Quando dunque vedrete l’abominio della desolazione,
di cui parlò il profeta Daniele, stare nel luogo santo – chi legge comprenda – … Pregate perché la vostra fuga non accada d’inverno o di sabato.
(Mt. 24, 15-20)
Sull’ala del tempio porrà l’abominio della desolazione e ciò sarà fino alla fine, fino al termine segnato sul devastatore
(Dn. 9, 27)


Quando ci si sofferma a riflettere sui passi del Vangelo, si ha la tendenza a considerarli legati a fatti o richiami facilmente deducibili dal testo o dal contesto in cui è inserito il passo. La cosa è del tutto legittima e logica, ma vi è un altro aspetto che dovrebbe richiamare l’attenzione del fedele che si sofferma a considerare quel testo. Si tratta del significato simbolico legato all’accezione più ampia del passo stesso. Quello che si suole chiamare appello ai “segni dei tempi”.
Nel caso del versetto di San Matteo che abbiamo citato, è facile comprendere che va letto nel contesto dell’intero capitolo 24.
Esso inizia col raccontare che Gesù si apparta con i discepoli e dietro loro richiesta delinea lo scenario futuro degli ultimi giorni. Leggendo questo capitolo si comprende come Gesù sottolinei l’importanza dell’osservazione di circostanze e segni che, indipendentemente dal tempo specifico, sono indicativi dell’approssimarsi dei tempi che sempre più saranno preparatori del ritorno del Figlio dell’uomo.
I segni saranno inequivocabili, ma non è casuale l’inciso di Mt. 24, 15 – chi legge comprenda - a significare che non sarà automatica la corretta comprensione di essi. Per di più, Gesù ricorda che non si tratterà di un tempo definito o automaticamente individuabile, poiché: quanto a quel giorno e a quell’ora, però, nessuno lo sa, neanche gli angeli del cielo e neppure il Figlio, ma solo il Padre (Mt. 24, 36). A significare che quelle circostanze e quei segni non hanno nulla di “scientifico”, come si direbbe oggi, ma sono solo simbolicamente indicativi di un tempo di grande tribolazione quale mai avvenne dall’inizio del mondo fino a ora, né mai più ci sarà (Mt. 24, 21). Questo tempo vedrà l’abominio della desolazione stare nel luogo santo.


Taddeo di Bartolo, Inferno, particolare della punizione dei sodomiti, Duomo di San Gimignano




Luca Signorelli, Giudizio dei dannati
Duomo di Orvieto
 
Ma questo può significare solo che, per esempio, l’Anticristo si insedii in San Pietro?
Certo, anche questo, ma non possono sottovalutarsi tutti quei segni che assomigliano a questo evento ultimo, che si accostano ad esso o che in qualche modo lo annunciano, poiché il Signore non lascia senza guida i suoi e suggerisce loro continui elementi di riflessione per ricordare che Egli è proprio alle porte (Mt. 24, 33), e che la loro vigilanza non deve venire mai meno (Mt. 24, 42), anche in vista della funzione che i suoi dovranno svolgere in questo momento terribile, il che sarà possibile solo se la loro attenzione rimarrà sempre vigile e attenta ai “segni dei tempi” (Mt. 24, 22-25).

Ciò premesso, si può dire che oggi accade qualcosa che assomiglia a quanto indicato nei Vangeli?

Da diversi anni la città di Roma, ridotta ormai a ricettacolo di influenze malsane, si gloria di ospitare, con tanto di sostegno della buona laicità della moderna società civile (sic!), l’ostentazione del vizio e della perversione: il cosiddetto gaypride, oggi “europride”, eufemismi anglofoni che significano semplicemente che chi è immerso nella perdizione… perfino se ne gloria!
Misteri della perdita di senno del mondo moderno!

Ma cos’ha che fare questo squallore esistenziale e morale con l’abominazione nel luogo santo?
A prima vista sembrerebbe poco o niente, ma in realtà i “segni dei tempi” non prefigurano il verificarsi di un evento, quanto il suo approssimarsi, la tendenza, la strada che porta all’evento stesso. Ed è innegabile che questi raduni, che ormai si rinnovano a Roma da 11 anni, rappresentino un segno eclatante della abominazione che si rinnovella in prossimità del centro della Cristianità: il luogo del martirio di Pietro, roccia posta dal Signore a fondamento della sua Chiesa.
Ora, nonostante la perversione omosessuale, maschile e femminile, non sia la stessa cosa dell’abominio della desolazione e nonostante Roma non sia, di per sé, il luogo santo, è innegabile che tale perversione, con la sua moderna ostentazione, è estremamente indicativa della profetica abominazione, mentre la moderna città di Roma incombe paurosamente e quasi fisicamente sullo stesso luogo santo.

