Solgenitsin e il ruolo dell’Ebraismo
nella Rivoluzione Russa


Seconda parte


Gli articoli di Don Curzio Nitoglia sono reperibili nel suo sito: qui e qui




             


Gli ebrei a fianco dei bolscevichi nel 1917

Solgenitsin inizia la trattazione di questo argomento facendo una distinzione: il fatto che a fianco dei bolscevichi, a partire dall’ottobre del 1917, vi fossero molti ebrei è noto alla storia: tuttavia vi erano anche i russi, cosicché non si può pretendere di esonerare i russi da ogni responsabilità nella rivoluzione del 1917.

Tuttavia “i leader russi del Partito bolscevico non erano russi nello spirito, erano antirussi. In essi la grande cultura russa, ridotta ad una dottrina e a calcoli politici, era snaturata. […]. A fianco dei bolscevichi vi furono molti rinnegati russi, in un numero enorme. […]. Lenin era russo, ma aborriva e detestava tutto ciò che riguarda l’antica Russia, tutta la storia russa. […]. Un suo nonno, Israel Davidovic Blank era ebreo, ma tutto ciò non cambia le cose, perché niente di tutto questo permette di escluderlo dal popolo russo” (A. SOLGENITSIN, Due secoli insieme. Ebrei e Russi durante il periodo sovietico, Napoli, Controcorrente, 2007, vol. II,  pp. 89-90).  

Per quanto riguarda gli israeliti Solgenitsin specifica che “nel corso del 1917, negli ebrei non si è manifestata nessuna particolare attrattiva per i bolscevichi, ma il loro attivismo ha tuttavia svolto un suo ruolo negli sconvolgimenti rivoluzionari. […]. Non c’è dubbio, gli ebrei hanno superato nel numero la normale percentuale, tra i commissari bolscevichi hanno occupato un posto troppo grande. Ovviamente tutto questo avveniva nelle sfere dirigenti del bolscevismo e non lasciava affatto presagire un movimento di massa ebreo. Inoltre l’unico direttore, il genio dell’azione violenta di ottobre, in verità, fu Trotskij. Quel fifone di Lenin, che si era imboscato, non diede invece alcun apporto sostanziale al putsch. […]. Lenin condivideva l’opinione secondo cui non c’è una nazionalità ebraica. Ma per il bene della rivoluzione Lenin era pronto a sfruttare il particolare senso di amarezza diffuso tra gli ebrei. Lenin non aveva percepito sino a che punto lo strato colto della nazione ebraica, e ancor più lo strato semi-colto, lo avrebbe tirato fuori dai guai nel corso dei mesi e degli anni successivi. Per cominciare, esso avrebbe preso il posto dei funzionari russi massicciamente decisi a boicottare il potere bolscevico” (cit., pp. 91-93).

Lenin ha scritto: “Il fatto che gran parte della media intellighenzia ebraica si sia stabilita nelle città russe ha reso un bel servizio alla rivoluzione e furono loro, in quell’ora fatidica, a salvare la rivoluzione” (O evreiskom v Rossii [Sulla questione ebraica in Russia], Mosca, Proletarii, 1924, p. 17).

L’ingresso massiccio degli ebrei nell’apparato sovietico si è prodotto verso la fine del 1917 e nel corso del 1918, inoltre gli eventi del 1919 hanno rafforzato il legame delle élite ebraiche con i bolscevichi. Quasi tutti gli autori seri ammettono e riconoscono il ruolo organizzativo degli ebrei nel bolscevismo, il bolscevismo deve la sua buona organizzazione all’azione dei commissari ebrei. “I bolscevichi si servirono con grande compiacenza degli ebrei in seno all’apparato dello Stato. […]. Grazie alla rivoluzione d’ottobre gli ebrei bolscevichi occuparono le posizioni-chiave  e fecero un uso smisuratamente crudele di questo nuovo potere caduto nelle loro mani” (cit., p. 96-97).

Ma “a partire dagli anni Quaranta del Novecento, dopo che il potere comunista ebbe rotto con il giudaismo mondiale, ebrei e comunisti provarono imbarazzo e timore, e preferirono tacere e dissimulare la forte partecipazione degli ebrei alla rivoluzione comunista” (cit., p. 97).

