vescovi e dei papi, se hanno stabilito questa nuova Messa lo hanno fatto per il bene delle anime. Orsù! Questa Messa è stata voluta dal Papa e da tutta la Chiesa, non può essere una Messa cattiva, la Chiesa non sbaglia, il Papa non sbaglia. Chi pensa così non è cattolico.

Ora, che un teologo possa fare questo ragionamento è più che comprensibile, ma che si pretenda che questo ragionamento abbia un minimo di praticabilità e di coerenza è davvero incredibile. Per 40 anni ci è stata spiegata questa Messa in lungo e in largo, ci è stato detto che serviva ad accrescere la comprensione e la partecipazione dei fedeli, che serviva ad ampliare la loro consapevolezza, ed ecco che di fronte alle perplessità e allo sconcerto, di fronte alla fuga in massa dei fedeli dalle chiese, di fronte alla diserzione dei seminari e dei conventi, ecco che ci si rimprovera di non andare a consultare i teologi.
Disgrazia vuole che noi siamo dei semplici fedeli, non abbiamo molto tempo da impiegare in disquisizioni teologiche, noi andiamo dal nostro parroco e gli chiediamo perché non si inchina alla menzione del nome di Dio e se il parroco ci risponde che è finito il tempo in cui si facevano i salamelecchi al Signore, noi usciamo da quella chiesa e non mettiamo più piede in un luogo dove un tipo col maglione alla coreana si permette di essere blasfemo credendo di essere una cima.
Sarà pure colpa nostra che siamo permalosi e manchiamo di carità, ma che tutto questo è figlio del Vaticano II, non è colpa nostra, non siamo noi che dirigiamo la Chiesa, ma i vescovi, i cardinali e i papi, non siamo noi che approfondiamo le tematiche della Chiesa e impostiamo la pastorale e la catechesi, ma i teologi. Noi ci limitiamo a fare i semplici fedeli, e siccome non siamo completamente stupidi non riusciamo a condividere tutto questo marasma, non ci sentiamo a nostro agio in mezzo a tutta questa umanizzazione del sacro, ci sentiamo fortemente a disagio per questa protestantizzazione del culto cattolico  e temiamo fortemente per la salvezza delle nostre anime.

Quanto poi al fatto che dobbiamo fidarci della Chiesa e del Papa ci sembra un tipico trucchetto da sagrestia. Certo che ci fidiamo della Chiesa, e non per nostra scelta o preferenza, ma perché non v’è nulla che possa essere meglio della Santa Chiesa voluta da Gesù Cristo. Non si tratta di fidarci, quanto piuttosto di affidarci. A chi potremmo affidarci, se non alla Sposa di Cristo? Ma è ovvio che non si può giuocare con le cose serie: una cosa è la Chiesa, un’altra sono gli uomini di Chiesa, non si può giuocare con le parole cercando di far passare per Chiesa i moderni  uomini di Chiesa. Se è vero che la Chiesa cammina con le gambe degli uomini, è anche vero che queste gambe, che poggiano sulla terra, devono… devono… devono… essere comandate dal cuore e dalla mente rivolte al Cielo. Ma quando gli uomini di Chiesa si dedicano a stabilire il miglior accordo possibile con questo mondo che non vuole saperne di Dio, come hanno fatto nel Vaticano II e negli ultimi 40 anni, è evidente che il loro cuore e la loro mente non sono rivolte al Cielo, ma sono diventate tutt’uno con le loro gambe, non guardano all’alto, ma al basso, non agognano il Regno dei Cieli, ma il regno della terra, non aspirano alla pace di Cristo, ma alla pace dell’uomo.
Non vogliamo esagerare ricordando il monito dei ciechi che guidano altri ciechi, ma è certo che la crisi che attraversa pesantemente la Chiesa non può essere addebitata a noi semplici fedeli.

Forse saremo anche stolti, il Signore lo sa, ma noi ci accontentiamo della nostra pochezza e andiamo a cercarci un prete che ci sembra un prete, che si veste come un prete, che parla come un prete, che si comporta come un prete, che dice la Messa che hanno detto migliaia di generazioni di preti, un prete che ci confessa e ci ricorda le poche semplici cose del Catechismo: l’amore per Dio, il timore di Dio, la ricompensa del Paradiso, la condanna dell’Inferno. Un prete che non sollecita le nostre pulsioni sentimentali, che non aizza la nostra presunzione intellettuale, ma stimola la nostra fede, la nostra devozione e la nostra sottomissione alla volontà di Dio.

Non ci servono tanti teologi, ma tanti bravi sacerdoti, tanti santi sacerdoti.
Dio lo voglia!

Belvecchio





aprile 2011

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