Intervista che Padre Arturo Sosa Abascal
ha rilasciato al giornale spagnolo El Mundo


31 maggio 2017


L'intervista, condotta da Jorge Benítez, è stata pubblicata sul sito de  El Mundo

I neretti sono nell'originale

Revolución, Revolución

È il grido battaglia del nuovo Generale dei Gesuiti, Gran Jefe de Francisco.

Ministero alle donne, matrimoni omosessuali, lotta alla pedofilia e…
il Diavolo è una creazione dell’uomo.

Pubblichiamo integralmente l’intervista che Padre Arturo Sosa Abascal ha rilasciato al giornale spagnolo El Mundo.
Non la commentiamo. Siamo certi che i cattolici, veri, si accorgeranno subito come alcune risposte dirompenti preludano all’ulteriore devastazione della neochiesa conciliare, mentre altri cattolici, quelli moderni, falsi, troveranno nelle stesse risposte motivo di compiacimento.

Da un punto di vista pratico: nessuna sorpresa. Da un punto di vista morale: difficile contenere l’indignazione. Da un punto di vista dottrinale: il combinato disposto dell’elezione di Bergoglio e di quella di Sosa, sembrano segnare il punto d’arrivo, per adesso, del disastro provocato dal Vaticano II.

Vero è che al peggio non c’è mai fine, ma: fin dove dovremo arrivare?

Che Dio ci aiuti!





Abbiamo parlato a Roma col primo Generale dei Gesuiti non europeo.

Egli parla della rivoluzione di Francesco, degli scandali della pedofilia e del perché il suo paese, il Venezuela, è una “democrazia che si è sfasciata”.


E’ preda di una leggenda nera ripresa perfino nel dizionario della RAE. La terza accezione del gesuita è «ipocrita, astuto». Poche istituzioni dall’influenza universale come la Compagnia di Gesù sono state così ammirate e odiate in 500 anni di storia. E tanto capaci di risorgere. Dopo la sua caduta in disgrazia sotto il pontificato di Giovanni Paolo II, quest’ordine religioso ha visto in appena un decennio, uno di loro sedersi per la prima volta sul Soglio di Pietro.

Potere politico che è servito come un esercito cattolico contro la Riforma, ha difeso gli indios americani ed evangelizzato l’Asia, per essere poi perseguitato dai re che lo vedevano come una minaccia. Potere della conoscenza che coltiva la scienza, educa i più umili, dirige università d’elite e insieme si è posto come nemico del secolo dei Lumi. Una storia di luce e di ombre. Chi conduce ora i discepoli di Sant’Ignazio di Loyola è, dallo scorso ottobre, il primo Superiore Generale nato fuori dall’Europa e l’unica persona che, in senso figurato, potrebbe chiamarsi il capo del Papa, per il passato gesuita di Jorge Bergoglio.

Arturo Sosa (Caracas, 1948) è una persona che sembra il riflesso allo specchio del Pontefice. Uno è il papa nero (Sosa) e l’altro il Papa bianco (Francesco), le due figure più potenti del cattolicesimo. L’appellativo papa nero deriva dall’influenza attribuita al Generale dei Gesuiti sul governo della Chiesa e dal colore delle loro tonache. Sosa è latinoamericano come Bergoglio, progressista come Bergoglio e con un incarico vitalizio (salvo rinuncia accettata) come Bergoglio. Dirige una multinazionale che opera in 127 paesi, con 18.000 membri che sono stati descritti dallo scrittore (e gesuita) Pedro Miguel Lamet come «gli GEO della Chiesa» [Gruppo (E)Speciale di Operazione, in Spagna].

Arturo Sosa vive, con i suoi 56 fratelli, nella Curia Generalizia a Roma, ad un centinaio di metri da Piazza San Pietro. Un cartello sulla porta annuncia che l’edificio fa parte della giurisdizione diplomatica della Santa Sede. All’ora convenuta arriva Padre Patrick Mulemi, gesuita della Zambia e responsabile delle Comunicazioni dell’Ordine, per accompagnarmi al piano superiore.

Papa nero e Papa bianco

Arturo Sosa ci riceve in una sala riunioni con una forte stretta di mano e ringraziando il giornalista per essere venuto da Madrid. Il Padre Mulemi mostra un registratore e una macchina fotografica digitale e si siede all’altra estremità del lungo tavolo di legno. Improvvisamente, il suo sorriso sembra trasformarsi in una clessidra [un conta tempo].