Tuttavia, osserva Solgenitsin, “la cosa è accertata: gli ebrei sono stati per alcuni anni dei leader in seno al Partito bolscevico, alla testa dell’Armata Rossa (Trotskij), del VTsIK (Sverdlov), delle due capitali (Zinoviev e Kamenev), del Komintern (Zinoviev), del Profintern (Dridzo-Lozovski) e del Komsomol (Oscar Ryvkin)” (cit., p. 98).

L’assassinio della famiglia imperiale

“L’onnipresenza degli ebrei al fianco dei bolscevichi ebbe, nel corso di questi mesi terribili, le più atroci conseguenze. Tra esse, l’assassinio della famiglia imperiale: le guardie (gli assassini) erano lettoni, russi e magiari, ma due personaggi svolsero un ruolo decisivo: Filippo Golochtchokin e Iakov Iurovski [ed erano ebrei]. La decisione finale spettava a Lenin. Se osò decidere in favore dell’assassinio (mentre il suo potere era ancora fragile), è perché aveva previsto sia la totale indifferenza degli Stati alleati (il re d’Inghilterra, cugino dello zar, aveva rifiutato l’asilo a Nicola II nella primavera del 1918), sia la funesta debolezza delle fasce conservatrici del popolo russo. […]. Il progetto di assassinare la famiglia imperiale maturava nella mente di Lenin e dei suoi accoliti. Sappiamo adesso che all’inizio del 1918  Golochtchokin si era recato a Mosca allo scopo di convincere Lenin che lasciar fuggire lo zar e la sua famiglia era una cattiva soluzione, che bisognava decisamente e apertamente giustiziarli e poi annunciare la cosa pubblicamente. Non occorreva convincere Lenin dato che non nutriva alcun dubbio. Ciò che egli temeva era la reazione del popolo russo e dell’Occidente. C’erano, tuttavia, già degli indizi che la cosa sarebbe passata senza creare scandalo” (cit., pp. 108-109).

Bolscevismo e antisemitismo

Già nei primi mesi dell’aprile 1918 si era creato un clima di tensione intorno alla questione ebraica. Per prevenire ogni reazione contro la preponderanza ebraica nella rivoluzione russa si montò artificiosamente una campagna sulla presunta propaganda antisemita dei fautori dei pogrom, che in realtà non si erano verificati in quei tempi contro gli ebrei ma contro i cristiani e le loro chiese; si sottolineava la necessità di organizzare sedute speciali, in seno ai Soviet, sulla lotta contro l’antisemitismo. Ma bisognava trovare un colpevole numero uno, cui era necessario spezzare le ossa e furono trovati i sacerdoti ortodossi e cattolici, eredi dell’autocrazia zarista.

Fu così che “il 27 luglio 1918 il Sovnarkom promulgò una legge speciale sull’antisemitismo, firmata da Lenin, in cui si mettevano fuori legge gli antisemiti propagatori dei pogrom” (cit., p. 113). Ma,  come spiega Solgenitsin, il significato della parola “fuorilegge” in quei tempi significava “condanna a morte”. Come abbiamo visto per Lenin gli ebrei avevano salvato la rivoluzione di ottobre e anche la Enciclopedia giudaica concorda con questa opinione (Piccola Enciclopedia Giudaica, Gerusalemme, 1976, vol. IV, p. 766).

Questa tesi divenne un boomerang nelle mani dei controrivoluzionari che vedevano, così, rafforzata la loro teoria del complotto giudaico/bolscevico (cit., p. 114). Solgenitsin cita e fa proprio il pensiero di Segui Bulgakov, che nel 1941 scriveva: “non bisogna imputare tutto agli ebrei,  ma non bisogna minimizzare nemmeno la loro influenza” (cit., p. 116), al che Solgenitsin aggiunge: “a partire dal 1918 e ancora per una quindicina di anni, gli ebrei che hanno aderito alla rivoluzione hanno svolto anche la funzione di martello, almeno una gran parte di loro” (cit., p. 118).

La rivoluzione menscevica di febbraio aveva già concesso agli ebrei la piena eguaglianza e la libertà totale, ma una volta dilagata la violenta rivoluzione di ottobre gli ebrei ex-menscevichi cambiarono rapidamente di cavallo e si lanciarono al galoppo col bolscevismo (cit., p. 119).

