La beatificazione
di Giovanni Paolo II e Cuba:

un problema di coscienza per i cattolici cubani

 

di Armando Valladares

Pubblichiamo un articolo diffuso dallo scrittore cattolico Armando Valladares, un esule cubano in Florida che da anni si batte per salvare l'identità cattolica del proprio paese.

Armando Valladares, scrittore, pittore e poeta.
Ha trasorso 22 anni nelle carceri politiche di Cuba.
È autore del noto libro
Contra toda esperanza (Contro ogni speranza – Edizione italiana Spirali), dove narra l’orrore delle prigioni castriste.
È stato ambasciatore degli Stati Uniti nella Commissione dei Diritti Umani dell’ONU, sotto le amministrazioni Reagan e Bush.
Gli è stata conferita la Medaglia presidenziale al Cittadino ed è stato insignito del Superior Arward del Dipartimento di Stato.
Ha scritto numerosi articoli sulla riprovevole collaborazione ecclesiastica col comunismo cubano e sulla “ostpolitik” vaticana con Cuba.



Breve commento

Leggendo questo articolo viene subito in mente che per anni è stato ripetuto che Giovanni Paolo II avrebbe concorso in maniera determinante a far crollare il comunismo nell'Europa dell'Est.
A parte che siamo convinti che a tutt'oggi il comunismo sia vivo e vegeto un po' dappertutto, Italia compresa, con forme più o meno edulcurate, forse è bene mettersi d'accordo su che cosa significhi “comunismo”.
Se per comunismo si intende un certo modo di pensare e di sentire, una visione del mondo volta alla distruzione della religione e dell'ordine morale (ciò che realmente è) sarebbe davvero ingannevole pensare che il comunismo sia morto o sia malato. Il comunismo è più che mai attivo e continua nell'opera di sovversione del mondo, seguendo fedelmente i piani del suo ispiratore e padrone: il Diavolo.
Tanti cattolici si illudono perché non vedono più scorazzare per il mondo e per le vie delle loro città le turbe inalberanti la “falce e martello”, ma ci sono mille segni, un po' dovunque, che stanno ad indicare che le concezioni comuniste fanno sempre più parte del nostro vivere quotidiano. Cosa che può negare solo chi non vuol vedere.
La vita attuale dello stesso mondo cattolico è zeppa di esempi di questo genere, con epigoni sia laici sia chierici. Basta pensare alle recenti polemiche intorno al Concilio Vaticano II e al significato delle catastrofi naturali, alimentate in parallelo dalla pubblicista atea e dalla  stampa cattolica ufficiale e ufficiosa.

Quella di Giovanni Paolo II che debella il comunismo è una favola per bambini o un argomentare interessato?
E se è interessato… cui prodest?


Non mi risulta che durante il processo di beatificazione di questo Pontefice siano state fatte conoscere pubblicamente inchieste sul suo pensiero in relazione al comunismo cubano, pensiero che andasse ben al di là del campo diplomatico e giungesse al piano dottrinale. Da qui il dovere di coscienza di presentare, nella maniera più rispettosa e filiale possibile, le seguenti riflessioni.

L’annunciata beatificazione di S. S. Giovanni Paolo II, prevista per il prossimo 1 maggio, pone un problema di coscienza senza precedenti in molti fedeli cattolici cubani, i quali ha causa della loro Fede, della venerazione per la propria Patria e dell’amore per le loro famiglie si oppongono al comunismo cubano. Infatti, questi fedeli cattolici guardano con perplessità e col cuore lacerato tutto quello che questo Pontefice avrebbe fatto in certe circostanze, e non sarebbe riuscito a fare in altre, per favorire direttamente o indirettamente il comunismo cubano.

Cito qui di seguito, sinteticamente, alcuni esempi che ho avuto occasione di commentare ampiamente, nel corso degli anni, in diversi articoli sulla collaborazione della Chiesa col comunismo nell’isola prigione; e chiedo fin d’ora la comprensione dei lettori.
Lo faccio come fedele cattolico e come cubano, con tutto il rispetto possibile per la Chiesa, disposto ad ascoltare e a discutere eventuali spiegazioni avanzate da fonti debitamente autorizzate, spiegazioni che al momento non sono a mia conoscenza, circa le vicende storiche che esporrò brevemente di seguito.

