Giovanni Paolo II, beato?

 

Pubblichiamo un articolo di Don Ludovic Girod, Priore del Priorato Notre-Dame-de-Fatima di Prunay, Francia, della Fraternità San Pio X.
L'articolo è stato pubblicato sui nn° 195 e 196 (aprile e maggio 2011),
del giornale “La Sainte Ampoule” dello stesso Priorato.

(il testo è stato diffuso da La Porte Latine, sito della Fraternità in Francia)


(neretti e impaginazione sono nostri)


Prima parte

Il Papa Benedetto XVI ha annunciato che il suo immediato predecessore, il Papa Giovanni Paolo II, che ha governato la Chiesa dal 1978 al 2005, sarà beatificato il 1° maggio, solo sei anni dopo la sua morte. Dopo la beatificazione voluta da Giovanni Paolo II del papa che aveva convocato il Concilio Vaticano II, Giovanni XXIII, ecco quella del papa che ha applicato i principi del Concilio e li ha come incarnati per più di un quarto di secolo alla testa della Chiesa. Giovanni Paolo II fu il papa dei grandi assembramenti organizzati nel corso dei suoi numerosi viaggi, ma anche il papa dai gesti spettacolari nei confronti delle altre religioni, cristiane e non, come l’incontro di Assisi o il bacio del Corano.

Questa beatificazione pone al fedele cattolico delle domande angosciose: se Giovanni Paolo II è dichiarato beato, ne deriva che tutti i principi del Concilio sono da adottare, che non si può più rigettarli e combatterli. Noi vorremmo addurre alcuni elementi di risposta utlizzando un importante articolo di Don Jean-Michel Gleize su Le Courrier de Rome del febbraio 2011, insieme ad altri articoli del dossier che il n° 82 della rivista Fideliter ha dedicato a I Santi del Concilio. In seguito compareremo i pontificati di Giovanni Paolo II e di San Pio X, ultimo papa canonizzato.

Precisiamo innanzi tutto che la beatificazione non impegna per niente l’infallibilità pontificia. Si tratta solo di un atto col quale il Papa concede il permesso di rendere un culto pubblico al beatificato in certe parti della Chiesa. Quest’atto non è un precetto ed è riformabile. Questa beatificazione, dunque, non ci assicura la rettitudine dottrinale e la santità di vita del papa defunto.
Certo, si dirà, ma le autorità della Chiesa non si fermeranno lì, se la beatificazione sarà domani, dopodomani ci sarà la canonizzazione. Gli esaltati che durante i funerali di Giovanni Paolo II innalzavano i cartelli con su scritto “santo subito” rischiano davvero di essere esauditi.

Ora, con la canonizzazione il Sommo Pontefice emette una sentenza definitiva con la quale iscrive nell’elenco dei Santi il beatificato di ieri.
Nel far questo, il Papa si pronuncia su tre punti:
- il fedele defunto è nella gloria del Cielo;
- egli ha meritato di giungere a questa gloria praticando le virtù eroiche che hanno un valore esemplare per tutta la Chiesa;
- gli dev’essere tributato un culto pubblico.

Se l’infallibilità di una canonizzazione non costituisce un articolo di fede, si tratta comunque di una sentenza quasi unanime dei teologi e sarebbe alquanto temerario il contraddirla. Ma esaminando bene le cose, se possiamo dare come certa l’infallibilità delle canonizzazioni fatte tra il 1170 (data dalla quale il Papa si riserva la beatificazione e la canonizzazione) e il Concilio Vaticano II, possiamo invece legittimamente dubitare che le nuove canonizzazioni impegnino lo Spirito Santo, che è il garante della verità dei dogmi della Chiesa. Don Gleize, nel suo articolo, segnala tre punti sui quali le recenti riforme hanno introdotto un dubbio.