Cosa serve di più per far intravedere l’approssimarsi del compimento della profezia di Nostro Signore Gesù Cristo?
Cosa serve ancora per far comprendere che non v’è alcuna possibile conciliazione tra la modernità, la laicità, e gli insegnamenti di Nostro Signore Gesù Cristo?

Quando nel 2000 si realizzò il primo eclatante raduno a Roma, con le consuete allegorie da cinematografo e chiaramente rifacentesi ad una fantasia malata e impregnata di “orgoglio della dissacrazione”, scrivemmo una lettera aperta all’allora prefetto della Congregazione per la Dottrina della Fede, il Card. Joseph Ratzinger, che inviammo in copia a cento prelati italiani.
A 11 anni di distanza, questa lettera mantiene tutta la sua attualità, invitiamo quindi a rileggerla, mentre qui ci limitiamo a riportarne il brano relativo alla mancanza di una adeguata reazione della Gerarchia di fronte all’ostentazione di uno dei peccati che gridano vendetta al cospetto di Dio, volutamente e provocatoriamente attuata nella città sede del Soglio di Pietro.

A questo richiamo facciamo seguire un breve sguardo panoramico su ciò che la Chiesa ha insegnato in duemila anni sull’argomento.

Brano della lettera al Card. Ratzinger

Oggi, che siamo giunti al punto che a Roma si può proditoriamente e impunemente esaltare la depravazione, gabellandola, col sostegno convinto e deciso della supposta morale laica, per l’espressione della dignità umana, è piú che mai necessario che la Gerarchia abbia il coraggio di condannare l’illusorio e tutto terreno trionfo di Satana: magari chiudendo a lutto le chiese della città che è il centro della Cattolicità, imponendo ai consacrati l’isolamento temporaneo per la preghiera continua, precettando i fedeli circa la possibilità di sbarrare simbolicamente le proprie case e di recitare almeno il Santo Rosario anche nei posti di lavoro, magari singolarmente e silenziosamente.
Di fronte a tanto scempio, non si può piú accettare che vi siano dei prelati che continuino a scusarsi di essere i servi del Signore e che continuino a schermirsi per la loro professione di Fede: perfino l’ultimo tentativo del Santo Padre, col tristemente famoso mea culpa, ha solo suscitato il compiacimento dei miscredenti, le critiche degli insaziabili irreligiosi e la confusione fra i fedeli.
Non si può piú continuare a confondere i fedeli circa la bontà della loro professione di Fede: questo mondo, con tutte le sue nefaste produzioni intellettuali, psicologiche e scientifiche, non dev’essere piú scambiato per un interlocutore della Santa Chiesa; e la Santa Chiesa non dev’essere piú confusa con un qualsiasi interlocutore umano, quasi fosse il frutto dell’intelligenza dell’uomo.
È tempo che la Gerarchia si scrolli di dosso il complesso di inferiorità che la attanaglia: non è piú tempo di tentativi, resta solo il tempo della testimonianza.
D’altronde, nostro Signore raccomandò ai suoi di andare e predicare, di andare e insegnare, di andare e battezzare, ma non insegnò che occorreva predicare, insegnare e battezzare ad ogni costo: siamo in tanti in questo mondo coloro per i quali la condanna è già stata segnata.  
Non è il numero che fa la Santa Chiesa, ma la grazia di Dio e i Suoi veri fedeli. 
I fedeli soffrono già il peso delle condizioni inique della sopravvivenza odierna.
È necessario che possano contare sul rifugio salvifico di un magistero e di una pastorale che siano il piú chiaramente possibile volte all’altro mondo e il piú apertamente possibile schierate contro questo mondo votato al trionfo illusorio dell’Anticristo.
È necessario che i fedeli possano contare sul rifugio salvifico di una liturgia essenzialmente centrata sui Misteri del Signore, che esalti ancor piú la distanza e la differenza che vi sono tra le cose degli uomini e le cose di Dio.
È necessario che le chiese tornino ad essere àmbiti extraterritoriali, ove penetri il meno possibile la giurisdizione di questo mondo, il sentire di questo mondo, lo stile di questo mondo, le false esigenze di questo mondo: ove si possa ancora percepire quanto sia imperscrutabile e terribilmente misteriosa la Volontà di Dio e quanto sia immenso il bisogno che l’uomo ha della Sua Grazia e della Sua Misericordia.