D.
- Papa Francesco è visto con simpatia dalla sinistra in Spagna, compresi gli atei; il Papa è una persona di sinistra?


R. – Si tratta di una categoria difficile da maneggiare. Il Papa ha vissuto momenti politici difficili in un continente che ha avuto guerriglie e dittature militari. Per me Bergoglio è un uomo del Concilio Vaticano II. Questo evento è stato molto importante per la Chiesa in America Latina, un’occasione ideale per trasformare molte cose. Questa rivoluzione interna egli l’ha vissuta nel suo paese. Parliamo di un periodo nel quale la Compagnia elesse Padre Arrupe come Generale dei Gesuiti, una persona che ha incoraggiato questa trasformazione e che lo [Bergoglio] ha nominato provinciale in un momento molto teso ... Quelli di sinistra dicono che Bergoglio sia di destra e quelli di destra che sia di sinistra. In realtà lui non si lascia trasportare dal vento o da altro. Ha il suo modo di pensare. Quando venne nominato vescovo di Buenos Aires ha conosciuto molto bene la periferia della sua diocesi. Questa esperienza come pastore in un luogo difficile è quella che offre come Papa.

D. – La sua elezione e quella di Francesco sembra che abbiano posto fine all’eurocentrismo nel governo della Chiesa.

R. - Non sono d’accordo col termine eurocentrismo se lo usiamo come la definizione di una malattia. La chiesa nei suoi primi tempi si è diffusa grazie alla generosità e all’audacia dell’Europa. E’ certo che in questo continente è in atto un processo di secolarizzazione, ma non dobbiamo dimenticare che da subito la Chiesa si è considerata cattolica, che significa universale, e questo ci ha permesso di godere di una grande diversità. Si tratta di una delle prime tensioni vissute dalla Chiesa originaria: decidere se doveva essere ebraica o cattolica.

D. – Cos’ha provato quando ha visto il cardinale Bergoglio salutare la folla, poco distante da qui, essendo stato eletto come primo Papa gesuita della Storia?

R. – Riconosco che fu una grande sorpresa.



Padre Sosa indossa il colletto romano e un maglione di lana con pantaloni grigi. La sala, come i corridoi e gli ascensori, è funzionale, lontano dalla spettacolarità del Gesù [la chiesa del Gesù a Roma], la sede nei primi secoli del Superiore Generale (e il Santiago Bernabeu della devozione gesuita). Il Gesù forse non è la più bella delle 900 chiese che ci sono a Roma, ma è il più splendida, di un barocco scioccante, come dev’essere ogni barocco, che rifletteva il potere della Compagnia nei suoi primi anni e la sua struttura ha segnato l’architettura gesuita in tutto il mondo.

A priori questo nipote di Cantabria non era il favorito nelle piscine per diventare il nuovo papa nero. I gesuiti consultati per compiere questa intervista credono che sia stata una scelta saggia, perché il nuovo Superiore Generale coniuga un’«importante formazione intellettuale» – è laureato in politica e licenziato in filosofia – con l’impegno sociale. E’ stato definito come qualcuno che “sa leggere il mondo”, ma ben presto questa descrizione ha trovato dei detrattori in seno alla Chiesa. Stiamo parlando di qualcuno [il Generale] che ha messo in discussione il rigore dei Vangeli e ha definito la teologia della liberazione - un anatema fino a poco tempo fa nella curia vaticana - come una «boccata d’aria fresca».

Cambi nella Chiesa

Padre Sosa è stato eletto capo dei gesuiti secondo i criteri centenari dell’Ordine. Per quattro giorni, gli elettori con diritto di voto hanno partecipato ad un processo noto come “mormorazioni”, una serie di interviste con le quali i partecipanti al conclave gesuita si rivolgono domande che vanno dall’idoneità di un fratello per occupare l’incarico, al suo stato di salute o alla sua qualità di dirigente. Si tratta di un sistema in cui impera la sobrietà, lontano dai fasti che circondano un’elezione papale. Le sue regole proibiscono che si faccia campagna per qualcuno e che si formulino giudizi di valore. Una volta eletto il nuovo capo, questi va nella cappella, giura per il suo incarico di Generale e prepara l’abitazione che Sant’Ignazio occupava al Gesù.





D. - Un ampio settore della società ritiene che il Vaticano reagisca troppo lentamente ai cambiamenti sociali. Sono le leggi della Chiesa scritte sulla pietra?

