PER LA VITA O PER LA MORTE ?

di Patrizia Stella





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Siamo ormai così abituati al lavaggio del cervello dei media nel presentare il solito caso pietoso del malato grave usato per bypassare il suicidio volontario come segno di libertà, (come presentavano il caso pietoso della madre costretta ad abortire clandestinamente per bypassare la legge sull’aborto), che dovremo presto rassegnarci a vedere legalizzato anche questo delitto, che si voglia chiamare eutanasia, o testamento biologico o suicidio assistito o quant’altro.
Con tutto il rispetto e la considerazione per la sofferenza particolare di certe persone, ci rifiutiamo categoricamente di pensare alla morte provocata come unica soluzione.

Infatti come sono stati ammazzati con una superficialità spaventosa milioni di bambini partendo dalla legge 194 che voleva limitare l’aborto ai soli casi rari e pietosi, altrettanto potrebbe accadere con questa legge infame presentata come diritto di decidere della propria vita, ma in realtà pilotata dai soliti poteri forti che perseguono l’obiettivo luciferino di eliminare anziani e malati di qualunque età considerati un peso per la società. Non per nulla gli anziani cominciano a temere il ricovero in ospedale perché ormai tira aria di “dolce morte”.

E di questo passo, eliminati bambini ed anziani, quale lavoro pretendono di trovare i giovani se vediamo attorno a noi banchi di scuola vuoti e ospedali in totale abbandono? Pretendiamo che l’economia vada a gonfie vele quando mezza umanità viene fatta fuori dall’altra metà? 
In Olanda grazie alla legge sull’eutanasia anche per ragazzi e bambini malati (sic!) sono triplicati le morti per i malati psichici e i disabili. Eppure al di là di casi deplorevoli, non è affatto vero che le Nazioni più progredite, come vogliono farci intendere, sono a favore del suicidio assistito, anzi alcuni Stati lo puniscono molto severamente, come ad esempio in Australia, Canada, Nuova Zelanda, Stati Uniti, Gran Bretagna, Grecia, Polonia, Romania, Croazia, Serbia ecc. (vedi art. di Maurizio Belpietro su La Verità del 1 marzo 2017). 

La vita su questa terra non è un bengodi eterno, ma è breve, intessuta di gioie e di dolori, di salute e di malattie, di entusiasmi ma anche di fatiche ecc.
Ci sono sofferenze morali (abbandoni, lutti, umiliazioni, depressioni, tradimenti, ingiustizie ecc.) che sono peggiori di quelle fisiche! Che fare?
Vogliamo legalizzare anche i continui episodi di omicidi-suicidi per tradimento o gelosia o disperazione o quant’altro?
Purtroppo quello che manca nel superare tante difficoltà è proprio la fede in Dio e l’abbandono nelle sue mani paterne perché con Dio tutto si supera, da soli si cade nella disperazione anche per questioni banali.

Dopo la morte ci aspetta il giudizio di Dio non solo sulle azioni buone o cattive che abbiamo compiuto, ma anche su come abbiamo saputo vivere la fede, la fortezza e il perdono nelle prove della vita. Tutti dovremo presentarci davanti al giudizio di Dio e a colui che ha ricevuto di più, sarà chiesto di più.
Ma chi crede ormai alla Vita Eterna? Forse i nostri illustri Prelati del Vaticano intenti a studiare il metodo per la raccolta differenziata, o per la distribuzione dell’acqua, o per la pace sociale ottenuta a forza di cedere sui nostri valori fino a rinnegare Gesù Cristo?
Finché Mons. Paglia decanta le lodi dell’abortista e ateo Pannella, e Mons. Marcelo Sanchez Sorondo invita in Vaticano relatori rappresentanti della “cultura della morte” e dichiaratamente nemici della Chiesa cattolica come il dott. Paul Ehrlich, in pratica finché la chiesa “ufficiale”, che non è quella voluta da Gesù, si comporta in maniera contraria ai principi della ragione, del diritto, del senso comune e della dottrina cristiana, cosa ci si può aspettare dalla società civile?
Se manca l’unico, vero baluardo contro il dilagare del male che è sempre stato costituito dalla Vera Chiesa Cattolica con i veri Papi, aspettiamoci di tutto e di peggio. Terribile sarà comunque il giudizio di Dio nei confronti di quei Pastori che hanno tradito il gregge loro affidato.

Ma noi cerchiamo di andare oltre a questi tradimenti e di imparare dai Santi a vivere e offrire a Dio la malattia e il dolore, come Santa Bernardetta e Santa Faustina dicendo spesso: “Gesù confido in te” e acquisteremo meriti per noi stessi e per gli altri. La nostra bella fede cattolica, sull’esempio di Gesù, ci insegna a vivere bene su questa terra, nella gioia e nel dolore, e a morire meglio, poi, serenamente, nell’abbraccio del Padre.





Ritengo pertinente in questo contesto riportare alcune frasi del libro “Uno psicologo nei lager” del dottor Viktor Frankl, ebreo non praticante, che è vissuto per anni accanto ai prigionieri destinati alla morte incoraggiandoli ad affrontare la sofferenza con motivazioni soprattutto umane, facendo leva sulla dignità immensa dell’uomo che esige una risposta all’altezza del suo destino di eternità:

“... Poiché non ha senso solo la vita attiva, nella quale l’uomo ha la possibilità di realizzare dei valori in modo creativo, e non ha un senso solo la vita ricettiva, cioè una vita che permette all’uomo di realizzare sperimentando la bellezza nel contatto con arte e natura.

LA VITA CONSERVA TUTTO IL SUO SENSO, ANCHE QUANDO SI SVOLGE IN UN CAMPO DI CONCENTRAMENTO, QUANDO NON OFFRE QUASI PIU' NESSUNA PROSPETTIVA DI REALIZZARE DEI VALORI, CREANDOLI O GODENDOLI, MA LASCIA SOLAMENTE UN’ULTIMA POSSIBILITÀ DI COMPORTAMENTO MORALMENTE VALIDO.

La vita creativa e quella ricettiva ci sono da tempo negate. Ma non solo la vita creativa e quella ricettiva hanno un senso: se la vita ha un significato in sé, allora deve avere un significato anche la sofferenza perché la sofferenza, in qualche modo, fa parte della vita - proprio come il destino e la morte. Solo con miseria e morte, l’esistenza umana è completa.   Dal modo in cui un uomo accetta il suo ineluttabile destino e con questo destino tutta la sofferenza che gli viene inflitta, dal modo in cui un uomo prende su di sé la sofferenza come la “sua croce” sorgono infinite possibilità di attribuire un significato alla vita, anche nei momenti più difficili, fino all’ultimo atto di esistenza. A seconda se uno resta coraggioso e forte, dignitoso e altruista, o se dimentica di essere un uomo nella spietata lotta per sopravvivere, e diventa in tutto e per tutto l’animale di un gregge, a seconda di ciò che accade dentro di lui, l’uomo realizza o perde i possibili valori morali che la sua dolorosa situazione e il suo duro destino gli consentono e, a seconda dei casi, l’uomo è, come afferma Dostojewski: “degno o no del suo tormento”.  
                                             
(Viktor Frankl, Uno psicologo nei lager, ed. Ares)





marzo 2017

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