Non ci è dato sapere se è questo il tempo ultimo preannunciato da nostro Signore, ma sappiamo per certo che oggi dobbiamo ancor piú alzare la guardia, rimanere svegli, e la Gerarchia ha il dovere di aiutarci in questa impresa terribile che abbatte anche i forti.
Ci rendiamo conto che la Gerarchia è composta da uomini della stessa pasta di tutti gli altri, da uomini del nostro tempo, e comprendiamo benissimo che non si può chiedere l’impossibile, ma siamo convinti che sia giunto il tempo perché la stessa Gerarchia lasci spazio a chi ha ancora, per Grazia di Dio, la tempra per resistere: abbandonando ogni remora e ogni reprimenda, abbandonando atteggiamenti e pretese che a tanti anni dal Concilio ci hanno condotti sempre piú in basso: lasciando che gli altri, i miscredenti, conducano i credenti.
È necessario che, ove e quando possibile, si lasci spazio alle posizioni di netta intransigenza dottrinale e pastorale, foss’anche col dispiacere di molti Pastori che preferiscono il dialogo col demonio.
È necessario che almeno in qualche àmbito della Santa Chiesa si manifesti chiaramente il rigore dottrinale, morale e liturgico: se non tutti i fedeli si adegueranno, sarà stata fatta opera di testimonianza e si sarà stabilito un punto di riferimento a cui potranno ricorrere tutti coloro che si sanno sempre piú persi e avviliti in questo mondo che di Dio non ne vuole piú sapere.
Non si vogliono dare lezioni a nessuno, ma non si deve impedire che un sentire come il nostro venga  manifestato con forza in seno alla Chiesa, magari considerandolo come contrario a certe direttive, anzi lo si deve incoraggiare. 
È possibile che esso possa generare divisione, piuttosto che unione, ma già nostro Signore è venuto per discriminare, a riprova che è meglio dividere con la lama della intransigenza, piuttosto che unificare e uniformare secondo l’inevitabile criterio terreno del minimo comune denominatore.
Quando si tratta delle cose di Dio è la separazione che sta in primo piano, poiché non v’è alcuna comune misura tra il Creatore e la creatura; molto piú facile è l’unione fra gli uomini per la loro comune fragilità e corruttibilità: ma l’unione e la concordia umana non fanno un solo fedele adoratore del Signore. 
A nulla vale che gli uomini siano uniti e concordi e presi dalle migliori intenzioni, se manca loro la sottomissione alla Volontà di Dio e agli insegnamenti della Sua Chiesa.

Breve sguardo panoramico su ciò che la Chiesa h sempre insegnato

Precisiamo che abbiamo approfittato del paziente lavoro di altri per compilare questo elenco, in particolare del lavoro di don Marcello Stanzione, apparso sul sito Riscossa Cristiana e del lavoro di Carlo Di Pietro, apparso sul tito Pontifex.Roma, entrambi promotori della Milizia di San Michele Arcangelo.

Levitico
Se avrai con maschio relazioni come si hanno con donna è abominio (Lv 18, 22).
Se uno ha rapporti con un uomo come con una donna, tutti e due hanno commesso un abominio; dovranno essere messi a morte; il loro sangue ricadrà su di loro (Lv 20,13).



San Paolo

Per questo Dio li ha abbandonati a passioni infami; le loro donne hanno cambiato i rapporti naturali in rapporti contro natura. Egualmente anche gli uomini, lasciando il rapporto naturale con la donna, si sono accesi di passione gli uni per gli altri, commettendo atti ignominiosi uomini con uomini, ricevendo così in se stessi la punizione che s'addiceva al loro traviamento. E poiché hanno disprezzato la conoscenza di Dio, Dio li ha abbandonati in balìa d'una intelligenza depravata, sicché commettono ciò che è indegno, colmi come sono di ogni sorta di ingiustizia, di malvagità, di cupidigia, di malizia; pieni d'invidia, di omicidio, di rivalità, di frodi, di malignità; diffamatori, maldicenti, nemici di Dio, oltraggiosi, superbi, fanfaroni, ingegnosi nel male, ribelli ai genitori, insensati, sleali, senza cuore, senza misericordia. E pur conoscendo il giudizio di Dio, che cioè gli autori di tali cose meritano la morte, non solo continuano a farle, ma anche approvano chi le fa. (Rm. 1, 26-32)
Non illudetevi: né immorali, né idolatri, né adulteri, né effeminati, né sodomiti, né ladri, né avari, né ubriaconi, né maldicenti, né rapaci erediteranno il regno di Dio. (1 Cor. 6,9-10)



