ILLECITO PARAGONE

di L. P.


Taluni spiriti ‘webeti’, fànfani pataccari in vena di corbellerie, hanno definito il recente viaggio in Egitto di Papa Bergoglio (28-29 aprile 2017), la moderna edizione di quello che San Francesco di Assisi, in compagnìa dei suoi frati, tra cui Pietro di Cattanio, effettuò nel giugno/luglio 1219 in piena quinta Crociata.
Crediamo necessario smentire una smaccata falsità, sgomberare la nebbia della confusione e la mielosa prosa dell’adulazione col proporre ai lettori una sola ed ovvia somiglianza formale e, di poi, la netta differenza intercorrente tra i due ‘viaggî’ affinché non si confonda lo spirito missionario del Santo con quello politico-massmediatico-mondano di Bergoglio, e torni a brillare la verità storica e teologica che, quale luminosa lampada, non abbia da esser “messa sotto il moggio” (Mt. 5, 15) ma posta in alto.
Abbiam detto di una sola ed ovvia somiglianza formale, esteriore, l’unica ed ultima, cioè essere l’Egitto islamico la meta dell’antico e del moderno viaggio. E su questa ovvietà non c’è da distillare chissà quali commenti, mentre c’è da spendere qualche riflessione sulle differenze sostanziali.





San Francesco d’Assisi, racconta San Bonaventura, nota essendo la tristissima condizione dei cristiani in Terra Santa occupata dalle armate islamiche del sultano Malik al-Kamil, risolse di partire colà “tra gli infedeli, a portare con l’effusione del suo sangue, la fede nella Trinità”, anelando, cioè, o alla conversione degli infedeli o alla conquista della “palma del martirio”. Che questo fosse il desiderio del santo è testimoniato dalla credenza popolare di cui si fece portavoce Dante che, nella Commedia, così ne scrive: “Per la sete del martiro / nella presenza del Soldan superba / predicò Cristo e l’altri che ‘l seguiro” (Par. XI, 100-102).
Un viaggio, quindi, di netta e indiscutibile marca missionaria.
  
Sbarcato nel porto di Damietta, effettuato senza alcuna scorta armata se non la fede nel Dio degli Eserciti, arrivò, con i suoi undici frati, al Cairo, sede del sultano, segnato da un’accoglienza rude e violenta dei soldati. San Bonaventura così ne scrive: “Ma ecco che alcune guardie saracene, immediatamente si avventano su di loro come dei lupi e li arrestano, li malmenano con ferocia e disprezzo, li coprono d’insulti, li battono con sferze, li legano con catene. Dopo mille tormenti, sfiniti, per disposizione di Dio, vengono tratti alla presenza del soldano, così come Francesco desiderava”.
    
Con lo spirito di un crociato, il santo, senza  l’uso di litoti, così esordì davanti a Malik al-Kamil: “Non da uomo, ma da Dio siamo stati mandati, per mostrare a te e al tuo popolo la via della salute ed annunziarvi il Vangelo” e, accettando l’invito del sultano a rimanere suo ospite, Francesco rispose: “Volentieri rimarrò con te se tu, il tuo popolo, vi convertirete a Cristo”.
Racconta Tommaso da Celano (1190-1265) che, nel corso dell’incontro, il santo proporrà al sultano la prova del fuoco. Se lui, semplice frate, ne fosse uscito indenne, il popolo tutto si sarebbe convertito alla fede cristiana. Il sultano, davanti a simile fede, rifiuta avanzando una sua sfida col rifarsi al Vangelo: “Il vostro Dio ha insegnato nel suo Vangelo che non si deve rendere male per male, quanto più i cristiani non devono invadere la nostra terra”. Il santo replica: “I cristiani giustamente attaccano voi e la terra che avete occupato, perché bestemmiate il nome di Cristo e allontanate dal suo culto quelli che potete. Se però voleste conoscere il Creatore e Redentore, confessarlo e adorarlo, vi amerebbe come loro stessi”.
  
La storia ci dice che, trovati il sultano e la sua gente refrattaria alla parola di Cristo, onde non perdere altro tempo, Francesco se ne tornò in Italia. Dante riassunse così questa decisione: “E, per trovare a conversione acerba / troppo la gente, per non stare indarno / redissi al frutto dell’italica erba”. (Par. XI, 103-105). Perfetto adempimento del monito che Gesù rivolse agli Apostoli: “Se qualcuno non vi accoglierà e non darà ascolto alle vostre parole, uscite da quella casa o da quella città e scuotete la polvere dai vostri piedi” (Mt. 10, 14).
   
Nel rapporto di Francesco con Malik al-Kamil non c’è traccia di pomposo e sterile dialogo conciliare, di ecumenismo, di abbraccî fraterni, di reciproci e retorici attestati di stima, di inchini e di compromessi dottrinali ma solo di un forte e ardito proposito di convertire l’infedele, imprimendo alla sua azione il sigillo del proselitismo cristiano che non era ancora considerato “una sciocchezza” ma perfetta e debita obbedienza al comando di Cristo (Mt. 28, 19/20 - Mc. 16, 16). San Francesco, insomma, non fu per niente quell’ecumenista che la frolla, gelatinosa cultura postconciliare ce lo vuol abusivamente rappresentare nelle ideologizzate marce della pace che convengono ad Assisi e nella ridicola accoppiata a un ecologismo di impronta e ispirazione massonico-onusiana.
  
