(molto) A margine dell'intervento
del Prof. Radaelli
sugli sviluppi delle dottrine conciliari


di Giovanni Tortelli


Come al solito eccellente, l’intervento del prof. Radaelli ha oltretutto il merito di fulminare il momento di crisi nella Chiesa postconciliare nella discussa ma affatto necessaria consequenzialità fra la natura di Supremo Magistero della Chiesa rivestita dal Vaticano II e le innumerevoli «dottrine nuove» sorte in quella sede e successivamente proliferate in forza di quella matrice.
E dunque, non perché provengono dal Supremo Magistero solenne e straordinario, queste dottrine nuove dovranno esser considerate infallibili, ma lo saranno solo quando si avrà la garanzia che esse rappresentano uno sviluppo omogeneo e genuino del dogma. Lo insegna la Tradizione, lo insegna san Vincenzo di Lérins e lo insegnano i Padri prima di lui.
Del resto, nella più volte proclamata volontà di non voler procedere a definizioni dogmatiche da parte del Vaticano II, l’assistenza dello Spirito Santo sul Concilio «non preserva dall’errore» ma opera come mero coadiutore nell’elaborazione degli enunciati (H. Jedin, voce Concilio, in Dizionario teologico diretto da H. Fries, Queriniana – Brescia 1968, vol. I). I quali pertanto non possono pretendere né la certezza né la definitività.

Vorrei piuttosto e molto modestamente richiamare l’attenzione sul paradosso che si è creato proprio a seguito del Summorum Pontificum, che rende ancor più evidente il dislivello fra un prima e un dopo Concilio perché così si dimostra che al fondamento della medesima Divina Istituzione coesistono due riti, la cui evidenza esteriore sottintende due dottrine differenti; che due concezioni di sacerdozio si fronteggiano davanti all’unica realtà sacerdotale che è Gesù Cristo crocifisso, morto e risorto; che una morale di situazione ha soppiantato la morale cattolica che è legge dietro la quale si intravvede Dio; che una predicazione aperta alle «cause» del mondo – e finanche spregiudicata - deve far sempre i conti coi pericoli di inadvertentia (di inconsideratio) e troppo spesso vi soccombe, ormai svincolata da ogni fine ultraterreno; che l’essenza stessa di dogma viene attaccata dal pensiero relativo e che la sana dottrina è diventata un’opinione. Queste novità – dice bene Radaelli - “una per una non reggerebbero alla prova del fuoco del dogma”, ma intanto hanno avuto tutto il tempo di «devastare» e «svuotare» la Chiesa. Si naviga a vista in mezzo a una nebbia di verità opacizzate in un clima di frammentarietà, di incertezza, insomma di «sospensione» come la chiama Radaelli, in attesa di un giudizio definitivo che la dottrina e la teologia non sanno dare, e che nemmeno compete loro. Intanto, però, in questo procedere si è arrivati a turbare l’esercizio stesso della vita sacramentale dei fedeli e a creare smarrimento ed incertezza nella Fede che è atto sommamente ragionevole: tutto questo è semplicemente anticattolico per antonomasia.

Alla base di tutto, continua a riecheggiare l’irrisolta domanda se davvero il Concilio abbia preservato o meno l’essenza del cattolicesimo.
Solo l’intervento del Supremo Magistero, ormai da più parti invocato, anche in forza dell’imperativo evangelico non più eludibile (Mt. 28,18-19; 7,29; 21,23; Gv. 3,34-35; 17,2), potrà rispondere definitivamente.

Ma a questo proposito urge qualche osservazione:
a) la coscienza dell’uomo è profondamente cambiata a partire dall’ultima metà del secolo scorso: le cause sono ormai arcinote e riconducibili a fattori economici, sociologici, politici e culturali. Sicché si sono persi punti di riferimento stabili in persone o in istituzioni e il pensiero e l’azione sono risultati circoscritti, relativi, deboli appunto. Il processo di democratizzazione che coinvolge orizzontalmente tutti gli aspetti della società e degli individui riassume bene, con la sua ansia di decentramento e di frazionamento delle competenze e delle responsabilità, lo stato delle cose e delle persone;
b) il Vaticano II si è astenuto dal rivalutare l’antica e sopita coscienza, ma anzi ha preso come modello questo tipo di uomo nuovo e ne ha assecondato i bisogni circoscritti. Cinquant’anni di prassi e dottrine neoteriche hanno poi comportato sette generazioni di fedeli così impostati ed ormai assuefatti al nuovo in una Chiesa «al passo coi tempi», la stragrande maggioranza dei quali anche compiaciuti di questo nuovo, gli altri indifferenti o dimentichi del passato e perfino dell’esistenza di una Chiesa-Istituzione con la sua storia, le sue regole, i suoi dogmi e i suoi riti antichi;
c) la quasi totalità del Clero non pare coinvolta ad un recupero del passato, anche se non si possono tacere interessanti segnali in controtendenza;
d) vista la congerie delle novità sorte in sede o a seguito dell’ultimo Concilio, uno strumento di possibile chiarezza potrebbe essere un nuovo Sillabo.

Resta la consolazione e la speranza, come ricorda esattamente il prof. Radaelli menzionando Amerio, che la Chiesa può trovarsi sì a dover pareggiare i conti con la Verità, ma non potrà mai perderla. Ricordo che con parole diverse ma di identico significato, il mistico don Divo Barsotti predicava che la Chiesa, nonostante le carenze degli uomini, aveva sempre reso gloria a Dio in ogni secolo e così sarebbe stato fino alla consumazione del tempo.

“La ragionevolezza signoreggia tutti gli atti della religione cattolica che non si appoggia mai sull’uomo, creatura e dipendente, ma su Dio e l’indipendente” (R. Amerio).

Giovanni Tortelli



luglio 2011

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