In primo luogo egli menziona l’insufficienza della nuova procedura: dei due processi richiesti precedentemente, oggi ne è rimasto solo uno. I miracoli richiesti erano almeno due per ogni tappa, oggi ne basta solo uno. Prima di una canonizzazione, il Papa doveva riunire per tre volte i cardinali e chiedere il loro parere, e questo non è più richiesto. Un tempo, il giudizio sull’eroicità delle virtù o il martirio doveva essere espresso almeno 50 anni dopo la morte del servitore di Dio, oggi è sceso solo a cinque anni, lasso di tempo che poi non è stato neanche rispettato né per Madre Teresa di Calcutta né per Giovanni Paolo II. Un tempo la Chiesa esaminava una causa verificando accuratamente l’insieme delle testimonianze umane nonché la conferma soprannaturale dei miracoli. Oggi la Chiesa sembra rispondere con precipitazione alla pressione mediatica e all’emozione popolare. Mentre invece, se quest’atto della canonizzazione è coperto dall’autorità divina, lungi dall’escludere l’attento esame delle testimonianze disponibili, lo esige per sua stessa natura. Come un papa non proclama in maniera arruffata un nuovo dogma, ma soppesa tutti gli argomenti a favore della promulgazione, così non può impegnare l’autorità dello Spirito Santo senza aver usato tutti i mezzi umani per assicurarsi dell’eroicità delle virtù e della rettitudine dottrinale del candidato alla canonizzazione.

Il secondo argomento avanzato da Don Gleize è quello del ritorno al collegialismo.
Le regole per la canonizzazione ricalcano quelle in vigore prima del XII secolo: il Papa lascia ai vescovi la cura di giudicare immediatamente la causa dei Santi e si riserva solo il potere di confermare il giudizio degli Ordinari. Ancora un campo in cui si applica la collegialità, innovazione del Concilio Vaticano II. Come dice Don Gleize: «quando il Papa esercita il suo ministero personale per procedere ad una canonizzazione, sembra proprio che la sua volontà sia di intervenire come organo del ministero collegiale; dunque le canonizzazioni non sono più garantite dall’infallibilità personale del magistero solenne del Papa».

La terza difficoltà deriva dal cambiamento della nozione di santità.
Questa può esistere in un’anima a gradi diversi. Noi incominciamo ad essere santi quando viviamo in stato di grazia: è questo il grado minimale della santità, richiesto per meritare il Cielo. Ma questa santità può crescere fino a raggiungere ciò che gli autori spirituali chiamano la perfezione: una completa identificazione con Cristo, un’attività ampiamente sotto la diretta dipendenza dello Spirito Santo. È allora che il cristiano pratica le virtù eroiche, soprattutto quelle della fede, della speranza e della carità. Qui eroico non significa che la sua vita esprime delle epopee grandiose, ma che la sua santità si rapporta ad un modo d’agire più divino che umano, nel senso che i doni dello Spirito Santo agiscono in lui in maniera ad un tempo frequente e manifesta. In questa ottica, i Santi non corrono per le strade: la perfezione cristiana è una cosa rara, anche se dei periodi di fede profonda vedono fiorire più frutti di santità di altri. Questo equilibrio è stato completamente scompigliato da Giovanni Paolo II, che moltiplicò le cerimonie di beatificazione e di canonizzazione. Egli elevò agli altari 483 Santi, più di tutti i papi negli ultimi quattro secoli. Questo cambiamento quantitativo è fondato su un cambiamento qualitativo. Come sottolinea Don Gleize: «Se le beatificazioni e le canonizzazioni sono ormai più numerose è perché la santità che testimoniano possiede un significato differente: la santità non è più qualcosa di raro, ma qualcosa di universale. E questo si spiega perché la santità a partire dal Vaticano II è considerata come un dato comune».

Queste tre considerazioni sollevano un serio dubbio sull’infallibilità delle nuove canonizzazioni. Come ovunque, il Concilio ha introdotto la novità e il dubbio in una materia prima ben definita dalla teologia cattolica. Occorrerà bene che un giorno il Magistero, passata la tempesta della crisi, si soffermi su queste questioni, ristabilisca delle regole chiare e faccia una cernita in quest’ammasso di nuove canonizzazioni e beatificazioni, la maggior parte delle quali si riconducono ad una vera santità, ma sono state dichiarate alla fine di una dubbia procedura.
Quanto a quelle che riguardano dei personaggi quanto meno controversi, dalle dottrine poco sicure, e che derivano dall’andazzo dei tempi, si renderà necessario un lavoro chiarificatore.