L’internazionalismo rivoluzionario, padre del mondialismo odierno, la rivoluzione mondiale e permanente, l’utopia millenarista della felicità su questa terra con l’esclusione dell’aldilà sono stati i “dogmi” che hanno compattato bolscevichi ed ebrei, che sognavano di costruire “il Mondo nuovo della felicità universale” (cit., p. 124 e 125).

Bolscevismo o sionismo?

Tuttavia verso il 1919 vi fu una divaricazione presso l’ebraismo. Infatti “con la dichiarazione Balfour (2 novembre 1917), che gettava le basi di uno Stato ebraico indipendente, una parte della nuova generazione ebraica prese la strada di Herzl e di Jabotinski, mentre l’altra (che è la più grande) ha ceduto alla tentazione ed è venuta ad accrescere i ranghi della banda di Lenin-Trotskij-Stalin. Infatti la strada di Herzl appariva allora lontana, irreale, mentre quella di Trotskij permetteva agli ebrei di conquistare una statura immediata e di diventare immediatamente, in Russia, una nazione con pari diritti e persino privilegiata” (cit., p. 133). 

È per questo motivo che nel 1924 gli autori dell’antologia La Russia e gli ebrei scrissero: “Non tutti gli ebrei erano bolscevichi e non tutti i bolscevichi erano ebrei, ma oggi non c’è affatto bisogno di provare la parte enorme, la partecipazione zelante degli ebrei al martirio imposto a una Russia resa esangue dai bolscevichi. Sino ad allora i russi non avevano mai visto ebrei alle leve di comando” (cit., p. 139). 

Ricapitolando

Prima di affrontare il tema della guerra civile russa (1919-1922) è bene fermarci un momento a riflettere su quanto visto sino ad ora per trarne qualche lezione.

Con i sussidi delle banche ebraiche/americane (Schiff e Warburg) lo zarismo era stato rovesciato e la rivoluzione era iniziata in Russia, prima (febbraio 1917) in maniera moderata con i liberali e sùbito dopo con Kerenskij e i menscevichi, poi in maniera radicale (ottobre 1917) con Lenin e i bolscevichi.

Contemporaneamente la rivoluzione massonica riuscì ad eliminare l’impero austroungarico, arrivando al rifiuto - da parte di Inghilterra, Francia e soprattutto Usa - di firmare una pace separata con l’Austria come era stato proposto nell’agosto 1917 dall’imperatore Carlo I, successore di Francesco-Giuseppe († 21 novembre 1916), appoggiato da papa Benedetto XV.

La rivoluzione russa, come spiega Solgenitsin, ha incarnato lo spirito della rottura radicale tra la mentalità, la cultura e la religione della vecchia Russia e la nuova Russia sovietica. Il bolscevismo ha mirato alla rivoluzione mondiale e per far ciò è stato aiutato dai governi liberaldemocratici europei (Inghilterra e Francia) e soprattutto dagli Stati Uniti d’America sia nel 1917/18 sia nel 1943/45.

L’incompatibilità radicale tra bolscevismo e cristianesimo è stata ben messa in luce da Pio XI nell’Enciclica Quadragesimo anno (1931) che ha scritto: “Il socialismo che ha per padre il liberalismo e per erede il bolscevismo è incompatibile con la religione cristiana”.

Infatti il comunismo odia Dio, definito blasfemamente da Lenin “il nemico personale della società comunista”.  Dostoevskij come Solgenitsin hanno ben capito la natura luciferina del comunismo, che “vorrebbe ricostruire la Torre di Babele senza Dio non per raggiungere il cielo dalla terra, ma per abbassare il cielo sino alla terra” (I Fratelli Karamazov) e questo è il medesimo spirito che caratterizza il talmudismo.

Inoltre il collettivismo comunista vuole spersonalizzare l’essere umano sostituendogli un’entità collettiva, per poter uccidere nell’uomo l’immagine di Dio personale e trascendente. Oserei dire che la società contemporanea ha raggiunto questo scopo grazie al Sessantotto in cui si è unito il freudismo e lo strutturalismo col comunismo e grazie a Nietzsche si è avanzati verso il tentativo dell’uccisione di Dio per dar posto al superuomo che poi è diventato una larva di uomo, distrutto dalle droghe, dalla musica pop, dall’alcool e dalla sessualità disordinata e sfrenata. Il comunismo materialista di Stalin non era riuscito a distruggere l’anima degli uomini, ma il freudismo che si infiltra nelle profondità dell’anima ha ottenuto il suo scopo.