San Giovanni Crisostomo (347-407)
Le passioni sono tutte disonorevoli, perché l’anima viene più danneggiata e degradata dai peccati di quanto il corpo lo venga dalle malattie; ma la peggiore fra tutte le passioni è la bramosia fra maschi. (…) I peccati contro natura sono più difficili e meno remunerativi, tanto che non si può nemmeno affermare che essi procurino piacere, perché il vero piacere è solo quello che si accorda con la natura. Ma quando Dio ha abbandonato qualcuno, tutto è invertito! Perciò non solo le loro passioni sono sataniche, ma le loro vite sono diaboliche. (…) Perciò io ti dico che costoro sono anche peggiori degli omicidi, e che sarebbe meglio morire che vivere disonorati in questo modo. L’omicida separa solo l’anima all’interno del corpo. Qualsiasi peccato tu nomini, non ne nominerai nessuno che sia uguale a questo, e se quelli che lo patiscono si accorgessero veramente di quello che sta loro accadendo, preferirebbero morire mille volte piuttosto che sottostarvi. Non c’è nulla, assolutamente nulla di più folle o dannoso di questa perversità. (San Giovanni Crisostomo, Homilia IV in Epistula Pauli ad Romanos; cfr. Patrologia Graeca, vol. 47, coll. 360-62).



Sant’Agostino
(354-430)
I delitti che vanno contro natura, ad esempio quelli compiuti dai sodomiti, devono essere condannati e puniti ovunque e sempre. Quand’anche tutti gli uomini li commettessero, verrebbero tutti coinvolti nella stessa condanna divina: Dio infatti non ha creato gli uomini perché commettessero un tale abuso di se stessi. Quando, mossi da una perversa passione, si profana la natura stessa che Dio ha creato, è la stessa unione che deve esistere fra Dio e noi a venir violata (Sant'Agostino, Confessioni, c.III, p.8)



San Gregorio Magno
(540-604)
Che lo zolfo evochi i fetori della carne, lo conferma la storia stessa della Sacra Scrittura, quando parla della pioggia di fuoco e zolfo versata su Sodomia dal Signore. Egli aveva deciso di punire in essa i crimini della carne, e il tipo stesso del suo castigo metteva in risalto l'onta di quel crimine. Perché lo zolfo emana fetore, il fuoco arde. Era quindi giusto che i sodomiti, ardendo di desideri perversi originati dal fetore della carne, perissero ad un tempo per mezzo del fuoco e dello zolfo, affinché dal giusto castigo si rendessero conto del male compiuto sotto la spinta di un desiderio perverso (San Gregorio Magno, Commento morale a Giobbe, XIV, 23, vol. II, pag. 371)