Dopo aver risposto a questa spinosa questione, il mese prossimo esamineremo i rispettivi bilanci di Giovanni paolo II e di San Pio X.

Seconda parte

La beatificazione di Giovanni Paolo II, e certamente la sua prossima canonizzazione, provocano una legittima inquietudine: un vero turbamento interiore generato da quest’atto scandaloso per la fede di numerosi fedeli, i quali ormai penseranno che l’applicazione dei principi del Vaticano II conduca alla vera santità.

Dopo aver considerato la questione dell’autorità delle beatificazioni e delle canonizzazioni secondo le nuove regole, esaminiamo adesso la questione delle virtù manifestate da questo papa nel governo della Chiesa.

Sarà illuminante fare un paragone con l’ultimo papa canonizzato: San Pio X.
Cominciamo col rispondere a coloro che pretendono che sarebbero soprattutto la pietà personale, o le virtù individuali come l’umiltà e la fiducia in Dio, che autorizzano questa beatificazione di Giovanni Paolo II e che per quest’atto non si tratterebbe affatto di giudicare i frutti del suo pontificato. Non è così. Chi viene presentato come modello di virtù ai cristiani dev’essere santificato per il compimento del suo dovere di stato.
Una madre di famiglia che si dedica con coraggio e perseveranza al suo ruolo di sposa e di educatrice, un soldato che difende la giustizia e manifesta la virtù della fortezza, un re che governa saggiamente il suo paese.
Un papa, dunque, si santifica per come dirige la Chiesa in quanto Vicario di Cristo, predicando la fede in maniera intrepida, nominando dei buoni vescovi, ricordando i diritti di Cristo Re sugli individui e le società.
Si attribuisce a Richelieu questa frase: «Molti uomini che avrebbero salvato la loro anima come singoli si dannano come persone pubbliche» e Philippe Erlanger, che la cita nella biografia di Richelieu, le dà un significato inaccettabile: un uomo di governo sarebbe costretto dal suo stato a porre degli atti moralmente reprensibili. Questa frase in realtà può essere letta in altro modo, del tutto pertinente col nostro argomento: un uomo dalle virtù comuni può salvarsi facilmente se sceglie di rimanere nell’ombra allorché l’esercizio dell’autorità, che richiede virtù particolari come la prudenza politica e la fortezza o una maggiore umiltà, mette a rischio la sua salvezza. Un capo si salva esercitando le virtù del capo, lavorando per il bene comune senza tregua e senza debolezze.

Il caso della canonizzazione di San Pio X è molto interessante.
Questo grande papa, che abbiamo l’onore di avere come protettore della nostra Fraternità, fu beatificato nel 1951 e canonizzato nel 1954 da Pio XII. Nel corso del processo, il postulatore indicò 9 punti che meritavano di essere considerati come atti di governo di un “buon papa”.