L’8 gennaio 2005, nel ricevere le credenziali del nuovo ambasciatore cubano, Giovanni Paolo II pronunciò un discorso che elogiava gli “obiettivi” che le “autorità cubane” avrebbero ipoteticamente realizzato nei campi della sanità, dell’educazione e della cultura. In realtà si tratta di una sinistra trilogia che il regime, nel corso di mezzo secolo, ha usato come strumento per corrompere le coscienze di intere generazioni di cubani fin dalla più tenera età, provocando un genocidio spirituale senza precedenti nella storia della Chiesa nelle Americhe.

Ciò nonostante, Giovanni Paolo II, nello stesso discorso ha insistito nel suo elogio arrivando ad affermare che con questa trilogia le “autorità” di Cuba – cioè i membri del regime castrista – avrebbero posto i “pilastri dell’edifico della pace” e avrebbero favorito la “crescita armonica del corpo e dello spirito”. Con il che il pontefice sembra che ignorasse che Fidel Castro, Che Guevara e i loro seguaci, in nome di questa trilogia, avevano provocato la distruzione e la morte “del corpo e dello spirito” di tante persone in molti paesi dell’America Latina, dell’Africa e dell’Asia.

L’elogio del comunismo e dei componenti della dittatura castrista non avrebbe potuto essere più grande. Per i cubani, che hanno sentito e continuano a sentire sulla propria carne l’opera distruttrice della rivoluzione comunista nella loro Patria, le dette espressioni papali risultano particolarmente dolorose e sinceramente non saprei da dove iniziare per giustificarle. Tali considerazioni, che vanno al di là delle forme di cortesia diplomatiche, viste in una prospettiva storica, si scontrano in pieno e perfino lacerano la memoria di quei giovani martiri cattolici cubani che sono morti sotto i plotoni d’esecuzione al grido di “Viva Cristo Re! Abbasso il comunismo!”

Nello stesso discorso, uno dei più importanti su Cuba del suo lungo pontificato, il riconoscimento di Giovanni Paolo II si estese ad un preteso “spirito di solidarietà” dell’internazionalismo cubano, che si sarebbe manifestato con l’“invio di personale e di risorse materiali” ad altri popoli in occasione di “calamità naturali, conflitti o povertà”. In realtà, come ho appena ricordato, lungi dal riflettere uno spirito di “solidarietà” cristiana, l’internazionalismo comunista assegnò a Cuba il triste ruolo di esportatore di conflitti in America Latina, Africa e Asia, con “personale e risorse materiali” usate non per risolvere i conflitti o diminuire la povertà, ma per aggravarli, suscitando guerriglie che a loro volta contribuivano a provocare sanguinose calamità peggiori di quelle naturali. In realtà, l’internazionalismo cubano contribuì a far sprofondare intere nazioni nella peggiore “povertà” materiale e spirituale, cosa che è esattamente il contrario dal trarle fuori da tale situazione.

Nella Cuba comunista, una delle figure principali del modello “solidale” internazionalista era il guerrigliero argentino-cubano Ernesto Che Guevara, colui che era giunto ad affermare che l’“odio” è un motore capace di trasformare un rivoluzionario in “una efficace, violenta, selettiva e fredda macchina per uccidere”. Pertanto l’allusione papale al supposto “spirito di solidarietà” dell’internazionalismo cubano non può che produrre costernazione (cf A. Valladares, Juan Pablo II, Cuba y un dilema de conciencia, Diario Las Americas, Miami, 15 gennaio 2005).

Nel discorso di cui sopra, S. S. Giovanni Paolo II non citò Che Guevara, ma lo aveva fatto nel gennaio del 1998, con poche parole benevole e perfino elogiative pronunciate sull’aereo che lo portava a Cuba. In una conversazione informale con i giornalisti, alla domanda su cosa pensasse di Che Guevara, il Pontefice rispose testualmente: “Lasciamo a Lui, a Nostro Signore, il giudizio sui suoi meriti. Certo, io sono convinto che volesse servire i poveri.” ((Vatican Information Service, "Los periodistas entrevistan al Papa durante el vuelo a Cuba", Città del Vaticano, 21 gennaio 1998).

La fonte di questa notizia, l’agenzia di stampa della Santa Sede, non potrebbe essere più formale e questo fa sì che le parole del Pontefice siano causa di un’afflizione particolare. Com’è possibile che un albero cattivo possa dare dei buoni frutti come per esempio l’aiuto cristiano ai più poveri e ai senza tetto? (cf San Matteo, 7, 18) Forse che Ernesto Guevara non fu quel “flagello satanico” – secondo l’espressione usata da S. S. Pio XI riferendosi a comunismo – sia per Cuba sia per tanti altri paesi, che promosse rivoluzioni sanguinose che arrecarono danno specialmente ai più poveri,  esattamente a coloro che il Pontefice afferma volesse servire Che Guevara? (Cf. A. Valladares, Monseñor Céspedes: Juan Pablo II y el Che Guevara, Diario Las Américas, Miami, 26 giugno 2008).