San Pier Damiani
(1007-1072)
Si va diffondendo dalle nostre parti un vizio così gravemente nefasto e ignominioso, che se non vi si opporrà al più presto uno zelante intervento punitore, di certo la spada dell’ira divina infierirà enormemente annientando molti. (…) Questa turpitudine viene giustamente considerata il peggiore fra i crimini, poiché sta scritto che l’onnipotente Iddio l’ebbe in odio sempre ed allo stesso modo.
Poiché infatti l’umana natura resiste profondamente a questi mali, aborrendo la mancanza del sesso opposto, e più chiaro della luce del sole che essa non gusterebbe mai di cose tanto perverse ed estranee se i sodomiti, divenuti quasi vasi d’ira destinati alla rovina, non fossero totalmente posseduti dallo spirito d’iniquità.
Quando dunque il meschino si slancia in questo peccato d’impurità con un altro maschio, non lo fa per il naturale stimolo della carne, ma solo lo fa per il naturale impulso.
Questo vizio non va affatto considerato come un vizio ordinario, perché supera per gravità tutti gli altri vizi. Esso infatti uccide il corpo, rovina l’anima, contamina la carne, estingue la luce dell’intelletto, scaccia lo Spirito Santo dal tempio dell’anima, vi introduce il demonio istigatore della lussuria, induce nell’errore, svelle in radice la verità dalla mente ingannata, prepara insidie al viatore, lo getta in un abisso, ve lo chiude per non farlo più uscire, gli apre l’Inferno, gli serra la porta del Paradiso, lo trasforma da cittadino della celeste Gerusalemme in erede dell’infernale Babilonia, da stella del cielo in paglia destinata al fuoco eterno, lo separa dalla comunione della Chiesa e lo getta nel vorace e ribollente fuoco infernale. Questo vizio si sforza di scardinare le mura della Patria celeste e di riparare quelle della combusta e rediviva Sodoma. Esso infatti viola l’austerità, estingue il pudore, schiavizza la castità, uccide l’irrecuperabile verginità col pugnale di un impuro contagio, insozza tutto, macchia tutto, contamina tutto, e per quanto può non permette che sopravviva nulla di puro, di casto, di estraneo al sudiciume.
Questa peste scuote il fondamento della fede, snerva la forza della speranza, dissipa il vincolo della carità, elimina la giustizia, scalza la fortezza, sottrae la temperanza, smorza l’acume della prudenza; e una volta che ha espulso ogni cuneo delle virtù dalla curia del cuore umano, vi intromette ogni barbarie di vizi. (…) Non appena dunque uno cade in quest’abisso di estrema rovina, egli viene esiliato dalla Patria celeste, separato dal Corpo di Cristo, confutato dall’autorità della Chiesa universale, condannato dal giudizio dei santi Padri, disprezzato dagli uomini e respinto dalla comunione dei santi. (San Pier Damiani O.S.B., Liber Gomorrhanus, in Patrologia Latina, vol. 145, coll. 159-190).

Concilio Ecumenico Lateranense III (1179), canone 11:
Chiunque venga sorpreso a commettere quel peccato che è contro natura e a causa del quale “la collera di Dio piombò sui figli della disobbedienza (Ef. 5,6), se è chierico, venga decaduto dal suo stato e venga rinchiuso in un monastero a far penitenza; se è laico, venga scomunicato e rigorosamente tenuto lontano dalla comunità dei fedeli. (Conciliorum oecumenicorum collectio, vol. XXII, coll. 224 ss.).



San Tommaso d’Aquino
(1225-1274)
Come dice S. Gregorio, i vizi carnali, compresi sotto il nome d'intemperanza, sebbene siano di minore gravità, sono però più infamanti. Infatti la gravità della colpa si desume dal suo allontanamento dal fine: invece l'infamia si desume dalla turpitudine, che risulta specialmente dalla degradazione di chi pecca. (Somma Teologica, II-II, q.142, a.4, ad 1)
Il generalizzarsi di un peccato ne diminuisce la turpitudine e l'infamia nell'opinione degli uomini; ma non nella natura stessa del peccato. (Somma teologica, II-II, q.142, a.4, ad 2)
Quando si dice che l'intemperanza è il vizio più disonorante, s'intende tra i peccati umani, cioè nell'ambito delle passioni che in qualche modo sono conformi alla natura umana. Ma quei peccati che sorpassano i limiti della natura umana sono ancora più disonoranti. Tuttavia anche questi sembrano ridursi per eccesso al genere dell'intemperanza: il fatto, p. es., di provar gusto nel mangiare carne umana, o nel coito bestiale od omosessuale. (Somma teologica, II-II, q.142, a.4, ad 3)
La gravità di un peccato dipende più dall'abuso di una cosa, che dall'omissione del debito uso. Perciò tra tutti i vizi contro natura, … Il peccato più grave è invece la bestialità, in cui non si rispetta la propria specie. … Dopo di questo c'è il vizio della sodomia, in cui non si rispetta il debito sesso. (Somma teologica, II-II, q.154, a.12, ad 4)