Esaminiamo questi punti, comparando per ognuno ciò che ha realizzato Giovanni Paolo II.
1)    San Pio X, secondo la sua divisa, ha operato per restaurare tutto in Cristo. Giovanni Paolo II, come partigiano del Concilio, ha lottato instancabilmente per i diritti della persona umana.
2)    San Pio X, in quanto papa, ha cominciato col riformare la sua stessa diocesi: la diocesi di Roma. Papa Giovanni Paolo II ha viaggiato molto, ma non si è distinto in nulla per la cura della sua diocesi.
3)    San Pio X ha saputo smascherare e combattere l’eresia modernista che cominciava ad infiltrarsi nella Chiesa. Papa Giovanni Paolo II non ha affatto condannato i teologi modernisti, salvo qualche agitatore oltranzista. Egli ha nominato cardinali le teste pensanti del modernismo, come i Padri de Lubac e Congar. Mentre invece a condannato fermamente Mons. Lefebvre per la sua nozione “incompleta e contraddittoria della Tradizione”.
4)    San Pio X ha fissato delle norme per facilitare la comunione quotidiana dei fedeli e aumentare l’età della prima comunione dei fanciulli. Giovanni Paolo II non ha fatto alcunché per bloccare i numerosi abusi sacrileghi che accompagnano così facilmente le Messe moderne. Mentre la Messa di San Pio V non era mai stata abrogata, egli ha concesso solo un parsimonioso indulto a coloro che pensavano di dover chiedere il diritto di celebrarla. Egli è stato il primo papa a dare la Comunione sulla mano. Egli ha permesso alle ragazze di diventare “serventi” della Messa.
5)    San Pio X ha ridato lustro alla musica sacra favorendo il ritorno ad una musica realmente liturgica e al canto gregoriano. Giovanni Paolo II non ha fatto alcunché per bloccare la decadenza della liturgia. Egli scelse come maestro delle celebrazioni pontificie un forsennato dell’inculturazione, che ha orchestrato tutte quelle cerimonie bizzarre che mischiavano liturgia e costumi locali talvolta sconvenienti per il luogo santo.
6)    San Pio X ha fondato dei nuovi seminari regionali per sollevare il livello talvolta lamentevole dei seminari diocesani. Nulla di simile tra le preoccupazioni di Giovanni Paolo II. La formazione del clero lascia molto a desiderare, particolarmente in Francia, ove i seminari rappresentano più un pericolo per la fede che luoghi di formazione teologica e spirituale.
7)    San Pio X ha riformato il breviario, rendendo all’Ufficio Divino la sua semplicità e la sua bellezza. L’Ufficio Divino non è più la priorità per i preti del Vaticano II, che si appoggiano più sull’attività che sulla preghiera della Chiesa.
8)    San Pio X ha ordinato la redazione di un Codice di Diritto Canonico in un unico volume, per semplificare l’applicazione delle leggi ecclesiastiche ripartite in diverse raccolte accumulatesi nei secoli. Questo Codice venne pubblicato nel 1917, poco dopo la morte di San Pio X, esso costituisce il frutto di 19 secoli di saggio governo della Chiesa e si basa sui principi della teologia cattolica. Giovanni Paolo II ha pubblicato un nuovo Codice di Diritto Canonico che si basa sui principi del Vaticano II. La Chiesa è diventata il “popolo di Dio”, i fini del matrimonio sono capovolti, sono definiti dei nuovi motivi soggettivi per la nullità del matrimonio, ecc.
9)    San Pio X ha riformato l’organizzazione della Curia romana per rendere più efficace il suo funzionamento. Giovanni Paolo II si è distinto particolarmente per il suo disinteressamento su questo punto.

In questi pochi elementi vediamo le differenze essenziali tra il saggio governo di San Pio X, che smaschera i modernisti, ridà coraggio ai cattolici francesi perseguitati dalla Repubblica, riorganizza la Chiesa nelle sue leggi, nella sua Curia, nei suoi uffici, e permette ai fedeli di nutrirsi quotidianamente del Corpo e del Sangue di Cristo; e il catastrofico governo di Giovanni Paolo II: ecumenismo, cerimonie interreligiose, difesa dei diritti dell’uomo, liturgia fantasiosa, scomunica di Mons. Lefebvre.

E dire che oggi si moltiplicano i ritratti aureolati del nuovo beato, i libri di pietà pieni di citazioni scelte, le immagini di comunione, le statuette in plastica “made in China”. La rivista Patapon, un tempo vicina alla Tradizione, pubblica una vita illustrata e molto edificante del nuovo santo. I ragazzi si estasiano per il piccolo Karol a cui piace tanto servire la Messa, per il Papa che visita gli Indiani d’America, in piedi davanti ad un tepee, il tutto tra una pagina sul Santo Curato d’Ars e un’altra su Santa Teresa del Bambino Gesù. La confusione penetra ancora un po’ di più nella Chiesa con grande detrimento della difesa della fede.

Di fronte a questa confusione e a questo scandalo, il nostro Superiore Generale ci invita ad una nuova crociata del Rosario tra la Pasqua di quest’anno e la Pentecoste dell’anno venturo. Riprendiamo con coraggio il nostro Rosario poiché la preghiera a Maria può tutto sul Cuore di Gesù.




aprile- maggio 2011

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