Per una sfortunata coincidenza, queste dichiarazioni elogiative nei confronti di Che Guevara furono espresse da Giovanni Paolo II proprio mentre l’aereo che lo portava all’Avana sorvolava le coste della Florida, dove si concentra il maggior numero di esuli cubani. Così che tali dichiarazioni risultarono particolarmente strazianti, dal punto di vista spirituale, per questi esuli cubani che furono obbligati ad abbandonare la loro Patria a causa della persecuzione comunista. Esuli cubani che non potevano fare a meno di ricordare che 11 anni prima, in occasione della visita di Giovanni Paolo II a Miami, si sentirono abbandonati spiritualmente quando il Pontefice non visitò la simbolica Ermita de la Caridad del Cobre, né ricevette una delegazione dei rappresentanti degli esuli che gli avevano chiesto udienza e sembrò non fare caso alle diecine di migliaia di bandiere cubane sventolate dagli esiliati che erano venuti a salutarlo e che sperarono invano una parola di conforto per loro stessi, per le loro famiglie e per la loro amata Patria schiavizzata.

I fulmini, i lampi e i tuoni che interruppero la più importante e popolare delle celebrazioni tenutesi in occasione della visita di Giovanni Paolo II a Miami, contribuirono a delineare un quadro tragicamente appropriato per interpretare il sentimento di abbandono avvertito dalle diecine di migliaia di esuli cubani che non udirono una parola di conforto del Pontefice a fronte della tragedia della loro amata Patria e delle loro tragedie personali e familiari.

Sull’accoglienza ricevuta dal dittatore Castro a Roma, nel 1996, e sul successivo viaggio di Giovanni Paolo II a Cuba, nel 1998, si potrebbero fare, e di fatto si sono fatti, tanti commenti dal punto di vista degli enormi vantaggi pubblicistici e diplomatici attenuti dal regime dell’Avana. Qui mi limito ad evidenziare, del viaggio a Cuba, alcuni aspetti poco o per niente commentati delle sue allocuzioni, basandomi sullo studio Cuba comunista después de la visita papal, edito nel 1998 dalla Comisión de Estudios Por la Libertad de Cuba, di Miami.

A L’Avana, in uno dei suoi discorsi, dopo aver posto la discutibile premessa di un “fruttuoso dialogo” tra credenti e miscredenti, cioè i comunisti cubani, Giovanni Paolo II fece un appello perché si giungesse ad una “sintesi” culturale sulla base del fatto supposto che entrambi le parti in “dialogo” tenderebbero alla “comune finalità” di “servire l’uomo”.

Con tutto il rispetto e la venerazione dovuti, non si capisce come possa realizzarsi una “sintesi” tra elementi totalmente contrapposti e inconciliabili come sono i principi della fede cattolica e quelli dell’anticultura marxista. In che modo sarebbe possibile una “sintesi” fra il bene e il male, fra la luce e le tenebre, fra Gesù Cristo da un lato e Carlo Marx, Che Guevara e Fidel Castro dall’altro?

Né è possibile comprendere l’affermazione di Giovanni Paolo II secondo la quale la Chiesa e le “istituzioni culturali” del sistema comunista cubano possano avere una “comune finalità” al servizio del progresso spirituale dei cubani, come se la “finalità” del regime non fosse quella di essersi applicato con tutte le sue forze, in maniera metodica, per quarant’anni, a distruggere l’”anima cristiana”, una finalità quindi che, non solo non è comune, ma al contrario è diametralmente opposta.

Un altro aspetto del pontificato di Giovanni Paolo II, che ha provocato sconcerto e frustrazione in molti cubani, è quello della serie di richieste di perdono per ciò che questo Pontefice considerava come peccati passati e presenti dei figli della Chiesa, tra i quali tuttavia non si riusciva a trovare il benché minimo riferimento alla connivenza ideologica e alla complicità strategica di tanti ecclesiastici col comunismo a Cuba e in altri paesi del mondo, comportamento attuato con opere o omissioni per decenni. (cf. A. Valladares, El pedido de perdón que no hubo: la colaboración eclesiástica con el comunismo, Diario Las Americas, Miami, 22 marzo 2000).