Non deve destare meraviglia il fatto che il comunismo bolscevico sia stato favorito dal giudaismo talmudico e dal super-capitalismo massonico occidentale. Infatti l’uomo di Stato inglese Disraeli diceva: “ I governi di questo secolo non hanno solo a che fare con i re, i ministri, ma anche con le società segrete”. La tirannia di oggi è molto più potente, universale e penetrante di quella bolscevica perché è entrata in interiore homine. Il Presidente statunitense Eisenhower in un discorso all’Onu (22 settembre 1960) ha detto: “Prevediamo un’unica comunità mondiale. Immaginiamo il nostro obiettivo non come un super-Stato al di sopra delle nazioni, ma come una comunità mondiale che le abbracci tutte”.

Un problema contiguo a quello del bolscevismo è quello del sionismo. Jacques Bordiot (Le pouvoir occulte fourrier du communisme, Chiré-en-Montreuil, éd. Chiré, 1976, p. 105) scrive che nel 1916 fu firmato a Londra un patto segreto, firmato dal colonnello House (che lo aveva redatto assieme a Louis Brandeis) dietro incarico del Presidente americano Wilson, secondo il quale gli Usa si sarebbero impegnati ad entrare nella Prima Guerra mondiale (cosa che avvenne il 16 aprile 1917) a fianco dell’Inghilterra, se quest’ultima si impegnava a concedere la Palestina ai sionisti (2 novembre 1917), pur avendola già promessa agli arabi.

La rivoluzione russa, come tutte le rivoluzioni, non fu l’esplosione spontanea di una rivolta popolare, ma fu il risultato di una manipolazione dell’intellighenzia russa occidentalizzata e non slavofila. Infatti in Russia vi erano molti intellettuali che avevano assorbito la cultura liberale e illuministica occidentale e volevano occidentalizzare la Russia, mentre altri - come oggi Solgenitsin e Putin - volevano restare fedeli allo spirito e alla cultura della vecchia Russia.

Già nel 1885 numerosi “club” si unirono in una “Unione per la liberazione della classe operaia” diretta da Lenin, che nel 1903 si trasformò nel Partito social-democratico, diviso in due fazioni: i bolscevichi (o “maggioritari”) sotto Lenin e i menscevichi (o “minoritari”) capitanati da Martov. Essi furono finanziati dal banchiere Jacob Schiff padrone della banca Kun Loeb & company ed anche dalle banche Morgan, Lazare e Rothschild.

Inoltre i governi tedeschi, inglesi e statunitensi aiutarono sia Lenin che Trotskij a far cadere lo zar provocando uno “spontaneo” sollevamento popolare facendo leva sul malcontento reale per i rovinosi rovesci bellici subiti dalla Russia nel 1905 e nel 1915. 

Infatti la Russia si era impantanata nella guerra contro il Giappone (febbraio 1904 - gennaio 1905) e siccome essa era militarmente meno avanzata del Giappone fu clamorosamente sconfitta, la flotta russa venne distrutta, l’esercito dopo numerose disfatte fu costretto alla ritirata completa e nel settembre del 1905 la Russia firmò la resa.

La debolezza disastrosa mostrata dall’esercito russo costituì la prova di una grave crisi politico/amministrativa  che minava l’organismo statale dell’impero zarista. Quindi scoppiarono in Russia una serie di gravi tumulti contro il regime zarista. Il momento culminante si ebbe con la dimostrazione della domenica del 22 gennaio 1905 (“la domenica di sangue”), in cui le masse operaie di Pietroburgo marciarono davanti al Palazzo imperiale. La manifestazione venne soffocata nel sangue dalle guardie zariste, ma nel frattempo erano stati formati numerosi “consigli operai” (“soviet”) che continuarono a sollevare altri tumulti in tutta la Russia e nell’ottobre del 1905 si arrivò allo sciopero generale. Lo zar Nicola II, sotto la pressione degli avvenimenti, abolì il regime assoluto e concesse la Costituzione (ottobre 1905) istituendo l’Assemblea parlamentare (“Duma”), che venne inaugurata nel maggio del 1906, ma nel 1907 lo zar abolì la Duma e ripristinò la monarchia assoluta. I socialisti e soprattutto i bolscevichi lavoravano nell’ombra per provocare altri scontri e tumulti aiutati dalla difficile situazione in cui versava la Russia.