A rischio della vita egli affronta il sultano con l’ardente sentimento missionario tutto svolgendo in un parlare che si fonda sul Sì Sì, No No, (Mt. 5, 37), lungi da astute e vacue perifrasi, da accomodamenti dialettici, da sottile “captatio benevolentiae” o da tattici cedimenti dottrinali.

Questo accadeva in Egitto, al Cairo, nel 1219.





In ben altra prospettiva si inquadra la visita di Bergoglio nell’Egitto del 2017 - identico e medesimo a quello antico per violenta vita politica e per continua persecuzione contro i cristiani - ché la cronaca del cerimoniale ci informa del suo disinteresse missionario, dell’attenzione a una pace di marca politica di cui l’espressione più chiara è quella della “convivenza pacifica”,  nobile e meritorio proposito che non trova, tuttavìa, il naturale alloggiamento nella prospettiva cristiana.
   
Aver, egli, condannato il terrore che si fa scudo del nome di Dio – quale ? -  senza peraltro un minimo accenno a quello “islamico” con i corpi ancora caldi dei martiri copti, è come aver posto sulla stessa posizione assiologica tanto il Cristianesimo che l’Islamismo e  aver cioè, implicitamente, collegato alla violenza armata jihadista anche le già rinnegate ma gloriose Crociate che, appunto, furon condotte al grido di “Dio lo vuole”.
  
Che l’Islam sia, nella mente della Gerarchìa e della cattolicità, stimata religione “rivelata” lo si è capito già da quando il pastorale conciliabolo Vat. 2 inserì nei documenti, sparsi qua e là, elogi e riverenze a quell’islam che “adora l’unico Dio”; da quando GP II, in visita nel Sudan, impartì la benedizione invocando “Baraka Allah as-Sudan = Allah benedica il Sudan” (O. R. 15, febbraio 1993); da quando lo stesso Papa Bergoglio, di ritorno dal viaggio in Georgia-Azerbaigian (ottobre 2016), chiesto dal patiarca Luois Raphael I Sako di una possibile e futura visita in Iraq, rispose candidamente “Inshallah” = Se Allah vuole” con tanti saluti alla SS. Trinità. E poi, quell’umile, ipocrita e blasfema supplica, rivolta al presidente egiziano Al- Sisi “Preghi per me”! Il Papa, capo dell’unica e vera Religione rivelata, che chiede il sostegno della preghiera di un pagano, dice quanto abissale sia diventata la voragine dell’apostasìa cattolica-romana la quale, persa nei bassifondi luccicanti della mondanità liberal-agnostica, non si vergogna di attovagliarsi a quelle confessioni i cui idoli, afferma il Salmo 95, 5, “sono demòni”.
  
Per non tacere, poi, di quel suo sentirsi mediatore di ogni vertenza politica e umana che gli fa relegare in secondo, terzo ordine, o addirittura dimenticare, la crisi vocazionale in che si dibatte la Chiesa; una crisi fatta di abbandoni, di ritirate, di ribellioni e di impudicizia che vie più assottigliano le file della milizia cattolica consacrata; lo spopolamento delle chiese; l’inquinamento immedicabile delle scuole cattoliche in cui docenti atei spargono nelle coscienze il veleno del dubbio e dello scetticismo; la dissacrazione della liturgìa fatta campo di estemporanei esperimenti modernisti.
No. Indifferente a ciò, anche perché consapevole di esserne il responsabile regista, si colloca al tavolo dei potenti quale arbitro di partite internazionali come se fosse la primaria sua missione, quando lo stesso Gesù se ne sta alla larga da beghe più o meno politiche. “Un tale, di mezzo alla folla, gli disse. ‘Maestro, ordina a mio fratello di dividere con me l’eredità’. Ma Gesù gli rispose. ‘O uomo, chi mi ha costituito giudice o spartitore fra di voi?” (Lc. 12, 13).
  
In quanto all’essersi, il Papa, servito di un’automobile “scoperta” con cui avviarsi “senza paura” a celebrar Messa – sotto occhiuta vigilanza e tutela di migliaia di poliziotti – stride con quell’accoglienza che Francesco il Santo si ebbe, come abbiam visto, a suon di percosse e di sevizie.
E non scese, il Poverello, in Egitto per discutere il dare e l’avere, per quote da spartire, per politiche comunitarie da sottoscrivere ed attuare, per elemosinare amicizia e per vituperare i populismi, ma per portare, in quelle terre pagane, “lo nome di Colui che ‘n terra addusse / la Verità che tanto ci soblima” (Par. XXII, 41/42).
    
Ciò che, in tutta questa oscenografìa massmediatica, indigna e sconforta non è tanto l’informazione falsa che, come in questo caso, la stampa asservita spaccia per verità, quanto l’inerzia con cui una mollusca e beota opinione popolare la trangugia.
Paragonare, pertanto, il viaggio missionario “crociato” di San Francesco d’Assisi a quello politico di Papa Bergoglio costituisce un illecito storico e teologico. 
Pro veritate.





maggio 2017

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