R. - La Chiesa ha condotto migliaia di anni di lavoro e cambiato le cose. Non si deve semplificare la sua storia. La legge è uno strumento e ha sempre vissuto del dibattito. Ci sono voluti secoli per accettare certe dottrine, dai Vangeli al Credo. La Chiesa non è mai stata una pietra, anche se a volte è vista così. Quando è finito il Concilio Vaticano II io avevo 18 anni e un enorme desiderio di vedere tutti i cambiamenti in 10 anni. Ne sono passati 50 e vi sono ancora molte cose da fare. Il dibattito non si è fermato né si fermerà.

D. - Parlo di temi specifici, come un maggiore protagonismo delle donne nell’istituzione, il riconoscimento dei diritti degli omosessuali e l’uso dei contraccettivi.

R. - Il ruolo delle donne nella società non è stato facile, le società sono ancora molto maschiliste. Nel Vangelo la presenza della donna è molto chiara ...

D. – Mi riferivo al loro accesso al sacerdozio.

R. - Gesù non si è attenuto alle regole comuni per la donna del suo tempo. E’ stato sempre accompagnato da delle donne. La Chiesa non è mai esistita senza di loro. Per me sono le grandi trasmettitrici della fede. Verrà un momento in cui il loro ruolo sarà riconosciuto di più. La Chiesa del futuro deve avere una gerarchia distinta, con ministeri distinti. Io mi appello alla creatività femminile perché entro 30 anni possiamo avere delle comunità cristiane con un’altra struttura. Il Papa ha già aperto la porta al diaconato [funzione clericale che non può presiedere l’Eucaristia] creando una commissione. Dopo si potrebbero aprire altre porte. Il problema è che la Chiesa cambi e rifletta su una relazione diversa tra uomo e donna.

D. - E in relazione al matrimonio gay?

R. - Una cosa è il pensiero pubblico e ufficiale, altra cosa è ciò che accade nelle comunità. Una cosa è l’omosessualità, altra è il mio compagno omosessuale, che fa parte della mia famiglia, del mio ambiente. Nella vita religiosa ci sono omosessuali e non sono perseguitati, fanno parte della comunità. Il sacramento [del matrimonio] è un altro problema: una cosa è riconoscere lo stato civile, in modo che non vi siano discriminazioni, altra è l’aspetto teologico. I sacramenti non sono nati così (schiocca le dita).

D. - La Compagnia di Gesù è stata costellata di casi di abuso sessuale che hanno interessato il clero. Ha avuto un comportamento esemplare in molte diocesi, denunciando e sostenendo le vittime, ma in altri casi ha condiviso un vergognoso silenzio.

R. - Devo dire che questo è stato molto doloroso. Queste cose sono rimaste ben nascoste e scoprirle è stato, ripeto, molto doloroso, con l’implicazione di persone molto note. Questo si deve riconoscere e imparare ad essere trasparenti. Non è solo il problema del gesuita che è coinvolto, ma c’è anche una persona che è la vittima, nella maggior parte dei casi le vittime sono entrambe, perché uno può aver sofferto abusi prima di essere l’accusato.

D. Ma un ragazzo è molto più vulnerabile…

R. - Sì, quando è un bambino e quando non sono bambini. Ma a volte ci sono state accuse che si sono rivelate bugie, ne conosco diverse, mosse dalla vendetta o da motivi economici, e le persone sono state accusate e condannate a priori. Nell’ultima Congregazione Generale della Compagnia abbiamo detto chiaramente che la salvaguardia dei minori è prioritaria. Più della metà dei gesuiti lavora con bambini o adulti vulnerabili. Abbiamo creato dei protocolli di comportamento, di vigilanza, di modi di agire quando c’è una denuncia, con la direttiva di indagare sempre. Il Papa lo ha già detto: «tolleranza zero». Quando ci sono casi che vengono dimostrati devono essere prese misure ecclesiali e civili corrispondenti.

D. – Su questo, volevo chiederle del risarcimento per le vittime e delle sanzioni imposte ai colpevoli di abusi all’interno dell’Ordine. Molti dei casi venuti alla luce sono stati prescritti dalla giustizia ordinaria di molti paesi.

R. - Abbiamo pagato moltissimi indennizzi, la maggior parte negli Stati Uniti e in Europa. Vengono soddisfatte sia le sentenze civili sia quelle canoniche. Il rischio di questo problema esiste sempre, ma non per questo smetteremo di educare. Oggi siamo molto più consapevoli come umanità della necessità di proteggere di più i ragazzi. E’ anche vero che statisticamente ci sono gruppi sociali più portati all’abuso, quantunque questo non ci scusa. Nulla è giustificabile, neanche per la storia personale di chi abusa. Bisogna sapere come ci si comporta.