Inoltre nel 1914 scoppiò la Prima Guerra mondiale e nel febbraio-settembre del 1915 la Germania piegò la Russia. Infatti nel febbraio del 1915 il maresciallo Hindenburg costrinse la Russia ad abbandonare la Prussia orientale e nel maggio del 1915 il maresciallo Mackensen occupò la Galizia (sita tra la Polonia e l’Ucraina) per occupare sùbito dopo la Polonia intera, costringendo le truppe russe ad una ritirata di centinaia di chilometri e arrivando ad occupare la Lituania sino al golfo di Riga (settembre 1915). La disfatta della Russia fu enorme e dette animo ai rivoluzionari socialisti per suscitare tumulti che portassero alla caduta dello zarismo. Dopo tre anni di guerra disastrosa il 22 febbraio del 1917 scoppiò la prima rivoluzione russa, le truppe zariste non aprirono il fuoco sui rivoltosi e il 15 marzo del 1917 lo zar Nicola II abdicò. Si formò un governo liberale, che optò per la continuazione della guerra, ma le agitazioni non cessarono e l’incarico del governo venne tolto ai liberali e dato ai menscevichi o socialisti riformisti (che nel 1912 si erano scissi formalmente dai bolscevichi) capitanati da Aleksandr Kerenskij, il quale pose mano ad una vasta riforma agraria (luglio 1917). Anche Kerenskij volle continuare la guerra ma oramai essa volgeva al peggio e la propaganda rivoluzionaria aveva minato lo spirito dei soldati e la maggior parte della popolazione non se la sentiva più di continuare in questa direzione. Fu così che il 25 ottobre le guardie rosse occuparono il centro di Pietrogrado e rovesciarono il governo Kerenskij, si formò, così, un governo bolscevico sotto la guida di Lenin, che proclamò la fine della guerra e abolì la proprietà privata. Nel luglio del 1918 a Ekaterinenburg la famiglia imperiale fu trucidata.

Queste riflessioni che scaturiscono dalla lettura del libro di Solgenitsin hanno influenzato molto Vladìmir Putin che a partire dal 2000 sino al 2008 (anno della morte di Solgenitsin) ha voluto conoscere personalmente lo storico russo e assieme a lui è giunto alla conclusione che
1°) occorre frenare il catastrofico calo demografico, figlio del nichilismo materialista sovietico e di quello opulento occidentale;
2°) bisogna riassettare le privatizzazioni o la svendita della Russia agli oligarchi israeliti iniziata da Eltsin;
3°) occorre far rinascere l’anima religiosa russa ed impedire che il passaggio dal comunismo ad un regime meno oppressivo porti alla degenerazione liberale e democratica atlantico/occidentale, in cui si passa dal materialismo comunista e collettivista al materialismo liberale e individualista.

Solgenitsin e Putin hanno capito che la dittatura poliziesca comunista, da loro vissuta, è in un certo senso meno pericolosa della psico-dittatura occidentale, la quale non solo imprigiona i corpi, ma anche le anime.

È per questo motivo che il mondialismo si è scatenato soprattutto a partire dalla guerra in Siria (2010) contro Putin, poiché ha compreso che egli avrebbe
1°) limitato la denatalità e il ricorso all’aborto;
2°) sostenuto la famiglia tradizionale;
3°) emarginato gli oligarchi israeliti che avevano comprato la Russia svenduta per “30 denari”;
4°) riallacciato la Russia alla religione che è l’unica salvezza delle nazioni, delle famiglie e delle persone.

Chi vuole “esportare la democrazia a suon di bombe” (Popper/Bush) in tutto il mondo e ha iniziato a farlo nel Vicino e Medio Oriente per poterlo fare anche in Russia ha trovato in Solgenitsin/Putin un ostacolo che però non è riuscito ad eliminare.
“Il diavolo fa le pentole ma non i coperchi”.





Prima parte
Seconda parte
Terza parte
Quarta parte
Quinta parte





marzo 2017
AL SOMMARIO ARTICOLI DIVERSI