Santa Caterina da Siena
(1347-1340)
Non solo essi hanno quell’immondezza e fragilità, alla quale siete inclinati per la vostra fragile natura (benché la ragione, quando lo vuole il libero arbitrio, faccia star quieta questa ribellione), ma quei miseri non raffrenano quella fragilità: anzi fanno peggio, commettendo il maledetto peccato contro natura. Quali ciechi e stolti, essendo offuscato il lume del loro intelletto, non conoscono il fetore e la miseria in cui sono; poiché non solo essa fa schifo a Me, che sono somma ed eterna purità (a cui è tanto abominevole, che per questo solo peccato cinque città sprofondarono per mio divino giudizio, non volendo più oltre sopportarle la mia giustizia), ma dispiace anche ai demoni, che di quei miseri si sono fatti signori. Non è che ai demoni dispiaccia il male, quasi che a loro piaccia un qualche bene, ma perché la loro natura è angelica, e perciò schiva di vedere o di stare a veder commettere quell’enorme peccato (S. Caterina da Siena, Dialogo della Divina Provvidenza, cap. 124).



San Bernardino da Siena
(1380-1444)
Non è peccato al mondo che più tenga l’anima, che quello de la sodomia maladetta; el quale peccato è stato detestato sempre da tutti quelli che so’ vissuti secondo Iddio, (…). La passione per delle forme indebite è prossima alla pazzia; questo vizio sconvolge l’intelletto, spezza l’animo elevato e generoso, trascina dai grandi pensieri agli infimi, rende pusillanimi, iracondi, ostinati e induriti, servilmente blandi e incapaci di tutto; inoltre, essendo l’animo agitato da insaziabile bramosia di godere, non segue la ragione ma il furore. (…) La cagione si è perché ellino so’ accecati, e dove arebbono che hanno alle cose alte e grandi, come quelle che hanno l’animo magno, gli rompe e gli fracassa e riduceli a vili cose e a disutili e fracide e putride, e mai questi tali non si possono contentare. (…) Come de la gloria di Dio ne partecipa più uno che un altro, cos’ l’inferno vi so’ luoghi dove v’è più pene, e più ne sente uno che un altro. Più pena sente uno che sia vissuto con questo vizio de la sodomia che un altro, perocché questo è maggior peccato che sia. (San Bernardino da Siena, O.F.M., Predica XXXIX, in: Prediche volgari, pp. 896-97 e 915).




San Pio V
(1504-1572)
Avendo noi rivolto il nostro animo a rimuovere tutto quanto può offendere in qualche modo la divina maestà, abbiamo stabilito di punire innanzitutto e senza indugi quelle cose che, sia con l’autorità delle Sacre Scritture che con gravissimi esempi, risultano essere spiacenti a Dio più di ogni altro e che lo spingono all’ira: ossia la trascuratezza del culto divino, la rovinosa simonia, il crimine della bestemmia e l’esecrabile vizio libidinoso contro natura; colpe per le quali i popoli e le nazioni vengono flagellati da Dio, a giusta condanna, con sciagure, guerre, fame e pestilenze. (…) Sappiano i magistrati che, se anche dopo questa nostra Costituzione saranno negligenti nel punire questi delitti, ne saranno colpevoli al cospetto del giudizio divino, e incorreranno anche nella nostra indignazione. (…) Se qualcuno compirà quel nefando crimine contro natura, per colpa del quale l’ira divina piombò su figli dell’iniquità, verrà consegnato per punizione al braccio secolare, e se chierico, verrà sottoposto ad analoga pena dopo essere stato privato di ogni grado. (San Pio V, Costituzione Cum primum, del 1° aprile 1566, in Bullarium Romanum, t. IV, c. II, pp. 284-286).
“Quell’orrendo crimine, per colpa del quale le città corrotte e oscene (di Sodoma e Gomorra, ) vennero bruciate dalla divina condanna, marchia di acerbissimo dolore e scuote fortemente il nostro animo, spingendoci a reprimere tale crimine col massimo zelo possibile. A buon diritto il Concilio Lateranense V (1512-1517) stabilisce che qualunque membro del clero, che sia stato sorpreso in quel vizio contro natura per via del quale l’ira divina cadde sui figli dell’empietà venga allontanato dall’ordine clericale, oppure venga costretto a far penitenza in un monastero (c. 4, X, V, 31). Affinché il contagio di un così grave flagello un progredisca con maggior audacia approfittandosi di quell’impunità che è il massimo incitamento al peccato e, per castigare più severamente i chierici colpevoli di questo nefasto crimine che non sono atterriti dalla morte dell’anima, abbiamo deciso che vengano atterriti dall’autorità secolare, vindice della legge civile. Pertanto, volendo proseguire con maggior vigore quanto abbiamo decretato fin dal principio del Nostro Pontificato (Costituzione Cum primum, cit.) stabiliamo che qualunque sacerdote o membro del clero sia secolare che regolare, di qualunque grado e dignità, che pratichi un così orribile crimine, in forza della presente legge venga privato di ogni privilegio clericale, di ogni incarico, dignità e beneficio ecclesiastico, e poi, una volta degradato dal Giudice ecclesiastico, venga subito  consegnato all’autorità secolare, affinché lo destini a quel supplizio, previsto dalla legge come opportuna punizione, che colpisce i laici scivolati in questo abisso”. (San Pio V, Costituzione Horrendum illud scelus, del 30 agosto 1568, in Bullarium Romanum, t. IV, c. III, p. 33).