Il regime di Chavez

Sosa non ha mai evitato il dibattito socio-politico venezuelano. Quantunque discreto, non dimentica la sua formazione di politologo, conosce anche molto bene la storia del paese: il padre ha ricoperto ruoli importanti nel governo. In molte occasioni è stato molto critico con il chavismo.

En 1992 è stato un mediatore nella gestione del fallito golpe militare che aveva il giovane Hugo Chávez come uno dei caporioni. In quei giorni i golpisti chiesero  protezione quando furono trasferiti in carcere, perché temevano di rimanere vittime di un attentato. E Sosa fu uno dei garanti della loro sicurezza. Nessuno immaginava che quel prete e quel comandante sarebbero diventati le due figure più importanti nella storia recente del Venezuela. Mentre si svolge questa intervista, il presidente Maduro ha finito di annullare l’ordine con cui invalidava il Parlamento. Le proteste di piazza e le pressioni internazionali hanno fatto fare marcia indietro al regime nelle ultime ore.






D. – Oggi il Venezuela è una democrazia fragile o una dittatura?

R. – E’ una democrazia così fragile che si è sfasciata. Se compariamo i parametri che misurano una dittatura o una democrazia con la Costituzione adottata nel 1999, siamo ogni volta più lontani. In essa il regime di Chavez si compiacque per il riconoscimento radicale che veniva dato ai diritti umani. Ma siamo molto lontani dal suo compimento. Soffriamo uno dei più alti tassi di morti violente del mondo, c’è malnutrizione, mancanza di medicine, non c’è un’educazione di qualità, né infrastrutture ... Una democrazia in cui le elezioni non si svolgono nei tempi stabiliti e nella quale i poteri pubblici non si rispettano reciprocamente, non è seria.



Padre Sosa fa una breve analisi della situazione sociale venezuelana. Spiega i problemi del paese derivati dalla mancanza di un razionale utilizzo del petrolio, cosa che, a suo avviso, impedisce da decenni lo sviluppo di una società più giusta. Mentre parla guardo i minuti segnati dal registratore e il volto di Padre Mulemi. Il tempo stringe. Due giorni prima avevo ricevuto la sua e-mail in cui avvertiva che la durata del colloquio sarebbe stata di 30 minuti – l’accordo iniziale prevedeva un’ora - a causa del fitto calendario di Padre Sosa. «Ultima domanda, per favore», dice in inglese. Ne ho molte di più. «E’ il suo lavoro», mi dice Sosa ridendo, sempre in inglese.

Chiedo al Superiore Generale che siano due. Accetta.

D. - Ogni giorno la scienza ci dice che molte delle cose che facciamo, delle infermità che soffriamo, sono dovute all’eredità genetica, il libero arbitrio è in pericolo?

R. - Credo che la scienza ci aiuti e permetta di creare condizioni migliori perché l’essere umano possa sviluppare la sua libertà. Nessuno contesta la condizione dell’uomo come qualcuno che può scegliere e anche comprendere i propri limiti. Ci sono condizioni sociali che permettono di capire le cose e dobbiamo correggere la disuguaglianza per aiutare a decidere liberamente.

D. – Per finire, volevo chiederle se crede che il male è un processo di psicologia umana o proviene da un’entità superiore.

R. - Dal mio punto di vista, il male fa parte del mistero della libertà. Se l’essere umano è libero, può scegliere tra il bene e il male. Noi cristiani crediamo che siamo fatti a immagine e somiglianza di Dio, e Dio è libero, ma Dio sceglie sempre di fare il bene perché è tutto bontà. Abbiamo creato figure simboliche, come il diavolo, per esprimere il male. Anche i condizionamenti sociali rappresentano questa figura, dal momento che ci sono persone che agiscono come fanno perché si trovano in un contesto in cui è molto difficile fare altrimenti.



Il tempo è tiranno. Padre Mulemi, amabile e stanco, mi accompagna all’uscita. Gli chiedo se la Chiesa del Gesù, che sta dall’altra parte del fiume, a quest’ora è aperta. Mi dice di sì. Un secondo dopo avermi salutato, corre al piano superiore con il suo zainetto, la macchina fotografica e il registratore. Deve accompagnare Padre Sosa ad una riunione in Vaticano. Un luogo dove sicuramente qualcuno prima di Einstein ha percepito che il tempo è relativo.





giugno 2017

Ritorna al Sommario articoli diversi