Da questo punto di vista Giovanni Paolo II, nel corso del suo lungo pontificato, sostenne i vescovi collaborazionisti cubani, in particolare in occasione dell’Incontro Ecclesiale Nazionale Cubano del 1986. In un messaggio inviato per il cardinale Pironio, Giovanni Paolo II espresse il suo “meritato riconoscimento” al documento di lavoro, nel quale si indicava come meta una audace e senza precedenti “sintesi vitale” catto-comunista, riaffermata poi nel documento finale; e creò cardinale l’arcivescovo de L’Avana, monsignor Jaime Ortega y Alaimo, uno dei maggiori artefici del processo di collusione catto-comunista a Cuba.

A questo elenco di esempi del favoreggiamento di Giovanni Paolo II nei confronti del comunismo cubano, attuato direttamente o indirettamente con parole, opere ed omissioni, aggiungo per finire, in ordine cronologico, tre filiali e riverenti lettere di esuli cubani a Giovanni Paolo II, le quali purtroppo sono rimaste senza risposta nonostante fossero firmate da diecine di personalità rappresentative dell’esilio cubano. La prima del 1987, a Miami, in occasione della visita di Giovanni Paolo II: Santo Padre, liberad a Cuba! (Diario Las Américas, Miami, 7 agosto 1987). La seconda del 1995, a Roma: Los cubanos desterrados apelan a Juan Pablo II: ¡Santidad, protegednos de la actuación del Cardenal Ortega! (Diario Las Américas, Miami, 24 ottobre 1998). La terza del 1999, sempre a Roma: ¡Santo Padre, rescatad del olvido a los mártires cubanos, víctimas del comunismo! (Diario Las Américas, Miami, 21 settembre 1999).

So che in occasione del processo di beatificazione di Giovanni Paolo II, delle personalità cattoliche hanno espresso pubblicamente la loro perplessità per le parole, le opere e le omissioni di Giovanni Paolo II in campo religioso. Non mi risulta però che nel corso di questo processo di beatificazione si siano sollevati pubblicamente dei dubbi sul pensiero di questo Pontefice in relazione al comunismo cubano, pensiero che va ben al di là del campo diplomatico e interessa il campo dottrinale. Da qui il dovere di coscienza di esporre, nella maniera più rispettosa e filiale possibile, le presenti riflessioni.

In questa ottica, non capisco sinceramente come i cattolici cubani, dentro e fuori l’isola, che hanno concordato con le tesi dei miei articoli, ma soprattutto con le brillanti analisi e commentari di altri compatrioti, possano vedere in Giovanni Paolo II un esempio da seguire e da imitare sulla base del modo in cui egli ha trattato il problema del comunismo nella nostra Patria, come abbiamo mostrato nei paragrafi precedenti.

So che nel corso del processo di beatificazione i teologi esaminano gli scritti dei candidati. Ora, è possibile che questi teologi abbiano analizzato i testi di Giovanni Paolo II che io ho citato e commentato in modo rispettoso e filiale. Se è così, voglia Iddio che noi cattolici cubani si possa prendere visione di queste sagge spiegazioni. Diversamente, il problema di coscienza non farà che aumentare. Infatti, come comprendere che un Pontefice che tanto ha fatto per il comunismo cubano possa essere proclamato beato dalla Chiesa? Chiedo e supplico che i problematicissimi detti e fatti sopra citati di Giovanni Paolo II siano debitamente chiariti e spiegati. Diversamente la beatificazione di Giovanni Paolo II, annunciata per il prossimo 1 maggio, sarà segnata indelebilmente dal marchio dello sconcerto, della contraddizione e della confusione.

In quanto fedele cattolico cubano credo di avere, non solo il diritto, ma il dovere di coscienza di far conoscere queste considerazioni. Come ho detto e ribadisco in questa drammatica occasione, ho un obbligo nei confronti di quei giovani martiri cattolici che sono morti nella sinistra prigione de L’Avana al grido di “Viva Cristo Re! Abbasso il comunismo!”; nei confronti dei miei amici assassinati nelle prigioni; nei confronti della lotta per la libertà della mia Patria; nei confronti della storia e, prima di tutto nei confronti di Dio e della Vergine della Carità di Cobre, patrona di Cuba. Nell’esame della vita e della morte di qualsiasi essere umano, per straordinarie che siano, non si possono cancellare o modificare o alterare o ignorare le conseguenze degli atti che egli ha compiuto.



aprile 2011

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