San Pietro Canisio
(1521-1597)
Come dice la Sacra Scrittura, i sodomiti erano pessima gente e fin troppo peccatori. San Pietro e san Paolo condannano questo nefasto e turpe peccato. Difatti la Scrittura denuncia l’enormità di una tale sconcezza con queste parole: ‘Lo scandalo dei sodomiti e dei gomorrani si è moltiplicato e il loro peccato si è troppo aggravato’. Pertanto gli angeli dissero al giusto Loth, che aborriva massimamente le turpitudini dei sodomiti: ‘Abbandoniamo questa città, etc.’ (…) La Sacra Scrittura non tace le cause che spinsero i sodomiti a questo gravissimo peccato e che possono spingere anche altri. Leggiamo infatti nel libro di Ezechiele: ‘Questa fu l’iniquità di Sodoma: la superbia, la sazietà di cibo ed abbondanza di beni, e l’ozio loro e delle loro figlie; non aiutarono il povero e il bisognoso, ma insuperbirono e fecero ciò che è abominevole al mio cospetto; per questo Io la distrussi’ (Ez. 16, 49-50). Di questa turpitudine mai abbastanza esecrata sono schiavi coloro che non si vergognano di violare la legge divina e naturale. (San Pietro Canisio, Summa Doctrina Christianae, III a/b, p. 455).

Catechismo Maggiore di San Pio X (1905)
966 - I peccati che diconsi gridar vendetta al cospetto di Dio sono quattro: 1. Omicidio volontario, 2. Peccato impuro contro l’ordine della natura, 3. Oppressione dei poveri, 4. Fraudare la mercede agli operai.
967 – Questi peccati diconsi gridare vendetta al cospetto di Dio, perché lo dice lo Spirito Santo e perché la loro iniquità è così grave e manifesta che provoca Dio a punirli con più severi castighi.

Catechismo della Chiesa Cattolica (1992)
2357. L'omosessualità designa le relazioni tra uomini o donne che provano un'attrattiva sessuale, esclusiva o predominante, verso persone del medesimo sesso. Si manifesta in forme molto varie lungo i secoli e nelle differenti culture. La sua genesi psichica rimane in gran parte inspiegabile. Appoggiandosi sulla Sacra Scrittura, che presenta le relazioni omosessuali come gravi depravazioni, (a) la Tradizione ha sempre dichiarato che " gli atti di omosessualità sono intrinsecamente disordinati ". (b) Sono contrari alla legge naturale. Precludono all'atto sessuale il dono della vita. Non sono il frutto di una vera complementarità affettiva e sessuale. In nessun caso possono essere approvati.
2358. Un numero non trascurabile di uomini e di donne presenta tendenze omosessuali profondamente radicate. Questa inclinazione, oggettivamente disordinata, costituisce per la maggior parte di loro una prova. Perciò devono essere accolti con rispetto, compassione, delicatezza. A loro riguardo si eviterà ogni marchio di ingiusta discriminazione. Tali persone sono chiamate a realizzare la volontà di Dio nella loro vita, e, se sono cristiane, a unire al sacrificio della croce del Signore le difficoltà che possono incontrare in conseguenza della loro condizione.
2359. Le persone omosessuali sono chiamate alla castità. Attraverso le virtù della padronanza di sé, educatrici della libertà interiore, mediante il sostegno, talvolta, di un'amicizia disinteressata, con la preghiera e la grazia sacramentale, possono e devono, gradatamente e risolutamente, avvicinarsi alla perfezione cristiana.




giugno 2011

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